Da 0 a 10: la frase scioccante di Garcia, il labiale di Kvara al cambio, l’umiliazione a Simeone e la ridicola scusa Champions

Il Napoli è orribile per oltre 60 minuti contro il Genoa: Garcia salvato dalle invenzioni di Politano e Raspadori. Kvara si arrabbia per il cambio.
17.09.2023 19:26 di  Arturo Minervini  Twitter:    vedi letture
Da 0 a 10: la frase scioccante di Garcia, il labiale di Kvara al cambio, l’umiliazione a Simeone e la ridicola scusa Champions
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Zero al cambio di Kvaratskhelia con Zerbin, col 77 che fa pure la faccia alla Tiziano Ferro mentre canta “Non me lo so spiegare” e “Un po' mi manca l'aria che tirava”. Garcia voleva difendere il pareggio? Come fai a togliere uno che può sempre inventare qualcosa nel momento dell’ultimo assalto? Che avranno pensato in quel momento Simeone e Lindstrom? Che gestione cervellotica è? “Volevo dimostrare che chi si allena bene può giocare” dice Rudi, che si propone come mental-coach di Zerbin. Forse non ha capito che l’hanno chiamato per vincere le partite: non siamo al raduno degli scout.

Uno il punto guadagnato, questo dice il campo. Anche se Garcia dice il contrario. Il Napoli avrebbe meritato di perderla, è stato salvato da due invenzioni dei singoli. Ma questo era un meraviglioso coro e qualcuno dovrebbe spiegarci perchè è stato trasformato in un branco di solisti. Eravamo sinfonia, ora siamo note isolate. 

Due gol presi da calcio d’angolo e la riflessione deve farsi più ampia. C’è da chiedersi come sia potuto accadere che Juan Jesus, arrivato due anni fa come quinta scelta del reparto arretrato, sia divenuto in questo avvio di stagione (dopo uno scudetto vinto) quello che le ha giocate tutte lì in mezzo. Il peccato originale, non aver sostituito Kim con un centrale di livello assoluto, sarà su di noi fino al battesimo di Natan. Il grande azzardo di un club che è troppo innamorato delle proprie scommesse. Ma le scommesse a volte le perdi.

Tre presenze con 20 minuti in campo. La faccia di Simeone, quando entra Zerbin, è quella di uno ferito nell’orgoglio. Non è tipo da far polemica, quella maglia la ama troppo. Ma il suo cieco amore, non può essere così calpestato “D’uno che non lo amava niente”. Sei in rimonta, hai tutto il tempo di vincerla, per l’assalto finale mettere Zerbin e non il Cholito: come scegliere Daniele Capezzone per la provare a vincere un Contest sulla simpatia. 

Quattro giorni prima di Braga e Garcia si inventa la genialata: “Prima della Champions non è mai facile”. Rudi. Rudi. Rudi. Ma lo vedi cos’hai sul petto? Riesce nel miracolo: di farci inca**are più con le dichiarazioni post gara, che durante un match orrendo. E non era facile. Abbozza scuse, non dà vere risposte, si rifugia nel copione prestampato. Un uomo in confusione, che s’è forse messo in un guaio più grosso di lui. Spalletti s’era inzuppato sin dal primo giorno in questa città, Rudi pare sia stato rigettato dall’ambiente. Ad oggi è un corpo esterno, il Napoli è una pelle che non abita.

Cinque, di nuovo, ad Anguissa. Dov’è sta Frank? Che era entrato in ciabatte a Frosinone e aveva finito per dominare la gara. Distante, scollato, rallentato nei tempi di reazione e d’esecuzione. La sua forza motrice è fondamentale per regolare gli equilibri del pianeta Napoli, quella sua capacità di incidere profondamente sul risultato finale senza dover nemmeno alzare i giri del motore. Un altro caso di calciatore troppo differente dall’edizione precedente: di qualcuno dovrà pur esser colpa.

Sei partite in diciotto giorni e la sensazione di arrivare impreparato agli esami. Un senso di precarietà inatteso, illogico, inspiegabile dopo le meraviglie dello scorso anno. Garcia è arrivato e pare aver bruciato i testi antichi, il suo poco rispetto per ciò che è stato è racchiuso nella frase “Io ho il mio calcio, non conosco il passato”. Se questo è il suo calcio, rischia di diventare anche lui ‘passato’ prima di rendersene conto. Più in imbarazzo di Cesara Buonamici che al Tg5 annuncia le oscene fiction in prime time.

Sette punti in quattro gare, con cinque briciole già lasciate per strada. Vola l’Inter, la Juve si mostra solida ed in un turno che sulla carta doveva essere favorevole, si perdono altri punti. E i punti non tornano mai indietro. Quelli di oggi valgono come quelli di marzo, quando si decidono i giochi. Per giocartela, però, devi tenere il passo, riprendere la giusta andatura. Vorresti qualche spiegazione da Garcia, come Nanni Moretti che davanti alla tv prega D’Alema a dire qualcosa. Qualsiasi cosa. E invece Rudi ride. 

Otto a Politano, che lancia l’ancora di salvataggio al suo tecnico. Altro gol, bellissimo, dopo quello dell’esordio a Frosinone. Una continuità che era stata minacciata dall’infortunio e che invece Matteo ha con caparbietà mantenuto. La catena con Di Lorenzo è, e deve diventare sempre di più, punto di forza. Anche per dare respiro a Kvara dall’altra parte della luna. Lo scorso anno ha segnato 3 gol in tutto il campionato: quest’anno l’obiettivo DEVE essere la doppia cifra.

Nove al mancino di Jack, parentesi di bellezza assoluta nella notte consacrata a sua divinità Maalox. Dopo la gastrite, Raspadori ribadisce (a chi stava pure pensando di fargli fare la mezzala), che lui è una punta. Che se sta nei pressi dell’area di rigore, fa succedere cose belle. Che di destro e di sinistro può fare sempre gol. Può fare gol dal nulla, ribaltando l’inerzia della gara come un calzino. È la classe di Giacomo a salvare il Napoli da una lunga notte di processi. Una classe che va indirizzata, tutelata, gestita: quei gol lì appartengono a categorie protette di attaccanti.

Dieci all’autogestione. C’è stato un momento, dopo settanta minuti di puro nichilismo che si ispira a Nietzsche, in cui la squadra s’è ridestata. È sembrata quasi mettersi in proprio, ripescando dal pozzo testi abbandonati, codificazioni di un calcio che qualcuno ha voluto disperdere come cenere. La qualità pazzesca di Zielinski nell'assist, i mancini illuminati di Raspa e Matteo, sono echi di un Napoli che nasconde un potenziale enorme. Bisogna scoperchiare di nuovo quel vaso di Pandora, tappato dall’ottusa ostentazione del proprio ego da parte di un allenatore che avrebbe dovuto tutelare, non distruggere, un patrimonio da lasciare immacolato ai posteri.

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