Clemente di San Luca a TN: "Fingere di assumersi responsabilità"
Guido Clemente di San Luca, Docente di Giuridicità delle regole del calcio presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell'Università Vanvitelli, è intervenuto ai nostri microfoni: "Purtroppo, siamo destinati a soffrire. Dai blandenti adulatori di Conte sento dire adesso molte cose che sono andato scrivendo – deriso e dileggiato – sin dall’inizio. In questo momento l’ultimo pensiero che può sfiorare la mente di un autentico tifoso azzurro è sperare che il mister si dimetta o venga esonerato. È ovvio, e persino banale, confidare che il comandante – per quanto sia assai complicato – riesca ad evitare la deriva e riposizionare la nave in rotta. Di qui a pretendere, però, di lasciarlo esente da critiche, e fingere che «tutto va bene, madama la marchesa», ce ne passa. Tifare Napoli, amare il Napoli, non vuol dire sostenerlo acriticamente. «Non disturbare il manovratore» era motto che andava bene un tempo. Oggi, per amare veramente, non si deve stare dalla parte del manovratore riponendo in lui fiducia cieca e assoluta. Naturalmente, sostenere gli azzurri con tutta la nostra passione, e al tempo stesso non lesinare critiche a chi li guida, è compito difficilissimo. La necessaria ricerca di compattezza, però, non può non passare da un’analisi lucida, obiettiva, cruda, e persino feroce, dell’accaduto. Mettere la polvere sotto il tappeto può, sì, in apparenza mascherare la lordura, ma lascia l’ambiente privo dell’igiene indispensabile per vivere bene. Conte ha avuto un merito straordinario e non discutibile, quello, cioè, di rimettere insieme i cocci di una squadra frantumata e trasferirle un mood tetragono.
Formidabile motivatore, è riuscito nel suo intento. Tuttavia, solo chi è accecato dal tifo può negare che abbiamo vinto lo scudetto anche per l’effetto di una serie consistente di combinazioni favorevoli. Com’è noto, sono critico nei suoi confronti sin dal primo momento. Per il pericoloso processo di juventinizzazione che la sua figura reca in sé, capace di snaturare l’antropologia del popolo azzurro, predicando e praticando un calcio speculativo, caratterizzato dal predominio del ‘risultatismo’, il quale, assunto come fede assoluta ed assorbente, significa – secondo me – negare quella bellezza del gioco cui s’è sempre guardato in azzurro. Ovviamente – sarei un ipocrita nel non riconoscerlo – mi sono entusiasmato, non soltanto compiaciuto, per la vittoria del quarto scudetto (ottenuta con le unghie e con i denti, e approfittando di uno straordinario kairos favorevole). Sono un dichiarato e riconosciuto tifoso malat’. Subito dopo la vittoria, però, avendo preso De Bruyne, scrissi che Conte sarebbe stato costretto a cambiare, che finalmente avremmo visto del gioco. Perché – non scherziamo – nel Napoli del quarto scudetto KDB non avrebbe trovato collocazione (v. pezzo su Tutto Napoli del 26 giugno scorso). Dopo la partita a Bologna nessuno gli ha chiesto della preparazione e degli infortuni muscolari, del perché mai comincia con Neres e Lang sulle fasce, del perché non tiene Elmas come cambio per il centrocampo, del perché mette in campo McFratm che cammina. Mortificati, non abbiamo esibito – more solito – uno straccio di schema offensivo.
Eppure, ADL gli ha messo a disposizione una rosa forte anche in lunghezza, ma lui dopo 4 mesi ancora non ha trovato il modo di farli giocare. Contro i felsinei abbiamo avuto la prova che fra lui e Italiano, sul piano tecnico-tattico e della gestione della rosa, c’è una ragguardevole distanza, assistendo al confronto impietoso di un grandissimo allenatore che ha annientato un grande motivatore e basta, la squadra di questi apparendo né carne, né pesce. La settimana precedente aveva dichiarato che vuole fare il «gioco attivo», ma evidentemente non è arte sua. Così come mai è stata arte sua sostenere le due competizioni. Detto questo sul piano dei contenuti concernenti il gioco, considero la comunicazione post-partita veramente disdicevole. Le affermazioni che ha fatto mi paiono miserabili: non si può fingere di assumersi la responsabilità, per poi in effetti scaricarla sui giocatori. E senza lasciar capire chi si sarebbe reso protagonista di una mancanza di professionalità, di attaccamento alla maglia, di scarso impegno («Non accompagno morti», «Ci mancano passione, entusiasmo, cuore», «non entro nella testa dei giocatori»). Un linguaggio sgradevole e destabilizzante. Un modo di fare che richiama quelli propri dei delatori di regime, di coloro che, tradendone la fiducia, denunciano segretamente qualcuno. Al riguardo, ho sentito richiamare il precedente dell’ammutinamento nei confronti di Ancelotti, come a voler sottolineare cause ambientali non ben definite. Anche quella vicenda, invero, è tuttora connotata da luci ed ombre. In ogni caso, quando si verifica una situazione del genere, la responsabilità, se non esclusiva certamente primaria, è del comandante della nave.
Questi non può, né deve, perderne il controllo. D’altronde, nel merito, i seguenti rilievi sembrano difficilmente controvertibili. a) La obiettiva mancanza di un gioco «attivo» (come l’ha definito lui), in luogo di quello «passivo»: l’arrivo di De Bruyne lo ha ‘obbligato’ a ricercare un modello nuovo (lui stesso l’ha dichiarato), da studiare perché mai praticato prima; e tuttavia, anche con De Bruyne, e pur senza Lukaku, questa ricerca è stata finora infruttuosa. b) La conclamata incapacità – in tutte le esperienze di rilievo della sua carriera (dalla Juve al Chelsea, all’Inter, fino ad oggi) – di far fronte contemporaneamente alle due competizioni, di gestire la fisicità dei calciatori allenati laddove si tratti di disputare una gara ogni tre giorni. c) Lo scontento – ormai trapelato – dei calciatori (vecchi e nuovi) per allenamenti evidentemente troppo pesanti (alla lunga obiettivamente controproducenti). d) Il numero esorbitante di infortuni muscolari (in poco più di due mesi 14, mai successo negli anni della presidenza di ADL), che suona conferma del punto 3. e) Una comunicazione oscura, inelegante, un po’ piagnona, e certamente improduttiva. Adesso il punto interrogativo è questo: al rientro, i giocatori (sia i nuovi, che vorrebbero giocare di più, sia i vecchi, che patiscono difficoltà fisica) lo seguiranno o no? E il dubbio angoscioso è se, fuori discussione che si doveva «moltiplicare l’impegno» (che avevam’ «fatica’ cchiù assaje»), si dispone del necessario know how per farlo? Solo affrontando serenamente questi elementi di criticità possiamo sperare in un futuro più roseo. Perché allo stato – sia chiaro – niente è perduto. Ma a patto che si combinino umiltà, disponibilità reciproca e amore per la città che si rappresenta. 2. In tutto ciò, ADL ha assunto una linea di condotta più che lodevole. Raramente sbaglia quando fa il suo mestiere.
Deve, però, limitare la comunicazione nell’ambito della gestione aziendale. E dunque assumere l’indispensabile self-restraint quando si tratta di questioni concernenti il bene comune della città. Le scelte urbanistiche non gli competono. Naturalmente è libero di manifestare la sua opinione ‘politica’ su quelle compiute da chi istituzionalmente rappresenta la comunità. Ma se vuole influire su di esse, deve farlo secondo le regole dell’ordinamento giuridico. Non è pensabile che l’interesse particolare della società commerciale di cui detiene le azioni sia prevalente. Laddove va in rotta di collisione con interessi privati, l’interesse pubblico, non solo prevale, ma deve sempre prevalere. E la sua identificazione è in capo alle istituzioni democratiche, che rappresentano tutti. Solo ad esse spetta trovare la via di composizione dei diversi interessi, non certo ad un imprenditore, per quanto autorevole e brillante qual egli è".
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