Da Zero a Dieci: la festa juventina a Cercola, l’uomo che ha spaccato in due la squadra, le infamie su Hamsik e l’ultimatum più importante

26.04.2016 10:57 di Arturo Minervini Twitter:    vedi letture
Da Zero a Dieci: la festa juventina a Cercola, l’uomo che ha spaccato in due la squadra, le infamie su Hamsik e l’ultimatum più importante
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(di Arturo Minervini) Zero reti segnate alla Roma in due gare. Appena tre le marcature azzurre nelle ultime sei trasferte, qualcosa di più di una semplice suggestione o di una mancanza di lucidità. Da Torino, in poi, lontano dal San Paolo al Napoli è mancata la magia. Come se l’effetto della polvere di fata di Trilli avesse esaurito il suo potere di farti volare. Già, Trilli, quella nata dal primo sorriso di un bambino. Del bambino questa squadra ha perso la leggerezza, facendosi schiacciare dalla pressione. Restando ancorato al suolo, senza più riuscire a volare.

Uno il gol incassato, ad un minuto dalla fine dei tempi regolamentari. Nella capitale si è dipanato lo stesso copione del big match dello Juventus Stadium, con Nainggolan al posto di Zaza a siglare la rete beffa. Quella maledetta rete di Torino, quella che ha spaccato in due la squadra sul piano emotivo. Ha fatto riaffiorare paure, insicurezze latenti. Come prendere un foglio bianco sul quale hai scritto il tuo desiderio più intimo e strapparlo in due. Pensate quanto faccia male sentire il rumore di quel foglio che si strappa. Che diventa una carta accartocciata. Un suono che è riecheggiato nelle teste degli azzurri, mentre vedevano la vecchia signora allontanarsi inesorabilmente. Gli affanni del cuore fanno più male del fuoco rovente sulla pelle.

Due cartellini gialli nello spazio di due secondi. Prima Koulibaly, poi Ghoulam. La decisione di Orsato è giusta, giustissima. Resta lo spazio per una riflessione. Se i protagonisti fossero stati, senza fare nomi, Bonucci e Chiellini la decisione sarebbe stata la stessa? Quanta discrezionalità vige ancora nel modo arbitrale? Che abisso esiste tra un Orsato ed i vari Rizzoli, Rocchi, Mazzoleni ed il resto della banda degli ammalati di sudditanza psicologiche verso le maglie a strisce? 

Tre gare per chiudere un campionato esaltante. Come ogni sinfonia, però, la chiusura assume un ruolo fondamentale nella valutazione dell’esecuzione. C’è da chiudere al meglio questa composizione che è stata capace di stuzzicare l’animo di ogni tifoso. Non c’è appassionato che in questa stagione non sia rimasto folgorato, come San Paolo sulla via per Damasco, dai concetti tattici e tecnici espressi dalla squadra di Sarri. Una sinfonia, diceva Gustav Mahler, deve essere come il mondo. Deve contenere tutto. Ecco, è il tempo per l’orchestra di mettere tutto quello che gli resta dentro per raccogliere la meritata standing-ovation. Suona Napoli. Suona ancora per noi…

Quattro euro in due per la pausa caffè+dolcetto delle ore sedici. Questo il conto al bar per Rudiger e Zukanovic, trovatosi all’esterno dello stadio Olimpico dove il controllo volante con aggancio a seguire di Higuan alla mezz’ora. Vero, poteva essere più lucido nel tiro. Vero, se avesse fatto gol staremmo a raccontare una storia differente. Altrettanto vero è, però, che se avete mai amato, anche solo per un secondo, questo sport, non si può che restare a bocca spalancata per un gesto tecnico che ferma la clessidra del tempo. Un’istantanea da Premio Pulitzer, una rapina all’eterno del Pipita, una carezza al pallone che sfiora l’infinito e ti lascia in apnea per qualche secondo. Una meravigliosa sensazione di estasi. Grazie Gonzalo.

Cinque gli scudetti consecutivi della Juventus. Meritato, meritatissimo per una striscia di risultati incredibile. Nessuno può mettere in discussione la supremazia bianconera, resta il rammarico per diversi episodi che ne hanno contraddistinto il cammino. L’introduzione della tecnologia sarà passo necessario, per un calcio che deve sapersi adeguare al tempo e provare a scacciare via ogni dubbio. Nel bene di tutti. In attesa di ciò, che la festa juventina abbia inizio. Ah no, è già finita. Con qualche rallentamento al casello di Lagonegro sud, una batteria di fuochi sparata a Crotone ed una tavolata in pizzeria da dodici a Cercola. Finita la festa, ricordatevi di chiudere la finestra che c’è freddo in questi giorni.

Sei trasferte con appena quattro punti raccolti. Bottino più magro di Nando Paone nel film culto “Bomber” per gli azzurri on the road, dato al quale va aggiunta la sconfitta di Villarreal in Europa League. Troppi indizi per non aprire le indagini. Troppe sbavature, per non pensare ad un mini-processo. L’errore più grande che si possa commettere è pensare di essere perfetti. Avvertire la propria forza, la musicalità del proprio gioco, sentire il respiro che inciampa dell’avversario come la Roma nella ripresa può fuorviare la mente. Distrarre. “Non mi sento responsabile d'essere migliore degli altri. Ciò che non sopporto è di provare piacere nel dimostrarlo.” Un piacere che il Napoli ha voluto dimostrare. Per poi restarne vittima.

Sette alla prestazione. Perché il Napoli ha giocato bene, concesso pochissimo, messo due volte Higuain di battere comodamente a rete. E’ andato a segno con Callejon, fermato per un fuorigioco millimetrico ed ha creato altri presupposti pericolosi. Ha mosso il pallone come un ragno che si muove a proprio agio sulla sua tela e finisce per imprigionare l’avversario. Questa era la Roma della ripresa. Proprio per questo, guardare il tabellone e scorgere quel risultato fa ancora più male. Come preparare una cena perfetta e dimenticarsi di comprare il vino, finendo a bere l’acqua del rubinetto. E’ sempre la somma delle scelte che facciamo a determinare ciò che siamo.

Otto come la fiducia riposta in questo secondo posto ancora da conquistare. Cadere fa parte del gioco. Interrogarsi è uno dei momenti da sfruttare per la crescita. C’è uno specchio davanti. C’è solo il Napoli, padrone proprio destino. Non esiste più la Juve, il sogno tricolore, la paura di non essere all’altezza dell’impresa. Restano solo tre gare da vincere, mettendosi alle spalle tutto il resto. C'è un punto che va oltre lo sforzo. Quello in cui convinci la tua mente che non è ancora il momento di mollare. Quello in cui non ti accontenti. Della fatica che non senti, anche quando vorresti crollare. E' il momento degli occhi puntati verso il cielo, in attesa di una stella che diventi un desiderio Champions.

Nove stagioni in azzurro. Quattrocento presenze. Prestazioni oscene, prestazioni esaltanti, prestazioni destinate a far discutere, come quella dell’Olimpico. Questo è Marek. Nel bene e nel male. Nella poesia e nella pragmaticità di chi non vede l’ora di puntargli il dito contro. E’ uno sport in particolar modo locale, quello di inveire contro il capitano. Ci fa sentire meno in colpa, sfogarsi con quello che probabilmente di più ama quella maglia. E’ un istinto vile, quello della mancata gratitudine. Non per quello che si è fatto, ma per quello che ancora si sta facendo. Provate a togliere Hamsik da questo Napoli e poi vediamo in che posizione di classifica sarebbe… Solo applausi. Solo lacrime per una storia meravigliosa. Una storia da condividere.

Dieci punti recuperati dalla Roma, che passa dal -12 al -2.  Per assurdo, quando il Napoli ha smesso di guardare davanti è finito nella trappola di quelli che inseguivano da dietro. Il fiato è adesso sul collo, quando sarebbe bastata maggiore lucidità. All’Olimpico si era rischiato poco o niente, ma una volta capito che la rete non arrivava, bisognava vestire i panni del ragioniere, prendere la calcolatrice e capire che anche un pari sarebbe bastato per blindare la seconda piazza. Essere vigliacchi è la maggior sfortuna che possa capitare ad un uomo. Essere prudenti, quando la situazione lo consiglia, è l’unica strada che una squadra possa percorrere per diventare davvero vincente. C’è un tempo per tutto. Anche per spazzare il pallone lontano. E non sarebbe stata certo una vergogna…