Clemente di San Luca a TN: "Gli arabi, Zielinski e il senso della vita"

Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo all'Università della Campania Luigi Vanvitelli, ha espresso alcune considerazioni sul momento di casa Napoli.
11.08.2023 11:50 di  Redazione Tutto Napoli.net  Twitter:    vedi letture
Clemente di San Luca a TN: "Gli arabi, Zielinski e il senso della vita"

Ascoltare il silenzio nelle valli incontaminate dell’isola lontana, e contemplare il mare solitario nella sua muta e potente solennità aiuta a comprendere l’inutilità, la vanità del frenetico rincorrere l’impegno da assolvere di volta in volta. Ci s’interroga sul significato ultimo ed implacabile dell’esistenza, la vita e la morte. Sembra privo di senso persino il battersi per i grandi valori in cui hai creduto sin da giovane. Così come le passioni. E fra queste pure la malatìa azzurra pare affievolirsi, perder nitidezza, sfocarsi, assalita dalle notizie, o meglio dalle non-notizie, del calciomercato.
Tutti a meravigliarsi, a gridare allo scandalo per la ‘questione araba’. E cosa c’è da stupirsi? È perfettamente in linea con il sistema del mercato capitalistico, che nessuno ha intenzione di mettere in discussione. Se le regole sono queste, chi ha più soldi s’impone. E se c’è qualcuno che dà concreta testimonianza di provare a resistere a quella logica perversa, ecco che viene puntualmente e inesorabilmente mortificato. Nella generalizzata indifferenza. Che tristezza.
Il «saper fare calcio» viene considerato elemento meritevole di apprezzamento tale da pagare agevolmente il prezzo di asfaltare cinicamente ogni sentimento. Si deve cambiare per migliorare (le vicende della scorsa estate insegnano: chi avrebbe detto che il grande Koulibaly non sarebbe stato rimpianto per merito di Kim, o il ricordo di Insigne cancellato da Kvara, e via dicendo). Abbiamo goduto dello scudetto, e ancora godiamo.

Questo impone di non discutere il ‘manovratore’.
Tuttavia, basterebbe dire la verità. Dichiarare apertamente che si vuol cambiare. Non contrabbandare queste scelte con le indefettibili esigenze finanziarie. E poi questa storia inascoltabile che «i contratti si devono rispettare» (che ho già spiegato essere, appunto, una ‘storia’, perché i contratti si rispettano anche risolvendoli, e non potendo essere confusi con la volontà negoziale che li tiene in vita). Perché – mi domando – la stampa che invoca il principio lo fa solo in una direzione? E si alimenta la convinzione che bisogna combattere i procuratori, che «sono il male del calcio». Come se gli altri attori di questo circo insopportabile fossero angioletti vocati al bene dell’umanità.
Perché nel caso di Zielinski – che aveva virtuosamente rifiutato il danaro arabo, accettando di prolungare il contratto con diminuzione del suo compenso, pur di continuare a coltivare il suo amore per l’azzurro e la città – non si dice a chiare lettere che imporre la riduzione del compenso anche per l’anno già ‘contrattualizzato’ consisterebbe in un mancato rispetto del contratto? Vale solo per i giocatori l’invocato (a sproposito) rispetto dei contratti? Non vale anche per le società? Perché vengono adoperati diversi metri di commento? Si registra con amarezza il comportamento verso un giocatore così importante, che ha dato chiari segnali di apprezzabilissima controtendenza rispetto a questo mercimonio indecente. Un atteggiamento come questo, fra l’altro, rischia seriamente di sfaldare la unità della squadra ed il suo senso di appartenenza alla città.
Così come l’affaire Osimhen, avvolto (secondo me, intenzionalmente) in una nube densa di illazioni ed incertezze. O le brutte dichiarazioni del procuratore di ‘Marittiello’ Rui. E quelle del Presidente, altrettanto sgradevoli (e pure non vere, a giudicare dal caso Zielinski) verso il Chucky. Ma a chi conviene tenerlo a libro paga senza farlo giocare? E dove starebbe la linea del rigore finanziario? E poi lo trovi uno altrettanto forte a pochi soldi? In fondo lo hai ammortizzato, tienilo fino a scadenza, e magari ti fa pure la migliore stagione.
Tutto mi pare estremamente distante, lontano anni luce dalle mie sensibilità. Eppure, lo so perfettamente, il 19 sarò seduto nel bar centrale del piccolo paese dell’isola, circondato dagli amici locali uniti a me, che li ho contagiati nel tifo per il Napoli (tengano essi per l’Olympiacos, l’AEK o il Panathinaikos non cambia), per la prima degli azzurri a Frosinone.