L’insolita parabola di Milik: calciatore per caso, da sbandato di strada ad eroe nazionale

27.07.2016 07:45 di  Fabio Tarantino  Twitter:    vedi letture
L’insolita parabola di Milik: calciatore per caso, da sbandato di strada ad eroe nazionale
© foto di Insidefoto/Image Sport

Quella di Arkadiusz Milik non è la classica storia dell’enfant prodige cresciuto a pane e pallone, esploso per strada, attore della sua infanzia di duri sacrifici pur di raggiungere il sogno di una vita. Il calcio, appunto. Il racconto di Milik, anni 22, ad un passo dal Napoli, è un film che intenerisce immediatamente, sin dalla prima scena. All’età di sei anni, nel ventre delle consapevolezze, Milik ha perso il padre ed è rimasto schiacciato dal cinismo del suo destino.

FUMO A SEI ANNI - È diventato uno sbandato nel vero senso della parola. Solo, senza un vero punto di riferimento (oltre alla madre e al fratello, Luca). Smarritosi a Tychy, Slesia, dov’è nato e cresciuto. In patria sono diversi i retroscena sulla sua infanzia trascorsa a fumare ancora bambino, a rubare caramelle nei supermercati, a raccogliere per strada i resti di una vita già in frantumi, nonostante la tenera età. Poi, d’un tratto, la svolta. Inaspettata ma provvidenziale. Decisiva.

IL CALCIO - È proprio lui a raccontarlo in una famosa intervista: “Moki mi ha cambiato la vita”. Moki è il soprannome di Slawek Mogilan, allenatore, amico del fratello, la prima persona ad avvicinarlo al mondo del calcio. Che impara a conoscere (e ad apprezzare) al Rozwoj Katowice dall’età di sei anni, non “fin da piccolo”. Il calcio, per Milik, è l’ancora di salvezza che lo restituisce alla vita, il rifugio dove ritrovar sé stesso, lo valvola più efficace grazie alla quale sfogarsi per la crudeltà del destino. Del suo destino. Che cambia in un attimo, che diventa improvvisamente più lieve, più dolce, più giusto dopo un semplice provino al quale fu invitato proprio da Moki.

PARAGONI - L’esordio in prima squadra avvenne dieci anni dopo. Nel 2010 Milik è un sedicenne di belle speranze, forte fisicamente e in possesso di un ottimo sinistro. L’altezza e la stazza longilinea né fanno l’attaccante che è oggi: rapido, elegante, indifferentemente prima o seconda punta. Il paragone con Lewandowski è fin troppo banale e forse anche azzardato. I due in Nazionale hanno spesso giocato in coppia perché Milik, data la duttilità, è capace di ruotare attorno alla classica boa spaccando le difese avversarie. In due stagioni ha segnato 47 gol in 75 con la maglia dell’Ajax tra campionato e coppe europee. Prima dell’esperienza olandese, però, c’era stata quella tedesca.

FLOP BUNDES - Il Bayer Leverkusen lo aveva acquistato appena diciassettenne dal Górnik, storico club polacco che, nel 2013, fu costretto a cederlo ad un anno dal suo arrivo per ripianare le casse societarie. Non fu fortunata l’avventura in Bundesliga: poche presenze, ancor meno gol. Milik sentì l’esigenza di andar via per giocare con continuità, per collezionare minuti che ne acuissero la consapevolezza nei propri mezzi. Perché l’Ajax? Lo spiegò, pochi mesi dopo il suo trasferimento, lo stesso attaccante: “Non ho mai avuto dubbi, era il coronamento di un sogno. In Polonia l’Ajax è da sempre considerato un club di grande blasone, il massimo per me”.

NAZIONALE - L’apice della sua carriera ha una data precisa: 11 ottobre 2014, ovvero il giorno della prima storica vittoria della Polonia sulla Germania (2-0) condita proprio da un suo gol. È da quel momento in poi che esplode definitivamente il “fenomeno” Arkadiusz Milik, protagonista anche in Francia, ad Euro 2016, con la rete al debutto contro l’Irlanda del Nord. L’interesse del Napoli – e di altri club, italiani ed esteri – è solo naturale conseguenza del suo exploit. Come le montagne russe: su e giù, andata e ritorno. Dall’inferno al paradiso. Con un angelo custode in tuta e scarpette - chiamato da tutti Moki - che gli ha cambiato la vita.