Da Zero a Dieci: le accuse ridicole di Inzaghi, Sarri minaccia la Juve in diretta TV, il retroscena sul gol di Driego e l’urlo in faccia ai razzisti

21.09.2017 10:39 di Arturo Minervini Twitter:    vedi letture
Da Zero a Dieci: le accuse ridicole di Inzaghi, Sarri minaccia la Juve in diretta TV, il retroscena sul gol di Driego e l’urlo in faccia ai razzisti
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(di Arturo Minervini) - Zero dubbi. “Sapevamo l’avremmo rovesciata” dice Sarri nel post gara, con gli occhi di chi crede realmente in quello che afferma. Manca soltanto che Maurizio si accenda una sigaretta, prenda una pausa, guardi dritto nella telecamera ed urli come Giucas Casella: “Quando lo dico io”. Ipnotico, in totale controllo della situazione. Una notizia terribile per gli altri partecipanti a questo campionato, soprattutto alla Juve che detiene il titolo. Un colpo di stato in 18 che era stato preannunciato lo scorso anno. Il comandante è fiero, saldo al controllo. Tremate. 

Uno come il gol preso da Reina, salvato poi dallo straripante Napoli nella ripresa. La ferita, però, resta aperta e continua a sanguinare. La percentuale di reti subite in relazioni alle occasioni concesse agli avversari continua ad essere preoccupante, la speranza è che le vittorie possano trasmettere nuova linfa ad un Pepe ancora lontano dai livelli ottimali. “Un gruppo di persone che condivide un obiettivo comune può raggiungere l’impossibile”. 

Due attributi che richiedono di diventare provincia autonoma. L’inizio di stagione di Allan è una favola da raccontare ai nipoti, una morale da portare a casa nella vita di tutti i giorni. Sembrava quasi superfluo, spazzato via dalla voglia di novità che inquina ogni rapporto. È rimasto, in silenzio, lavorando sempre al massimo delle possibilità. Ora appare impossibile pensare ad un Napoli senza di lui in mediana, ago di una bilancia che pronuncia sempre il vero e pende sempre dalla parte giusta. Quella azzurra.

Tre infortunati in casa Lazio, ma non avere ricambi all’altezza è una colpa non certo un alibi. Le squadre vincenti si costruiscono sulla profondità non sulle chiacchiere in latino di Lotito. Discutibile anche Inzaghi, che afferma: “Senza gli infortuni non avremmo perso”. Caro Simone, la cosa ricorda un po’ la questione delle palle e della possibilità di essere flipper che vede coinvolti i nonni in un saggio adagio popolare. Citando Clementino: “Tutti scienziati”.

Quattro reti che affondano la capitale. In totale sono 19 in campionato in 450’ giocati, la media di un orgasmo ogni 23’ che nemmeno Rocco Siffredi ai tempi belli. Inarrestabile come una vecchietta che punta l’ultima confezione di biscotti in offerta al supermercato, questo Napoli prosegue nell’ambiziosa missione di conciliare il bello e l’utile, l’eleganza alla potenza. Un compendio di grandezza, un sofisticato ragionamento introspettivo che fa guerra al Machiavelli de Il Principe. Il fine non giustifica i mezzi, questa squadra al risultato vuole arrivarci a modo suo.

Cinque minuti come un uragano. Chiudete le finestre, sbarrate ogni uscita, vestite i Chihuahua con cappotti pesanti. Dal minuto 54’ al 59’ su Roma si è abbattuto un fenomeno atmosferico con pochi precedenti, una Tempesta Perfetta che Shakespeare nemmeno immaginava. Trascinati via spogliatoi, spalti, bibitari, aquile varie, il salvadanaio di Lotito, le lacrime di Inzaghi e persino Giampiero Galeazzi. Citando il buon William “Questo è il momento della verità: è qui che si distinguono gli uomini dai buffoni.” Nel momento della verità il Napoli si è incazzato ed ha fatto male alla Lazio. Ma proprio male. 

Sei alle cose semplici, quelle che hanno il sapore e l’importanza di un pezzo di pane. Maggio suda sulla fascia, dando ragione a Maurizio Sarri sulla scelta. Esaltazione della volontà che lotta contro i segni del tempo, figlio adottivo di una terra che vuole difendere fino all’ultimo calcio su un terreno da gioco. Come lui Marek, perfetto nei tempi dell’assist a Callejon. Anelli di congiunzione del primo bagliore di questo nuovo Napoli, segnale di continuità rassicurante per chi crede che l’identità valga molto di più di qualche spicciolo in più a fine mese. 

Sette il suo numero di maglia. Sette i suoi polmoni. Sette le sue anime. Sette sataniche organizzate per capire come fermare il suo scatto alle spalle del difensivo. Fino alla fine è lì ad attaccare lo spazio come il più guerrafondaio giocatore di Risiko. Un pericolo costante, un'eccellenza che per i più attenti è una pura goduria. Una bottiglia di vino per intenditori, che non farà forse impazzire le masse ma rappresenta goduria pura per i cultori del genere. Non serve nemmeno nominarlo, per quanto sia un giocatore assolutamente unico nel panorama mondiale. Torna Blade Runner dopo 30 anni, giusto ricordare che “José ha visto cose che voi umani non potete nemmeno immaginare…”

Otto ai tempi scenici di Kalidou. Nel momento più difficile, in quello stadio che lo aveva insultato e che insultava ancora Napoli. Razzisti, niente giri di parole. Ammutoliti dalla rete di Koulibaly con l’urlo in faccia liberatorio a chi ancora una volta ha dimostrato di avere un cervello più tascabile di una confezione di Tic-Tac. Già Tic-Tac, come un orologio che scandisce il tempo. Kalidou la potenza, Jorginho la sofisticata e pratica eleganza. Metronomo ineffabile, controllore di un viaggio fantastico nel quale si permette anche il lusso di timbrare il cartellino finale. Nero e bianco che si fondono, che sono una cosa solo. Napoli non sarà mai razzista, perché aperta al mondo per vocazione. Porte sempre aperte, Napoli è un invito all'umanità a ritrovare sempre il senso di casa.

Nove che tende al dieci. Mertens fa il centravanti ma nell’animo è un ’10’ puro e per una notte imita IL DIECI. Da quello che sei non sfuggi mai ed ecco che Dries si trasforma in Driego. Metamorfosi kafkiana di un calciatore che non pare avere più limiti. Rincorre una palla destinata ad un fallo laterale e lì che si compie la magia. Un artista trasforma il banale in eccezionale, la quotidianità in ricordi incastonati nella memoria per generazioni. Bisogna guardare le stelle per seguire la traiettoria che nasce dal suo piede, tenere il naso all’insù quasi in uno stato di venerazione. Con lo sguardo verso il cielo sembra chiedere l’approvazione all’altra divinità che dall’alto osserva ed approva. Il cammino si compie, la rete si gonfia quasi quanto il cuore che vorrebbe scappare dal petto, arrivare fino al terreno di gioco, ed abbracciare questo Ciruzzo più napoletano di altri. Si rischia il collasso, le mani sudano, le farfalle nascono senza pensare alla morte che le attende. È un amore che sboccia ogni volta, è la storia che si compie dentro un gesto epico. Secondi che diventano cristalli, anzi diamanti nel cervello. Si chiamano ricordi. Si chiama famiglia. Si chiama Napoli.

Dieci vittorie consecutive in campionato e non sentirle. Vincere è arte di pochi, alla quale il Napoli sembra ormai abituato e assuefatto. Una meravigliosa condanna che si ripete, proprio come i movimenti in campo degli azzurri. Schiere angeliche che girano in questa location paradisiaca, ognuno assolve alla perfezione alla propria funzione. Movimenti che ritornano, onde instancabili che accarezzano la sabbia e poi si spingono verso il largo. Tutto organizzato alla perfezione, tutto concepito per uno scopo. Lasciare un segno nel tempo, vincere la morte. Maurizio Sarri non vuole soltanto vincere, vuole emozionare in maniera indelebile. “Il vero paradiso non è in cielo, ma sulla bocca di una persona amata”. Ti amiamo Maurizio.