Esclusiva

Guido Clemente di San Luca a TN: “Questo fallimento è imputabile ad una sola persona”

Così a Tuttonapoli
03.05.2024 11:20 di  Redazione Tutto Napoli.net   vedi letture
Guido Clemente di San Luca a TN: “Questo fallimento è imputabile ad una sola persona”

Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo all'Università della Campania Luigi Vanvitelli, commenta così il momento del Napoli.

Mentre alcuni mi fanno i complimenti per i pezzi che scrivo, altri (anche molti amici) mi rimproverano per la carenza di sintesi,per essere troppo lungo, prolisso. Ma un conto è essere lunghi, un altro essere prolissi. E comunque, se si devono dire molte cose, non si può tagliare a caso e così stravolgerne i contenuti. Del resto, sintesi non può significare semplificazione banalizzante. E se non riesci a ‘raggiungere’ quelli che si scocciano di leggere (tranne che i pensieri flash tipici della comunicazione social), pazienza. Un po’ alla volta, forse, qualcuno imparerà. Come recita l’antico adagio, «Dicett’ ’o pappece vicin’ ’a noce…». O no? Ad ogni modo, per farmi leggere anche da questi, ripeterò i concetti che ho espresso nell’ultimo pezzo, in maniera telegrafica.

1. La responsabilità della stagione fallimentare è, pressoché integralmente, di chi – inebriato dal successo e obnubilato dal delirio di onnipotenza – ha innescato una spirale inesorabile e perversa, clamorosamente commettendo i seguenti errori: a) non comprendere quanto fosse indispensabile rigenerare le motivazioni dei giocatori vittoriosi; b) non impedire una preparazione atletica ‘blanda’, priva di intensità; c) non cogliere desideri e legittime aspettative dei giocatori; d) affidare la guida della squadra ad un uomo incapace di empatia (per cominciare,con l’intero ambiente in cui avrebbe dovuto operare) e soprattutto di proporre un progetto tattico chiaro, ben delineato.

2. A questo si sono sommate moltissime congiunture negative: gol facili mancati, con tiri che l’anno scorso finivano regolarmente nel sacco; impegni africani; diversi infortuni; improvvide interferenze del Presidente nella guida tecnica, condite con scelte superficiali nel sostituire l’allenatore; non ultimo, direzioni arbitrali illegittime sempre più frequenti, la cui importanza l’anno scorso era stata oscurata dalla strapotenza (anche nel kairos) della squadra.

3. Le cose sono precipitate a catena. È un gravissimo errore suddividere le responsabilità in parti eguali con gli altri protagonisti. Gli allenatori hanno fatto più o meno quello che era nelle loro corde. Men che meno si può rimproverare qualcosa ai giocatori, la tenuta mentale dei quali è stata fortemente compromessa da quanto è accaduto tutto intorno. Chiunque abbia fatto sport seriamente, anche solo a livello amatoriale, sa bene che elemento essenziale per vincere è la fiducia. Se ogni cosa si rivela contraria, la fiducia si perde. Anche gli screzi di cui si riferisce –amplificando le voci dagli spogliatoi spifferate ad arte (in tempi normali, liti o discussioni vengono sottaciute, in maniera utilitaristicamente complice, ma ci sono sempre state e sempre ci saranno, com’è fisiologico) – sono, non la causa, ma l'effetto della catastrofe.

4. Per quanto ha riferito, le dichiarazioni di Calzona nella conferenza prima della partita con la Roma vanno stigmatizzate e duramente censurate (al pari di quelle dei non pochi commentatori che le hanno invece apprezzate). È facile scaricare le colpe sull’anello debole della catena. Mettere i giocatori alla gogna mediatica, al pubblico ludibrio, è comportamento ignobile. Espressione, insieme, di viltà, di modesta conoscenza dei minimi rudimenti di psicologia (dello sport di squadra, in particolare), e di attitudine a raccontare, non i fatti, ma la loro interpretazione(soggettiva, e perciò stesso arbitraria). Della partita di Empoli«nella storia» rimarrà una prestazione inefficace, come tante altre in stagione. Ma non la «vergogna per mancanza di dignità». Se si tiene il pallone per 73 minuti su 90, il difetto non è nella carente deontologia professionale, bensì nella incapacità di fare gol (qualunque sia la ragione che la determini). Pertanto, la denuncia di mancanza d’impegno dei giocatori è del tutto infondata. A meno che Calzona ed i suoi difensori non rivelino di aver osservato negli allenamenti atteggiamenti lavativi, o che siano stati scoperti comportamenti non consoni col condurre una vita da atleti. Altrimenti, se non lo dimostrano, la vergogna sta nel far passare i giocatori per lazzaroni scansafatiche o, peggio, per traditori, quando non lo sono.

5. Fare questo, inoltre, è evidentemente manifestazione di autolesionismo. Per due ragioni. In primo luogo, perché sporca ingiustamente l’immagine – che dovremo invece gelosamente conservare nel nostro intimo di tifosi azzurri – degli eroi che hanno trionfato l’anno scorso, regalandoci il terzo scudetto. E poi perché, in vista del futuro immediato, è da scellerati auspicare di fare tabula rasa, depauperarando un notevole patrimonio di risorse tecniche. Per gran parte, i giocatori non sono diventati brocchi. Vanno banalmente rimessi in fiducia. Certo, 5 o 6 andranno via per forza (vedi Osi e Zielo, Demme, Dendonker e Traorè, uno fra Raspa ed il Cholito). Ma con un sano risanamento societario ed una adeguata guida tecnica (Italiano, secondo me, è il più idoneo di quelli di cui si parla), bastano 4-5 innesti (un centravanti, due centrali difensivi ed un mediano forti) per tornare ad essere competitivi per il titolo.

6. È indubbio che nella stagione ormai agli sgoccioli siano state sprecate moltissime occasioni. E ciò produce rabbia. Tuttavia, è da stolti agire in modo da moltiplicarla. Per reagire al male, in generale, si deve predicare il bene, non altro male. Ché sennò il male vince due volte. Se il detto «volere è potere» indica certamente l’inclinazione necessaria per superare gli stati d’animo accidiosi, non significa affatto che si ottenga l'obiettivo semplicemente volendolo. Se fosse solo questo, risulterebbero sempre tutti vincitori. E invece a vincere la competizione, oppure ad ottenere un determinato risultato, è sempre soltanto uno. Ad Empoli non mancò la voglia. Se lo si sostiene, vuol dire, come ha fatto Calzona, chiamare arbitrariamente in correità i giocatori. Ovvero, come fanno gli acritici sostenitori del mister, si confondono i fatti con le proprie opinioni su di essi, alla fine dimostrando di capirne poco.