Guido Clemente di San Luca a TN: "Ecco spiegate le ragioni del disorientamento del Napoli"

Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo, Università della Campania Luigi Vanvitelli, ha scritto un editoriale per Tuttonapoli con alcune considerazioni legate al momento del Na
21.01.2020 12:10 di  Redazione Tutto Napoli.net  Twitter:    vedi letture
Guido Clemente di San Luca a TN: "Ecco spiegate le ragioni del disorientamento del Napoli"

Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo, Università della Campania Luigi Vanvitelli, ha scritto un editoriale per Tuttonapoli con alcune considerazioni legate al momento del Napoli ed allla questione San Paolo.

"La sensazione al risveglio, domenica mattina, è stata insieme di sconforto e di disorientamento. Ho provato a fare ordine fra le ragioni che potevano spiegarla. Se lo sconforto può dirsi in re ipsa, nel fatto stesso della ennesima sconfitta, il disorientamento – e cioè, letteralmente, la perdita di consapevolezza della reale situazione in cui ci si trova rispetto al tempo e allo spazio – richiede un esame ed un ripensamento più attenti.

Prima di tutto, il profilo strettamente calcistico. Dal punto di vista tecnico-tattico e temperamentale, le partite con il Perugia e la Fiorentina, rilette insieme, restituiscono un’idea di sopravvenuta incertezza sulla convinzione maturata dopo le prime tre settimane del lavoro di Gattuso. Se le partite con l’Inter e la Lazio avevano confermato che la strada intrapresa fosse quella giusta, dopo le ultime due – ma soprattutto dopo la partita con i viola (ché per quella coi grifoni si poteva pure spiegare la scelta di ‘gestire’ il gioco) – i dubbi si fanno sinistri.

Non è tanto l’aspetto fisico-atletico, giacché, dopo gli evidenti problemi generati dalla guida ancelottiana, la mancanza di brillantezza può ritenersi fisiologica. E nemmeno quello strettamente tecnico-tattico, perché s’intravede una nuova identità del gioco, anche al netto di qualche errore del mister: sia nella impostazione (errore corretto, ma in ritardo) sia nella lettura della partita (nel cambiare assetto per recuperare, è inspiegabile quel Fabian Ruiz in campo fino alla fine; per Demme doveva uscire lui o Zielinsky, non Allan; e poi perché non provare Lobotka per una ventina di minuti?). No, quello che disorienta – lo stesso Ringhio l’ha dichiarato, nello sconcerto – è la mancanza di anima. Che invece sembrava essersi rivista. Da che dipende? Le dichiarazioni di Gattuso fanno riflettere. Lo spogliatoio è spaccato? Fra chi? E perché?

Naturalmente, una parte della stampa (e dei ccdd. ‘opinionisti’) ha prontamente ripreso le parole del mister per strumentalizzarle portando acqua al suo mulino. Credo fermamente che questa pratica sia da evitare. E non solo perché è eticamente riprovevole. Bensì, soprattutto, perché non aiuta a comprendere. Certo, conoscere i fatti è indispensabile per esprimere opinioni. Ma i fatti. Quelli comprovati, indiscutibili. Non quelli generati da una (quasi mai genuina, e sovente artificiosamente maliziosa) immaginazione.

Nessuno ce li riferisce con certezza. Si ragiona su supposizioni, più o meno attendibili. Si può così immaginare che i malumori nascano da divergenti posizioni rispetto alla linea del Presidente sulle sanzioni per l’impropriamente definito ‘ammutinamento’. Da gelosie reciproche per situazioni contrattuali, alcune (purtroppo ancora) incerte, altre frutto di valutazioni della qualità del calciatore non corrispondenti al valore mostrato sul campo. O ancora, magari, da semplici antipatie.

Una cosa però sembra chiara. Che tutto quel che c’è sotto – se c’è – è riconducibile ad una erronea gestione da parte del Presidente e, principalmente, di Ancelotti. Perché delle due l’una: o non è stato capace di tenere lo spogliatoio (unica vera virtù della sua luminosa e fortunata carriera); oppure è stato costretto a subire le ‘angherie’ del Presidente, e allora avrebbe avuto il dovere di riferirne, così risultando definitivamente trasparente che ADL aveva utilizzato la sua assunzione per potersi liberare di Sarri senza contestazioni.

Certo non si può attribuire alcuna responsabilità a Gattuso. La sua comunicazione è semplice ed essenziale. Altro che ‘politico consumato’. Ha fatto capire – senza voler offendere chi gli è assai caro – che ha ereditato una squadra spaesata e priva di un’adeguata condizione atletica. Nessun ‘registro populistico anti-Ancelotti’. Solo garbato modo di dire la verità. Ripeto: se c’è del marcio nello spogliatoio – ed è tutto da dimostrare –, il principale responsabile è Ancelotti, il quale ha lasciato che, poco alla volta, si sfasciasse una realtà collettiva straordinaria. Inseguendo un’idea – il calcio liquido – che personalmente considero folle in sé, ma che è oggettivamente folle per una realtà come la nostra.

Il bambino che sabato sera piangeva, al quale, più o meno retoricamente, tutti hanno fatto riferimento, in gran parte deve il suo dispiacere ad un allenatore che, pur se super-blasonato, non ha mai veramente allenato, ma solo gestito grandi giocatori, e a Napoli ha ‘bonariamente’ desertificato quanto ha trovato. Se pure fosse vero che aveva diagnosticato un malessere preesistente, comunque non è stato capace di guarirlo. Che avesse fatto quella diagnosi, peraltro, resta una mera illazione, una congettura vaga e indimostrata, avanzata da coloro che intendono difenderlo ideologicamente, a prescindere dai fatti, perché convinti d’esser portatori di un pensiero illuminato.

L’assunto meriterebbe di aprire una parentesi – alla quale, ora, si può fare solo un cenno (ma non sarà inutile tornarvici) – sulla questione del metodo nelle scienze umane e sociali. Se il rigoroso uso della ragione si deve basare sull’uso del metodo empirico nella scienza, ebbene occorre confrontarsi con la ontologia dei fenomeni senza pretendere di calarvici su la propria visione del mondo. Napoli è quella che è. Certo, si può, ed è virtuoso, operare per ‘correggerne’ i difetti. Ma questo non può significare alterarne la natura. Così facendo si fallisce. Non si ottengono miglioramenti. Anzi, si fa disperdere la bellezza della unicità. La ricetta, insomma, non è omologarci, farci uguali agli altri. Se così fosse, nessuno più sarebbe curioso di venire a visitare la città. Ma poi, se è così male, viene di domandarsi cosa trattiene qui i novelli illuministi (della ragion loro).

Chiusa la parentesi, e tornando alla ricerca delle cause del disorientamento, al perché della mancanza di anima, mi accorgo che quanto espresso poc’anzi non mi appaga, perché non la giustifica. Scavando più in radice, allora, realizzo che la parentesi è solo apparentemente eccentrica. Mi rendo conto cioè che la ragione più vera, più intima, sta proprio nel profilo socio-antropologico della vicenda e nelle sue inevitabili ricadute su quello giuridico-istituzionale. Può sembrare un discorso astruso e poco comprensibile. Non lo è. Mi spiego.

Sabato sera, andando a piedi dalla macchina allo stadio ho notato un capannello di persone davanti ad una sede degli ultras. Discutevano con sentimento, ma pacatamente, se e come proseguire nella loro astensione di protesta. Mi hanno fatto tornare alla mente le riunioni dei collettivi universitari degli anni ’70. Osservandoli m’è apparsa evidente la gigantesca contraddizione del ‘sistema’ calcio. È ben noto che questo si fonda, indubitabilmente, su un elemento pubblicistico: la identificante passione collettiva, che si combina con la rappresentatività territoriale. Ma è giuridicamente organizzato secondo una logica privatistica: quella imprenditoriale del profitto economico (la stessa secondo cui, per altri aspetti, le regole del gioco sono formulate e applicate, non per garantire eguaglianza, ma per favorire i club economicamente più forti).

Un imprenditore non può rispondere al popolo. Eppure è proprio questo quel che la gente pretende. I video amatoriali che circolano sul web palesano la contraddizione in maniera inequivocabile. Chi si deve far carico della passione collettiva, delle lacrime dei bambini tifosi? S’invoca il coinvolgimento dei giocatori, si chiede che il Presidente ceda la società. Purtroppo, nessuno di questi auspici è fondato sul piano giuridico-istituzionale. Il calcio soggiace alle regole del mercato. Il giocatore è un professionista e bada ai suoi interessi. Il Presidente lo fa a maggior ragione.

Forse però dovrebbero maggiormente considerare che la ragion d’essere di questo specifico mercato è la passione popolare. Ove ciò si trascuri, si rischia di compromettere la capacità produttiva dell’azienda. E, potessi parlare io ai giocatori, direi loro, appassionatamente, che sono esponenziali di una comunità, di una terra, del popolo azzurro, che sente di essere da loro rappresentato. E proverei accoratamente a spiegargli – anche se sono certo che ne hanno buona consapevolezza – che battersi per questa causa coincide anche col loro interesse professionale.

Alla luce di quel che ho espresso, è di conforto la notizia della interlocuzione fra tifoseria organizzata, istituzioni e società Calcio Napoli, tramite l’opera di mediazione dell’avv. Coppola e dell’Assessore Borriello. La simbiosi fra squadra e città richiede un mix complesso. Ad ognuno la sua parte. Il contributo degli ultras per ritrovare l’anima è decisivo. Il loro ritorno dimostri che la vera passione azzurra non ha niente a che fare con la pretesa di ‘zone franche’, richiede solo di potersi esprimere adeguatamente. Organizzarsi per fare il tifo non vuol dire delinquere. Chi delinque è delinquente e va perseguito.

Stasera facciamo sentire, tutti insieme, che siamo ancora vivi".