Da 0 a 10: l’apparizione shock a bordocampo, le pa**e quadrate di Zielinski, la balla sull’esultanza di Osimhen e l’orgasmo Kvara

Il Napoli vince e convince: segna Osimhen e finalmente Kvaratskhelia. Torna un grande Anguissa e Garcia ripropone un Napoli spallettiano.
28.09.2023 17:21 di  Arturo Minervini  Twitter:    vedi letture
Da 0 a 10: l’apparizione shock a bordocampo, le pa**e quadrate di Zielinski, la balla sull’esultanza di Osimhen e l’orgasmo Kvara
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Zero alla vivisezione dell’esultanza di Osimhen. “Non sorride”, “Muove leggermente il sopracciglio sinistro”, “Non ha guardato Garcia negli occhi dopo aver abbracciato Lindstrom”. Insomma, mancava solo Bruno Vespa col suo amato plastico per ricostruire gli eventi. La verità? Tante volte, già lo scorso anno, Victor esultava in quel modo, lasciandosi travolgere dall’abbraccio dei compagni. 

Uno il gol subito, che è una meraviglia di quel potenzialmente meraviglioso che è Samardzic, su cui sarebbe cosa buona e giusta fare un pensierino.  Spaziale lo slalom di Lazar, ma la difesa del Napoli è stata troppo superficiale e frettolosa in quell’unica sbavatura di tutto il match. Il calcio è come la macchinetta del caffè: puoi starci attento tutto il tempo, poi ti distrai un secondo e quella viene sù come fosse un geyser e ti sporca tutta la cucina.

Due pali frantumati da Kvara, che canta “Mi fa smaniare questa voglia” come fosse De Crescenzo. Voleva ‘Ancora’ far gol, al punto da prendere a sassate la finestra accesa di Silvestri per tornare a fare l’amore con il suo pubblico. L’attesa del piacere, ieri più che mai, è stata essa stessa piacere. Ralph Spaccatutto.

Tre punti che non sono tre punti, perchè un numero non ti lascia negli cuore quella sensazione di gioia ritrovata (a meno che non siano le cifre di un bonifico in entrata). Quella di ieri non è una vittoria, è un messaggio arrotolato dentro a una bottiglia e lanciato in mezzo al mare. È una promessa di volerci provare, di riprovarci. Non sappiamo se quella promessa arriverà a destinazione, ma una cosa la sappiamo: che ci sono le basi per poterla onorare. Questo Napoli è come Christian De Sica in Gran Casinò: "Spartaco s'è liberato dalla catena!”

Quattro punti dalle capoliste meneghine, con l’Inter che scopre delle debolezze che pensava di non avere ed un Milan che passeggia sul cantiere di un Cagliari messo male per davvero. Il Napoli è l’unica ad aver vinto in Champions e si ritrova a pochi passi da chi veniva descritto come possibile tiranno di questo campionato. Se le altre ritrovano le imperfezioni che avevano nascosto negli armadi assieme agli scheletri e il Napoli ritrova la meraviglia del suo ieri, potremmo ancora vederne delle belle.

Cinque mediani dell’Udinese ingoiati da Anguissa come fossero noccioline. Giganteggia Frank, il nostro Frank, quello che ci ricordavamo dominare le partite sbadigliando. Impone la sua volontà, come Giucas Casella che ti fa svegliare solo ‘Quando lo dice lui’. Col socio Stan fa girare la squadra che è una meraviglia, smistando palloni al ritmo della luce e concedendosi giocate nello stretto che mandano fuori di testa il Maradona. Con questo Anguissa l’unico limite è il cielo. E forse manco quello. 

Sei-tre per 63’ di un Politano abbacinante. Manco fosse il capitone che fa impazzire la Rachilina di Bellavista, Matteo sguscia via tra i difensori senza che questi riescano ad afferrarlo. Affonda sulla destra, non disegna le variazioni sul tema sull’altra corsia, trovando l’esterno mancino per l’assist a Osimhen che è una sfera di caviale che si scioglie sul palato. In 342’ in campo in Serie A ha segnato 2 gol e sfornato 2 assist: la calcolatrice mi dice che ogni 85’ partecipa ad una marcatura azzurra. Avvio di stagione pazzesco. E alle spalle c’è un Lindstrom che ci farà divertire…

Sette a Garcia, che comprende come fare qualche passo indietro possa essere una rincorsa per un grande salto. Il Napoli torna Spallettiano, ma non è mica un’offesa, è la constatazione che quel sistema sia più funzionale alle caratteristiche dei calciatori. Rudi non deve farne una questione personale, anzi lavorare su quella struttura e renderla ancor più performante. È il presente che si tuffa nel passato per darsi un futuro, per concedersi la possibilità di levigare un capolavoro che è stato già forgiato. Il David di Michelangelo lo devi custodire, mica sgretolarlo e provare a fare una scultura diversa. Spalletti non uscire da questo Garcia.

Otto a Pietro lo spietato, che si assume il compito di calciare un macigno dagli undici metri e nemmeno si scompone. Sale in cattedra Zielinski, ci si alza proprio in piedi per cogliere l’Attimo fuggente e levare i cattivi pensieri bolognesi dalla testa di Victor. È sempre più maturo, glielo si legge negli occhi, che raccontano di una voglia matta di sentirsi padrone di una maglia che ha scelto di indossare a tutti i costi. “La mia terra è dove trovo la pace e la tranquillità”. Eh sì, il Maradona deve necessariamente essere la terra di Zielu.

Nove a Victor che ci ricorda la storia della rana e lo scorpione: nessuno sfugge dalla sua natura. Osimhen è progettato per far gol, in ogni modo, da qualsiasi posizione, con ogni parte del corpo. Era arrabbiato ieri, col mondo intero, ha reagito male. Non è vero che non ha salutato Demme, in quel momento non voleva salutare nessuno. Voleva starsene rintanato nel suo mondo, nei cattivi pensieri che quel video osceno avevano generato. Poi il mondo si fa da parte, ci sono solo lui, un verde prato ed un pallone. Lì, dentro quel mondo dentro al mondo, una grande parentesi dell’esistenza, Victor è implacabile, perfetto, come una divinità. Fuori dal mondo è uguale a tutti noi: può sbagliare, pentirsi, chiedere scusa e ricominciare da capo.

Dieci all’attimo di eterno che c’è in Kvaratskhelia. È come guardare una clessidra che interrompe il suo flusso, rintanati in uno spazio dove le cose accadono più lentamente e la bellezza si lascia contemplare senza essere divorata dalla fretta. Quando si presenta dinanzi a Silvestri e lo scavalca non è solo un artista fra altri nel mondo fluttuante, è un'isola, un continente, è da solo un mondo. C’è il rischio di perdersi dentro a quell’istante di stordente poetica, un canto di una sirena che vince ogni resistenza dei sensi. È nascere, morire e rinascere mentre un pallone addomesticato disegna nell’etere il simbolo dell’infinito. L’amore che vince ogni cosa.

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