Napoli, viaggio nel vivaio azzurro: la parola agli esperti (Ultima parte)

03.06.2009 13:53 di  La Redazione   vedi letture
Fonte: Inchiesta a cura di Salvio Passante e Vincenzo Balzano
Vincenzo Bernardo, talento italo-americano in forza alla Primavera del Napoli
Vincenzo Bernardo, talento italo-americano in forza alla Primavera del Napoli
© foto di www.vincenzobernardo.net

“Le strutture sono l’aspetto più importante per il calcio giovanile”. Quattro su quattro, en plein di quella che rischia di diventare un ovvietà. E in più: esperienza, competenza e disinteresse. Questi i segreti di un settore giovanile curato a regola d’arte. In quest’ultima parte della nostra inchiesta sul settore giovanile del Napoli, abbiamo sentito quattro esperti del campo, e alla base di ogni discorso c’è una considerazione uguale per tutti: “Una società deve essere dotata di una struttura idonea ai giovani calciatori”.

 

 

 

Mino Favini è il deus ex machina del miracolo Atalanta, il responsabile del settore giovanile più importante d’Italia che ha lanciato in Serie A fior di giocatori: Montolivo e Pazzini gli ultimi due di una lista infinita.
Favini, ma il segreto dove risiede?
“Zingonia, il nostro centro sportivo. E’ lì che c’è il cuore dell’Atalanta. E’ lì che si formano i nostri giovani, che crescendo ambiscono giorno dopo giorno al centrale”.

Il centrale? Si spieghi meglio.
“Ascolti, la nostra struttura è organizzata così. C’è il campo principale, noi lo chiamiamo il centrale, dove si allena la prima squadra. Per ognuno dei quattro lati del campo, separato solo da una siepe, ce n’è un altro, dove si allenano, molto spesso in contemporanea con i “grandi” le nostre squadre giovanili. I ragazzi capiscono che il loro sogno è lì, oltre quella siepe. E questa circostanza li incoraggia ancora di più: se ce la metteranno tutta, li loro destino li porterà prima o poi a fare il salto nel centrale”.

Insomma, un incentivo non da poco per i giovani.
“Direi proprio di si. Nella palazzina attigua ai campi poi ci sono gli uffici della prima squadra, e a parte quelli del settore giovanile, cui noi dedichiamo lo stesso tempo, le stesse attenzioni, se non di più. Oltre a un cospicuo esborso economico”.

Ma quanto serve all’Atalanta per mandare avanti il tutto?
“Noi investiamo due milioni di euro a stagione. E siamo lontani comunque da Milan, Inter e Juventus che ne spendono anche 8-9”.

Ovviamente trasferite a questi ragazzi un’impronta vincente.
“Vincere piace a tutti, inutile girarci attorno. Ma i nostri ragazzi vengono selezionati quando hanno 9-10 anni, e in quel periodo bisogna insegnare loro il rispetto degli altri, il valore di gruppo. La vittoria poi assume un ruolo relativo: un calciatore diventa davvero grande quando sa accettare anche la sconfitta. In Italia purtroppo è difficile. Viviamo il calcio in maniera strana, quasi come fosse uno stress. E’ incredibile”.

Ma la ricetta Atalanta potrebbe essere riproponibile a Napoli?
“Guardi, nella vostra regione c’è il miglior serbatoio d’Italia. Il fallimento per il Napoli è stato un brutto colpo anche sotto questo aspetto. Ora serviranno dirigenti competenti e tanta pazienza: è difficile ricostruire daccapo un settore giovanile. Ricordo che anni fa venimmo a giocare a Marianella, e mi complimentai con i dirigenti dell’epoca: a quella struttura mancava davvero poco per essere considerata all’avanguardia”.
Il dente batte dove la lingua duole.

 

 Vincenzo Montefusco è stato per anni allenatore della Primavera del Napoli. Dopo il fallimento, fu chiamato da De Laurentiis e Marino per curare il nuovo settore giovanile, ma il matrimonio durò poco. Ora il tecnico napoletano guarda il tutto dall’esterno, e prova un po’ di rammarico: “Dispiace tanto che il Napoli non riesca a curare a dovere il settore giovanile. Eppure, qualche elemento interessante c’è: penso a Ciano nella Primavera, o a Iuliano negli Allievi”.

 

 Quanto è stata dura ricominciare dopo il fallimento?
“Non è stato semplice, ma neanche troppo difficile. Ricordo benissimo che molti calciatori furono recuperati poco prima che si accasassero con altre squadre”

 

Un risultato però il Napoli l’ha ottenuto, avendo inserito Vitale stabilmente in prima squadra.                                              “Ma il ragazzo di Castellammare non ha fatto la trafila nelle giovanili. Fu comprato nel 2005 dalla Primavera dell’Avellino, e poi fu mandato a farsi le ossa a Lanciano”.

Non un prodotto autoctono quindi. Mister, ma cosa dovrebbe fare il Napoli per dare slancio a questo ramo importantissimo per una società?
“Mettere alla guida del settore persone competenti che sappiano anche dire no. Persone che non scendano a compromessi, perché se uno è esperto in questo campo non può accettare ingerenze esterne. E poi dotarsi di una struttura. E’ incredibile che le varie formazioni azzurre siano costrette a girare per i campi della provincia. Se De Laurentiis ha intenzione seriamente di puntare sul vivaio, deve costruire una struttura importante”.   E sono due.

 

 

 

 

Ha vinto uno scudetto con il Napoli di Maradona. Segnò addirittura il gol decisivo nell’ultima partita con la Lazio, di testa su assist di Diego. Marco Baroni è ricordato sempre con affetto dai tifosi del Napoli, soprattutto per la sua serietà. Quella stessa serietà che ora lo sta accompagnando in una nuova avventura: allenare la Primavera del Siena.
Marco, dove risiede il segreto di un settore giovanile?
“Nella pazienza. Quella che purtroppo manca in Italia: un Paese che vive di calcio, ma lo fa in un modo troppo nervoso”.

Non un ambiente ideale per un giovane calciatore.
“Assolutamente. Bisognerebbe cambiare la cultura del “tutto e subito”. Un giovane che viene aggregato alla prima squadra può dare tanto. Ma contemporaneamente può togliere molto: purtroppo non c’è la pazienza di saper aspettare la completa maturazione. Lo dico francamente: a volte preferiamo andare a spendere venti milioni di euro per un diciottenne come Pato, piuttosto che dare fiducia a un nostro ragazzo. E non è giusto, perché in Italia c’è un serbatoio infinito che non viene sfruttato a dovere”.

Il Napoli è fallito cinque anni fa, quanto è difficile ricostruire un settore giovanile dal nulla?                                              “Tanto. In primis bisogna dotarsi di persone competenti. Persone che abbiano vissuto il calcio da protagonisti, conoscitori della materia per averla praticata in campo. E poi, le strutture: sono fondamentali per imprimere ad un giocatore in erba la motivazione giusta e la sicurezza necessaria”. I matematici direbbero: come volevasi dimostrare.

 

Nella sua storia, il Napoli ha vinto il campionato Primavera solo una volta, nel lontano 1979. Alla guida di quella squadra c’era Mario Corso, ex calciatore dell’Inter autore del famoso calcio di punizione chiamato “a foglia morta”.

Corso, che ricordi ha di quell’impresa?
“Pensieri bellissimi. Fu una vittoria straordinaria, programmata e fortemente voluta. Eliminammo qualsiasi difetto si ponesse davanti ai nostri occhi, ci circondammo di persone molto capaci, come Angelo Sormani ad esempio. E in quella squadra c’erano giocatori tecnicamente molto forti. Di Fusco, Caffarelli, Musella, Celestini, Volpecina, tanto per fare dei nomi. Alcuni di loro anni dopo avrebbero vinto lo scudetto con la maglia azzurra”.

Quale fu la difficoltà maggiore?
“Quella che ancora oggi rappresenta uno dei problemi principali. Il rapporto con i genitori dei ragazzi: molto spesso le famiglie ripongono sui giovani aspettative troppo alte, che vanno al di là del calcio. Io cercai in un certo senso di isolare la squadra per farla rendere al meglio. Evidentemente ci riuscii, dati i risultati”.

Perché in Italia è così difficile per un giovane calciatore affermarsi?
“Manca la tranquillità necessaria. Noto però che alcune trasformazioni, anche se molto lente, iniziano a intravedersi. Se anche Milan, Inter e Juventus iniziano a curare molto bene il settore giovanile, può darsi che qualcosa sia destinato a cambiare”.

Santon: un solo campionato alle spalle, 17 anni e la convocazione di Lippi: anche questo è un segnale?
“A volero interpretare così, sì. Anche se sono convinto che a volte fare il passo più lungo della gamba può essere deleterio. Santon ha fatto un buon campionato, sarebbe stato meglio far spegnere un attimo i riflettori su di lui”.

C’è un consiglio che sente di dare al Napoli, impegnato nella ricostruzione del settore giovanile post-fallimento?
“Con i giovani ci vuole occhio. La Campania è terra fertile di ragazzi che sanno giocare a calcio, bisogna agire sul territorio. E per farlo occorre soprattutto un’organizzazione capillare, che abbia come centro nevralgico una struttura di gioco importante”.
En plein. Ve l’avevamo detto, no?

(2-Fine)
 

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