Da Zero a Dieci: Diawara “inchioda” Sarri, l'allarme di cui non si parla, l’invito alle bocce ai mostri e la scena di Manolo che nessuno ha visto

20.10.2016 10:55 di Arturo Minervini Twitter:    vedi letture
Da Zero a Dieci: Diawara “inchioda” Sarri, l'allarme di cui non si parla, l’invito alle bocce ai mostri e la scena di Manolo che nessuno ha visto
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(di Arturo Minervini) - Zero ai funerali anticipati. Al primo raffreddore, quelli rintanati per i primi quindici mesi della gestione Sarri, hanno l’occasione di venire allo scoperto e sputare odio a caso contro questa squadra. Nel primo momento difficile, la tentazione di scaraventarsi sul carro degli accusatori è troppo forte per chi non conosce il significato della parola coerente. Invece di limitarsi ad analizzare ciò che accade (ed il momento è difficile), si ricorre alla squallida dietrologia da quattro soldi. Così, come d’incanto, Sarri si trasforma in un incapace che gira in tuta e la squadra un’armata brancaleone senza futuro. É proprio vero: I più pericolosi nemici sono quelli da cui l’uomo non pensa a difendersi.

Uno alla prima sconfitta interna in Champions League. Questo numero, l’uno, può spiegarne in parte i motivi. Dal Napoli di Mazzarri a quello di Benitez, ogni gara al San Paolo con quella musichetta era stata vissuta come evento unico, occasione storica da vivere a pieni polmoni. Questa magia nell’aria mancava nella notte di Fuorigrotta, con un pubblico sempre troppo spaccato ed una squadra che non aveva l’umiltà e la lucidità per lasciarsi trasportare dall’entusiasmo necessario. La soluzione sarebbe stata semplice: chiamare Will Smith di nero vestito, “Sparaflashare” il gruppo azzurro con il suo aggeggio cancella memoria. Dimenticare, in questo caso, sarebbe la soluzione più veloce per ritrovarsi.

Due gare con sei punti, quelle precedenti, rappresentano un paracadute importante. Siamo in picchiata, è il momento di tirare quella leva e smettere di affidarsi alle invocazioni alle divinità. Nonostante tutto il Napoli è ancora al primo posto nel girone ed è l’unico fabbricante del suo destino europeo. E non c’è più grande libertà di questa, una sensazione che dovrebbe invadere la mente di una squadra bloccata più della lampo di Ben Stiller nell’inizio di Tutti Pazzi per Mary.

Tre le volte in cui Reina è stato costretto a raccogliere il pallone dalla rete. Queste le uniche occasioni in cui lo spagnolo ha mostrato una certa mobilità, assente quando invece era necessario. Crolla in anticipo sulla rete del 1-2 come una Torre di Pisa spinta da una forza occulta, si attacca al pavimento più di una fetta biscottata stracolma di marmellata che ti cade dalle mani, cadendo sempre dal lato della confettura, sull’azione che condanna il Napoli. Alla vigilia aveva dichiarato di sentire il peso della responsabilità. Con i turchi ha confermato di sentire ancora di più quello degli anni. Milan Kundera lo direbbe così: “La nostalgia è la sofferenza provocata dal desiderio inappagato di ritornare”.

Quattro alla gestione di Jorginho ed all’incoerenza di fondo di Sarri sulla questione. Il tecnico a fine gara afferma che il regista è in realtà “Vittima della squadra” ma non ci spiega perchè, considerando che la condizione attuale è questa, insiste con l’italo-brasiliano. Un accanimento terapeutico insensato e che palesa meno flessibilità di un pezzo di pane congelato. Sarri accusa chi lo accusa di non vedere gli allenamenti. Vero (ricordiamo che non si vedono perché sono più inaccessibili della sala trucco di Valeria Marini), ma le partite le vediamo assieme a lui e la poca lucidità di Jorginho non può essere contestata. Combattere contro i mulini a vento è roba da affidare alla penna di Cervantes, il calcio è come l’amore: una cosa semplice. L’orgoglio può spesso diventare la virtù di un infelice.

Cinque reti stagionali per Mertens, che in questo momento vorremmo trovare all’esterno di un centro commerciale fossimo dei volontari che raccolgono donazioni di attributi. Segna da attaccante vero, fintando il movimento sul secondo palo e tagliando sul primo, si conquista due rigori con l’astuzia di uno scugnizzo che gioca tra le automobili parcheggiate andando a caccia delle traiettorie imprevedibili di un Super Santos. Gioia di rincorrere un pallone e cattiveria di chi avverte che questo è il momento di provare a superare i confini che sono nella testa. Esempio per tutti. Anche di quelli che Scugnizzi lo sono stati per davvero, prima di dedicarsi con più attenzione agli zero sui contratti.

Sei, con diversi più, all’esordio di Diawara, prova visibile della confusione di Sarri. Il tecnico aveva giustificato l’assenza di Rog spiegando che arrivava da un diverso campionato, non parlando però di Diawara che in Italia ha disputato, da protagonista assoluto, una grande stagione con il Bologna. Pochi secondi sono bastati al classe ’97 ad inchiodare il tecnico per le colpe sull’eccessiva prudenza che accompagna la sua gestione. Amadou è acqua gelida sul viso, terapia utile per chi sembra avere gli occhi attaccati dopo il risveglio da un incubo che dura ormai da tre partite. Ed è “Pronto” più di un lucidante per il legno (questa era davvero brutta).

Sette agli incredibili sostenitori turchi: spettacolo assoluto. Tra le meraviglie del calcio c’è quella passione che si emana a banda larga dai sostenitori del Besiktas, che senza tregua hanno supportato la squadra anche nei momenti difficili. Un vero esproprio territoriale, con il San Paolo spesso incapace di reggere botta ai cori ospiti. La spiegazione è molto semplice. L’unione fa la forza, mentre a casa nostra si vive una smodata passione per il dividere. E per distruggere.

Otto tiri nello specchio, diciassette totali, così come i corner battuti dagli azzurri. Quelli che parlano di cambiare modulo dovrebbero aprire un browser a caso (se scegliete Internet Explorer portatevi qualcosa da leggere), cercare su Google l’indirizzo del bocciodromo più vicino ed iniziare a frequentarlo per apprendere i primi rudimenti sul nuovo sport da seguire. Il Napoli crea tantissimo e concede troppo, ma non è questione di assetto ma di automatismi perduti. Spesso, come diceva Salemme in “Cose da Pazzi”, è solo un caso che cadano le tue regole e non quelle degli altri. 

Nove gol in meno di quattro gare senza Albiol. Lo spagnolo ha lasciato il campo al minuto 11’ di Napoli-Benfica e, da allora, nulla è stato più come prima. Sbando totale del reparto, gregge di pecore abbandonato senza una vera guida. Ennesima conferma che una squadra di calcio è esattamente paragonabile ad un orologio, con i suoi ingranaggi che lo fanno funzionare al meglio. Anche quelli invisibili risultano funzionali allo scopo. Senza Raul per il Napoli l’ora è sempre sbagliata, imprigionato in un frammento spazio-tempo impazzito come il protagonista di Interstellar.

Dieci all’immagine più bella della serata. Secondo rigore per il Napoli, mucchio selvaggio attorno al direttore di gara. Frastuono, luci dei cellulari che si accendono sulla scena principale. Pochi metri più in là, la magia del calcio. Manolo Gabbiadini prende silenziosamente (è la sua natura) il pallone e lo piazza sul dischetto. Fissa la porta vuota, con Fabri impegnato nelle proteste. É completamente solo, una sensazione che avrà percepito spesso in queste settimane con la gestione scellerata di Sarri. Alza lo sguardo al cielo, respira profondo. Il mondo attorno è ancora fuori dalla sua porta. Secondi lenti, il battito che decide di raggiungere la gola. Prima il meraviglioso silenzio prima dell’esecuzione, poi la gioia che ha il sapore di vendetta. A pochi passi da lui, con il volto ricoperto di lacrime, c’è Lorenzo Insigne che negli occhi ha il rigore sbagliato e nelle orecchie la valanga di fischi che gli ha gelato il cuore. Estremi di un Napoli che paga strategie comunicative sbagliate dei singoli (Lorenzo ed i suoi agenti), della società (che fine ha fatto Cristiano Giuntoli?) e dell’allenatore.