La storia siete Voi- Te Diegum. L'uomo a cui dobbiamo tutto

Ode al più grande calciatore di tutti i tempi. Il volto della Napoli vincente
10.10.2012 21:00 di Leonardo Ciccarelli   vedi letture
 La storia siete Voi-  Te Diegum. L'uomo a cui dobbiamo tutto
TuttoNapoli.net
© foto di Leonardo Ciccarelli

Ieri è stato il 45esimo anniversario dell'assassinio di Ernesto Che Guevara, un'istituzione, un simbolo di etica e integrità impareggiabile, un emblema che solo in pochi riescono a comprendere fino in fondo proprio come un suo connazionale, un connazionale molto speciale che decise di cambiare le sorti del mondo, di una città in particolare, in una maniera più pacifica, più artistica ma che scatenava gli stessi sentimenti di odio da parte dei suoi oppositori più accaniti. Quell'uomo era ed è e sarà sempre Diego Armando Maradona.
Quando si parla di Diego ci si sente subito a disagio perché ci si accorge di parlare di qualcosa di eccessivamente grande da poter esprimere, come quando si parla del Nulla Assoluto, quindi, quando si prova a scrivere la storia della sua vita, una delle storie più belle e pregne che io abbia mai avuto il piacere di testimoniare, il disagio aumenta a dismisura perché riuscire a racchiudere in un numero relativamente basso di parole la vita di un uomo che ha più volte fatto lo sgambetto alla morte, che ha messo ai suoi piedi il mondo e che ha cambiato le sorti di una città con una semplice palla è di quanto più gravoso ci possa essere.
Diego Armando Maradona è qualcuno, è qualcosa, è tanto e niente, l'alfa e l'omega come direbbero i sostenitori della "Iglesia Maradoniana" (chiesa realmente esistente con tanto di festività e preghiere), perché uno che nello stesso giorno segna il gol più discusso e il gol più bello della storia deve avere per forza qualcosa di magico, perché un uomo che ha segnato una punizione fisicamente impossibile deve essere per forza divino.
Diego divino lo era e lo è ancora perché il sentimento che lega la città all'uomo non si è mai affievolito da quel lontano 5 luglio 1984, alle 18:31, dinnanzi a 300 giornalisti, una ventina di tv da tutto il mondo e 70'000 persone. Per quale motivo c'era tutta quella gente? In fondo a Barcellona non aveva fatto faville, si era infortunato ed aveva creato tanti problemi. Nel mondiale del 1982 si fece espellere subito dando una brutta immagine di se ed in fondo non era altri che "Un barilotto grassottello" come fu definito dal portiere avversario nella prima partita da titolare di Diego prima di subire una caterva di gol. Perché? Per lo stesso motivo secondo il quale alla nascita di Gesù accorsero regnanti e pastori. Perché Maradona è il simbolo che unisce patrizi e plebei, perché con lui si sa che prima o poi qualcosa accadrá, perché "Giocare contro Maradona è come giocare contro il tempo: sai che prima o poi segna o farà segnare" e così terrorizzante lo era anche prima di quei 6 palleggi nel giorno in cui tutto ebbe inizio.
Da li in poi fu una goduria assoluta. Tralasciando le competizioni vinte, la grandezza dell'argentino sta nelle giocate che quotidianamente offriva al suo pubblico,(è memorabile addirittura un suo riscaldamento che ha migliaia di click su youtube), sta nelle battute che proferiva quando qualcosa non gli andava a genio, sta in quel sentimento di rivincita che contraddistingue chi da sempre viene bistrattato per la propria provenienza perché lui era ed è "L'idolo dei ragazzi poveri di Napoli perché loro sono come io ero a Buenos Aires". Diego è questo. Puro, semplice e schietto.
Maradona era talmente divino che riusciva non solo a sovvertire le leggi della fisica segnando su punizione con la barriera vicinissima e sedando la mini rissa che vedeva Beppe Bruscolotti a capo con un secco "Tanto gli segno lo stesso". No. Maradona era talmente divino da sovvertire anche le leggi del calcio, in particolare una, il mantra di Nereo Rocco: "In campo come nella vita". Niente di più sbagliato per il Pibe de Oro che ha tanti scheletri nell'armadio della sua vita privata così quante magie è riuscito a scovare nella scarpa sinistra di Dio perché dopo ogni terribile fallo, dopo ogni brutta entrata lui si alzava e sorrideva. Mai un accenno di protesta fatta esclusione per la vendetta ai danni del "Macellaio di Bilbao" Andoni Goikoetxea nella finale della Coppa del Re.
Gli scheletri nell'armadio ai napoletani non sono mai importati perché Maradona è stato come il Santo Graal fin dalla possibilità del suo arrivo, perché quando si vociferava del suo acquisto il popolo già cominciò a comporre canzoncine ("Maradona è meglij 'e Pelè" è stata scritta prima del suo arrivo), e nei bar dello sport si sentivano solo tre frasi "Maradona ven... Nun ven...

Ven!". Tutto qui perché non c'era nient'altro da aggiungere visto che le uniche informazioni che giungevano erano il trasferimento del dg Juliano a Barcellona e la totale rottura dell'argentino con il club spagnolo. Questa tiritera è durata due mesi ed ha risvolti incredibili come in ogni cosmogonia che si rispetti. Ferlaino e Juliano diedero fondo ad ogni espediente possibile per portare il 10 a Napoli ma il Barcellona non si smuoveva dalla cifra di 13 miliardi che il patron non poteva assolutamente permettersi. Così chiese aiuto alle banche e Juliano iniziò a trattare Hugo Sanchez con l'Atletico Madrid così la dirigenza blaugrana si spaventò e cedette. Alla mezzanotte del 2 Luglio 1984 il Napoli ufficializzò l'acquisto del piede sinistro di Dio. A mezzanotte, l'ora in cui sogni e magie diventano possibili, l'ora in cui l'ultraterreno diventa realtà perché di ultraterreno si tratta quando un bambino che nasce in un pessimo quartiere diventa un astro, quando tutta la sua storia è già scritta prima che tutto fosse scritto, quando il numero 10 è intrinseco nella vita del numero 10 per eccellenza visto che il 10/10 (oggi), è esattamente 20 giorni prima la sua nascita. Giorno fortunato quel 30 ottobre 1960 in una piccola casa di Villa Fiorito, nei sobborghi di Buenos Aires perché presto quel luogo avrebbe attirato un'aura leggendaria visto che di li a poco sarebbero accorse radio e televisioni per conoscere il bambino che col pallone faceva quello che voleva e diceva di avere due sogni, giocare e vincere il mondiale con la maglia dell'Argentina, due sogni ingenui per tanti ma non per lui. Lui sapeva che quei sogni si sarebbero realizzati perché come Jordan, come Mohammed Alí, quando Diego si metteva in testa di vincere, qualsiasi cosa, gli riusciva. Volle vincere il mondiale che portò a Napoli da trionfatore e volle vincere lo scudetto, cosa che fortunatamente gli riuscì. Frase emblematica disse ai microfoni di un giovane Galeazzi che gli chiese se era come quel giorno a Città del Messico in cui Maradona fu incoronato come Re del Mondo: "No! È molto di più perché qui ho vinto a casa mia". A casa sua ha vinto. Un altro "Napoletano nato all'estero" come Pesaola anche se a differenza del Petisso Maradona riuscì a creare un alone sovrannaturale intorno alla città. Se si parla con qualcuno che ha vissuto veramente negli anni di Diego ci si accorgerà che ne parla con gli occhi sognanti e racconterà del suo addio così come i Maya parlano del 21/12/2012 perché tutti si innamorarono di quel ricciolino che combatteva il potere a suon di gol, a suon di dichiarazioni perché Maradona è un capopopolo e come tale viene sovente attaccato dai suoi detrattori, come spesso succede per i capopopolo le leggi hanno una diversa interpretazione e così il nostro povero salvatore non riesce a rientrare nel Bel Paese senza essere letteralmente depredato dei suoi averi.
Un giorno potrà tornare a casa sua forse. Il popolo lo aspetta e glielo ha dimostrato tante volte perché quando si fa per una città tutto quello che D10 ha fatto per noi, non si può far altro che star zitti e contemplare.