Al San Paolo il Napoli si è sentito solo: il racconto di 20' che sono una lezione

09.04.2018 21:21 di  Mirko Calemme  Twitter:    vedi letture
Al San Paolo il Napoli si è sentito solo: il racconto di 20' che sono una lezione
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© foto di Insidefoto/Image Sport

Napoli-Chievo, San Paolo gremito, minuto 73: un errore di Koulibaly spalanca la porta a Giaccherini, assist perfetto per Stepinski che fulmina Reina. Cala il silenzio su Fuorigrotta e le grida di gioia della panchina clivense lo squarciano: il sogno scudetto stava per spegnersi lì, per opera di quelle maglie gialle.

Da quel momento in poi a crederci ancora erano rimasti in undici, più o meno. O questo sembrava, respirando l’atmosfera di Fuorigrotta: le Curve erano impegnate ad insultare De Laurentiis, il resto dello stadio restava in silenzio o, peggio, mugugnava e in qualche caso addirittura fischiava gli azzurri al primo passaggio sbagliato, alla prima esitazione.

Altro che giocare in casa, i ragazzi si sentivano soli. Come se quei 20 minuti che restavano fossero irrilevanti. Una mentalità triste, figlia 90 anni meno sette di delusioni, che al primo passo falso è pronta a listare a lutto la bandiera e piangere l’ennesimo fallimento.

Eppure, non era finita. Insigne inventa una giocata meravigliosa per Milik, che riaccende la miccia della speranza. Ne ha siglati tanti di assist belli così, il Magnifico, ma non bastano mai per evitargli insulti e mugugni dopo qualche gara storta. Lui lo sa, lo soffre e sbaglia. Reagisce. Peggiora la sua situazione. Ma è umano, Lorenzo, ed era teso è frustrato. Per questo, va compreso e perdonato.

Così, d’incanto, lo stadio intero torna a gridare. Torna a crederci. La squadra sente di nuovo la gente al suo fianco e spinge fino all’apoteosi finale. Prima del calcio d’angolo decisivo, tutto lo stadio intonava “abbiamo un sogno nel cuore, Napoli torna campione”. Tutti in piedi, in attesa di un miracolo che sembrava annunciato.

Il tiro a giro di Diawara è una pennellata d’autore su un quadro da museo: il San Paolo esplode, gli azzurri si abbracciano in maniera confusa, disperata, sparsi in ogni angolo del campo. Pochi minuti dopo sarebbero scappati quasi tutti via, ancora feriti nonostante la gioia. Amadou, che in quel momento avrebbero voluto abbracciare sei milioni di persone, si ritrova solo a centrocampo, distrutto, steso a terra. E anche lui, nella sua timidezza, si porta le mani alle orecchie. Anche lui ha sofferto quei minuti di silenzio.  

La magia di Napoli-Chievo può dare la svolta alla stagione del club azzurro, bloccato nelle ultime giornate da una pressione mai avvertita, dalla paura di perdere il Sogno ogni domenica. La lezione, però, è stata impartita non solo ai calciatori, ma anche a tutto il pubblico. La frase sembra banale, ma a Napoli non lo è: è finita quando è finita. Fino al triplice fischio, alla condanna della matematica, si lotta, si suda, si ride e si piange insieme. A bocce ferme, ognuno avrà il sacrosanto diritto di prendersela con chi riterrà opportuno.

Il silenzio di quei 17 minuti, non è un episodio. Napoli si esalta ed abbatte con una facilità disarmante, ne avevamo già parlato dopo il pari con l’Inter (clicca qui). Così, però, si fa del male da sola. Perché invece, quando alza la testa e decide di realizzare l’impossibile, la Storia dimostra che ci riesce quasi sempre. Ieri, al minuto 93, 50mila matti con un sogno nel cuore avevano deciso che non bisognava mollare. E hanno vinto, insieme. Come dovrebbero restare fino al 20 maggio.