L’eredità che Benitez lascerà nell’ambiente azzurro…

Nel 37esimo turno di Serie A 2014-2015 il Napoli perde malamente con la Juve, a Torino. Ancora una prova inconsistente degli azzurri, tra festeggiamenti bianconeri e cori beceri.
26.05.2015 07:00 di Vincenzo Perrella   vedi letture
L’eredità che Benitez lascerà nell’ambiente azzurro…
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

~~Il Napoli avrebbe dovuto fare la festa alla Juventus, ed invece ha finito col festeggiare i bianconeri. Ancora una volta, in una partita decisiva per il suo futuro, la squadra di Benitez è venuta meno nel suo duplice aspetto personalità/motivazioni. Ed ormai è diventato un difetto di fabbrica che ne impedisce risultati sperati.

Da un lato ci sono i calciatori azzurri, poco avvezzi alla vittoria, anche perché solo in pochissimi di loro hanno vinto veramente in carriera. Essi, poi, vengono poco motivati da società e tecnico. Eppure dovrebbero essere ambiziosi a prescindere. Ma già la qualità di essi è del tutto discutibile. Dal canto suo, il tecnico ha dimostrato una inadeguatezza, già mostrata ai tempi dell’Inter, ai dettami del calcio italiano. Il suo schema base è divenuto intoccabile anche in presenza di cause di forza maggiore che ne suggerirebbero il cambiamento a seconda del tipo di avversario e di partita. L’eredità che lascerà Benitez a Napoli è di quelle difficili da gestire. Nelle prime 8 gare del 2013-2014, il Napoli avvolgeva le aree di rigore avversarie con 7-8 giocatori e trovava il gol con gli inserimenti senza palla. Dalla sconfitta allo Juventus Stadium, la squadra ha cominciato a cambiare atteggiamento, retrocedendo fino alla propria trequarti con quasi tutti gli elementi e cercando poi di recuperare palla per azionare il contropiede di Higuain e soci. Altra eredità scomoda è il recupero di alcuni calciatori, forse accantonati troppo in fretta (Zapata, Gargano, Strinic ed in qualche gara Inler) oppure giocatori infortunati storici (Zuniga e Michu). Infine, per ottemperare alle future regole del calcio italiano, occorrerà inserire pian piano qualche elemento della primavera. Negli ultimi anni il solo Insigne è stato inserito in pianta stabile, mentre i vari Ammendola e Luperto hanno visto la luce del campo solo per pochi minuti.

E infine un occhio alla società, colpevole numero uno di tutto. De Laurentiis spera ogni anno di vincere, investendo solo in alcuni ruoli, ma soprattutto spera in una stagione storta delle antagoniste storiche (Juve, Milan, Inter, Lazio e Roma). Per carità, il fairplay finanziario va rispettato, ma non in maniera così rigida. La Juventus investe perché sa che vincendo appiana i suoi debiti. Altri club europei fanno altrettanto. E così è volata via un’altra stagione, tra dubbi e incertezze, ma soprattutto mugugni dell’ambiente partenopeo, abituato a partire con delle aspettative per poi ritrovarsene altre. Eppure grazie alla vittoria della Roma nel derby c'è ancora aperta una porticina Champions. I migliori elementi della rosa fanno bene al primo anno, garantendo piazzamenti in classifica di prestigio, ma poi dal secondo anno vogliono vincere, e se questo non avviene, danno adito a “mal di pancia”. E’ stato il caso di Quagliarella, Lavezzi, Cavani, ed ora anche Callejon e Higuain. Per i tifosi e per la stampa locale il Napoli è un punto di arrivo, ma in realtà molti calciatori non la pensano così. Il nervosismo di alcuni è assurdo, come quello che ha spinto Britos a dare una testata in viso a Morata. Meriterebbe il licenziamento in tronco o la cessione forzata. Ma magari il Napoli premierà con un altro anno di contratto l’uruguagio. E poi ci si domanda perché i calciatori azzurri non abbiano l’orgoglio di zittire i beceri cori dello Juventus Stadium, i cui occupanti, ipocritamente, hanno trasformato in applausi per le vittime dell’Heysel. Semplicissimo: nel Napoli c’è scarsità di napoletani. Troppi, troppi, troppi stranieri.