Da Zero a Dieci: Caressa che inventa rigori, gli effetti disastrosi delle feste, lo sconosciuto Dries e la disperazione in stile ‘Urlo di Munch’

10.02.2019 13:51 di  Arturo Minervini  Twitter:    vedi letture
Da Zero a Dieci: Caressa che inventa rigori, gli effetti disastrosi delle feste, lo sconosciuto Dries e la disperazione in stile ‘Urlo di Munch’
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(di Arturo Minervini) - Zero come un punto da fissare nella storia. Anno zero, post Marek, post capitano con la 17. Niente cresta alta e la sensazione che in qualche modo il Napoli non sarà mai più come prima. Non vuol dire necessariamente che sarà peggiore (in questi sei mesi sarà sicuramente un’assenza non colmabile), ma che sarà diverso. È un capello bianco che ti spunta mentre ti guardi allo specchio, la sensazione che sia finita un’epoca. Una transizione da affrontare con lucidità, perché il cambiamento impone una capacità di adeguamento che presuppone la forte volontà di sacrificare un pezzo di te a cui era legato a doppio filo. Fa strano. Farà strano per tanto tempo. 

Uno il gol di Mertens nelle ultime dodici di campionato che a Firenze. Dries semplicemente non è Dries. Quella non è la faccia di Dries, quello non è l’atteggiamento di Dries. Nervoso, imbronciato, pasticcione, incredibilmente superficiale quando basterebbe un secondo di lucidità per portare il Napoli sullo 0-2 già nel primo tempo. È una sindrome che colpisce tutti gli sportivi, lo shank per i golfisti come raccontato da Kevin Costner in ‘Tin Cup’. È il processo mentale che ti porta a fare diversamente cose che in precedenza facevi in maniera spontanea, come respirare o sorridere. Nella testa di Mertens c’è questo tarlo. Forse più di uno, tra futuro, rinnovo e sirene cinesi. Bisogna fare chiarezza. Al ritorno a casa la colonna sonora nelle cuffie è ‘Tutti i miei sbagli’ dei Subsonica.

Due versioni di Piotr. Quella basic, con i vetri a manovella le poltrone in materiale alle ortiche che finisci per grattarti per tutto il viaggio ed il navigatore a voce: nel senso che devi accostare e devi chiedere informazioni. Poi c’è quella full optional, che purtroppo non la vedi ancora in maniera costante, ma quando ci sali sopra è uno sballo. A sprazzi è la cosa più bella da vedere sul campo del Franchi, perché con quei piedi e quel fiato potrebbe fare tutto. In ogni fase del gioco. Il momento della verità è vicino: in questi mesi sapremo se vuole diventare una Rolls Royce. 

Tre reti sul groppone lo scorso anno. Tre reti che hanno fatto storia, l’altra faccia della medaglia di un campionato che poteva diventare epico. Una corsa leggendaria arrestata da chi non ha permesso che la bellezza trionfasse, mani macchiate che dall’oscurità hanno portato allo sfinimento mentale un gruppo che ci credeva, che ci aveva creduto. Fino alla sera prima, fino all’Inter-Juve della vergogna. Fino ad Orsato che chiude gli occhi e spara un colpo al cuore alla regolarità del campionato, già in sala di rianimazione dopo gli scandali di Cagliari-Juve e Lazio-Juve (giusto per citare le più scandalose). Non smetteremo mai di ricordarlo, per questa ferita che avete inferto alla credibilità del nostro calcio non esistono piastrine, resterà aperta. E voi continuate pure a fare le battutine sullo scudetto perso in albergo, quando sapete benissimo cosa intendeva Sarri.

Quattro trasferte ed un solo gol: quello allo scadere di Milik su punizione a Cagliari. Fossimo in una navicella spaziale, la frase da pronunciare sarebbe questa: “Houston, abbiamo un problema”. Sì perché questo Napoli lontano da casa perde spavalderia, sfacciataggine, irriverenza. Come un Juke-Box che non suona dopo il pugnetto di Fonzie, come una Super-Vicky che non trova la soluzione al problema, come Carlton che non balla in maniera smodata. Nella vita la coerenza è tutto. Questa squadra deve trovare ancora quella coerenza che diventa tratto distintivo, unicizzante. 

Cinque occasioni clamorose fallite che ancora si fatica a crederci. Con la faccia e mani in posizione ‘Urlo di Munch’ praticamente per tutta la gara, un rincorrersi di invocazioni ed invettive che al confronto un testo di uno che scrive ‘Trap’ è roba sdolcinata. Una sorta di paresi facciale ci accompagna per i 90’ di Firenze, espressione tra veleggia tra l’incredulità, lo stupore ed la blasfemia. Davanti alla porta è ogni volta un esame che non consente ulteriori appelli. “Quel colpo era un momento di definizione e al momento della definizione o tu definisci il momento o è il momento che definisce te”. 

Sei replay (mai visti nell’intera stagione su Sky) ed una cronaca approssimativa del tutto. Come al solito Fabio Caressa ci delizia con il suo ‘stile’ a tratti disinteressato, con teorie da strabuzzare gli occhi ed analisi che lasciano più interdetti di una super cazzola in ‘Amici miei’. L’apice al momento delle proteste (insensate) della Fiorentina per un tocco di mano (inesistente) di Fabiàn in area azzurra. Il buon Caressa dice di avere dubbi, che la palla tocca prima la gamba e poi il braccio anche se in realtà tocca il petto. Come quando tua moglie ti controlla il telefono e non trova niente di losco, così ti rinfaccia un ‘Like’ messo ad una tua amica delle elementari nel 1999. Prossimamente su Sky Sport: ‘Caressa che inventa cose, rigori, statistiche’. Da non perdere, no?

Sette alla palla di Ghoulam per Mertens al 10’. Taglio chirurgico, bisturi che affonda in profondità nella carne viola. Attestato qualitativo di Faouzi, che vive un piccolo calo sul piano fisico dopo la grande cavalcata per il ritorno. Il calcio è fatto però di giocate singole, qualitative, a cui il Napoli non può rinunciare. Quella giocata poteva essere decisiva. Il completo recupero di Faouzi è tra le prime cose della lista, per il presente e per il futuro. Perché la qualità è l’unica strada per questa squadra per provarci, sempre e comunque. 

Otto a chi ha saputo rialzarsi più in fretta di Fantozzi che sente la sveglia in ritardo. Due situazioni differenti che avevano accomunato Allan e Maksimovic. Malissimo in Coppa Italia a Milano (per ragioni diverse), tra i migliori a Firenze. Bravo Nikola a ‘sfruttare’ l’infortunio di Albiol per archiviare come episodiche le distrazioni di San Siro. Ritrovato come San Paolo sulla via di Damasco Allan, che ha ormai archiviato i pensieri parigini, la Senna e tutta la storia che quella città lì ‘val bene una messa’. Intelligente Ancelotti a gestire la situazione con la solita pacatezza, senza mai alzare i toni, senza mai esasperare situazioni che potevano sfuggire di mano più di un capitone a Natale.

Nove punti a disposizione ed appena due conquistati nelle ultime tre ‘on the road’. Già, sulla strada. Sulla strada il Napoli non riesce a mantenere quella coerenza di fondo, di gioco, di organizzazione. Di cattiveria. Finisce per fare la fine di Penelope, che al San Paolo tesse la tela poi si allontana per disfarla. “Vivere è cucire insieme brevi attimi, giorno dopo giorno, momento dopo momento e percepirti all’infinito”. Fino a questo punto c’è una percezione alterata, uno squilibrio che va analizzato e corretto tra i punti raccolti al San Paolo e quelli sperperati per errori grossolani in trasferta. È un’ostacolo caratteriale, un freno al cuore di qualcuno che non è riuscito ad andare oltre. E nella vita andare oltre è la cosa più complessa, l’ultimo passaggio per abbandonare le paure, i limiti, le costrizioni. Si impari ad andare oltre. E nessun obiettivo sarà mai troppo lontano.

Dieci alla fine di questo periodo. Alle chiacchiere, alle distrazioni, alle feste, allo champagne, alle teste altrove. C’è stato poco campo e tanto altro nelle settimane di questo infame mercato, che ora deve vivere pure della spada di Damocle cinese. È un pallone sempre più finalizzato al business, a muovere calciatori come capitali da una parte all’altra del mondo. Finisce tutta la poesia, i tratti epici del racconto. Diventa tutto così banale, ripetitivo, assuefatto ad un sistema che ha interesse solo a generare interessi e che finisce per pugnalare l’interesse che dovrebbe essere prioritario: l’aspetto sportivo. Non è sterile romanticismo, è considerazione amara e lucida di quanto accaduto anche in casa nostra. Da qui alla fine vorremmo solo parlare di calcio, pensare al calcio. Basta feste, voci e tutto il resto.