L'incostituzionalità delle pretese del Fisco contro Maradona: ecco tutti i dettagli

L’imposizione di una tassa non può derivare da un presunto errore o da una omissione processuale
01.04.2014 23:10 di  Redazione Tutto Napoli.net  Twitter:    vedi letture
Fonte: Avv. Angelo Pisani
L'incostituzionalità delle pretese del Fisco contro Maradona: ecco tutti i dettagli

Alcune premesse

L’imposizione di una tassa non può derivare da un presunto errore o da una omissione processuale, né tanto meno dal mancato ricorso contro una violazione palesemente inesistente e connessa ad un atto mai notificato. Lo stabilisce prima di tutto la nostra costituzione oltre che la logica, il diritto e la giustizia tributaria, marcando così la differenza rispetto alla giustizia civile, le cui obbligazioni possono essere originate da un contratto o da un fatto illecito.  

Le previsioni relative al diritto tributario trovano il loro fondamento nell’articolo 23 della Costituzione, secondo cui «Nessuna prestazione patrimoniale o personale può essere imposta se non in base alla legge». Si tratta del cosiddetto “principio della riserva di legge” che, in ambito tributario, si esprime tanto in senso assoluto, rispetto all’individuazione degli elementi essenziali da cui scaturisce la tassa (ilpresupposto, i soggetti passivi, i principi di determinazione delle aliquote, le sanzioni), quanto in senso relativo: sotto il profilo della disciplina, infatti, la stessa legge che istituisce il tributo deve rimandare ad un regolamento specificosull’esecuzione del rapporto d’imposta (per quanto riguarda, ad esempio, tempi e modi dell’adempimento).

Qualsiasi pretesa tributaria non può insomma essere svincolata dall’ordinamento legislativo, ma è invece soggetta alla riserva assoluta di legge"inderogabilmente, rispetto al presupposto": il legislatore determina quali sono le situazioni da considerare come indici di capacità contributiva e poi, sulla base di tali indici, fa sorgere l’obbligo per il cittadino di concorrere alle spese pubbliche proporzionalmente al suo reddito, come stabilisce un altro articolo della Costituzione, il 53.

Il presupposto dell’obbligazione tributaria è dunque strettamente vincolato alla legge che lo ha originato. Nel determinare tale presupposto il legislatore può poi attribuire rilievo a qualsiasi atto o circostanza di fatto che ritenga utili per evidenziare la capacità economica di un soggetto e quindi la sua capacità di contribuente. Accertamenti che possono avere una natura anche indiretta. Il riferimento specifico è all’articolo 37 ultimo comma del d.P.R. n. 600/1973 (come modificato dal D.L. n. 69/1989), che consente all’Amministrazione Finanziaria, in sede di accertamento o di rettifica, di tassare i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti, ma che possono ritenersi imputabili al contribuente. Solo però quando sia dimostrato, cd. onere della prov, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo  possessore  per  interposta persona.

La sussistenza di un’interposizione fittizia di persona,qualora venga effettivamente dimostrata, costituisce il presupposto del rapporto giuridico d’imposta che nasce dalla norma citata, la cui applicabilitàè però condizionata non solo a tale prova, ma anche alla dimostrazione dell’effettivo possesso delle somme che siritengono presumibilmente da imputare al contribuente. In caso contrario, il rapporto giuridico non nasce e, di conseguenza, l’imposta non è dovuta. 

Lo aveva ribadito, fra l’altro, una perentoria Risoluzione del Ministero delle Finanze (la numero 56/1064 del 16 ottobre 1990), secondo cui «l’Ufficio non potrà insistere nelle proprie richieste ove non disponga di ulteriori elementi probatori, che giustifichinoaliunde l’accertamento tributario».

Il caso Maradona

L’odissea tributaria di Diego Armando Maradona è partita da un accertamento presuntivo disposto dall’Agenzia delle Entrate per gli anni di imposta dal 1985-1990 ed avviato proprio in base al citato articolo 37. Si era infatti partiti dalla presunta errata e solo ipotizzata  sussistenza di un accordo di interposizione fittizia di persona tra la Società Sportiva Calcio Napoli S.p.A., il calciatore Diego Armando Maradona (oltre a  lui, De Olivera Filho Antonio, “Careca”, e De Brito Ricardo Rogherio, “Alemao”) e le società estere di sponsorizzazione.

Sulla base di tale supposizione, l’Amministrazione Finanziaria ha presunto che esistessero redditi da lavoro dipendente più elevati rispetto a quelli dichiarati e che pertanto rispetto ad essi il Calcio Napoli, in quanto datore di lavoro (nonché sostituto d’imposta), avrebbe dovuto versare ulteriori somme all’erario, a titolo di ritenute d’acconto sul presunto maggior reddito da lavoro dipendente percepito da Diego Armando Maradona per il tramite delle società estere, interposte fittiziamente.

 

Nel 1991 l’Agenzia delle Entrate notifica l’accertamento alla sola Società Calcio Napoli, che tempestivamente impugna e contesta questa ipotesi dinanzi al giudice tributario, attivando un iter giudiziario che vede un primo accoglimento delle sue tesi con la Sentenza n. 126/01/1994 emessa dalla Commissione Tributaria di Secondo Grado, e la loro conferma con la Sentenza n. 598/01/2013 emessa dalla Commissione Tributaria Centrale. Dalle due sentenze emergono i seguenti, incontrovertibili elementi:

 

a. non vi sono prove idonee a dimostrare l’interposizione fittizia ipotizzata dall’Amministrazione Finanziaria;

 

b. non vi sono prove della effettiva percezione di maggiori somme da parte di Diego Armando Maradona.

 

Del resto, anche le indagini preliminari svolte dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli avevano accertato che «… nella specie non sussistono elementi e riscontri concreti … per ritenere che i corrispettivi versati dalla S.S.C. Napoli alle Società D.A.M.P., T.W.W. e D.I.A.R.M.A., costituiscano in realtà elargizione di compensi al calciatore e che pertanto quest’ultimo, dichiarando soltanto i compensi corrispostigli dalla S.S.C. Napoli in base al contratto intercorso con essa, abbia presentato una dichiarazione infedele».

 

Non avendo potuto provare l’interposizione fittizia – perché non è mai esistita – il fisco non possiede dunque il presupposto indispensabile per esigere le somme presuntivamente indicate, per quali manca l’elemento costitutivo.

 

Nel caso di Maradona è del tutto escluso il presupposto dell’obbligazione tributaria previsto dall’art. 37 ultimo comma d.P.R. n. 600/1973, presupposto che, qualora l’accertamento avesse dato esiti positivi, avrebbe legittimato l’operatività della norma e consentito la tassazione dei maggiori redditi supposti dall’Amministrazione Finanziaria.

 Al contrario, è stata invece accertata l’inesistenza di prove che possano dimostrare la maggiore capacità contributiva di Maradona e, quindi, la legittimità delle somme pretese.

 

In sostanza, la presunzione su cui si basavano gli accertamenti del fisco è rimasta una mera ipotesi, assolutamente infondata, mai sorretta dalle dimostrazioni obbligatorie previste dallegislatore.

 

Si è insomma verificata la paradossale condizione per cui il campione argentino, benché non sia mai stato neppure convocato nel giudizio sostenuto anni addietro dalla Società Sportiva Calcio Napoli, né sia stata in quei giudizi mai neppure esaminata, se non incidentalmente a suo favore, la sua personale posizione rispetto alla vertenza del Calcio Napoli col fisco, si è trovato imputato da solo  in prima persona un assurda pretesa tributaria nonostante l'esclusione di responsabilità per il suo datore di lavoro. Ricevendone per giunta notizia solo nel 2001, attraverso la notifica di un criptico avviso di mora, contro il quale ha tempestivamente proposto opposizione e gli e' stata negata giustizia .

 

Si arriva così alla sentenza di Cassazione del 2005, sulla quale occorrono alcune indifferibili precisazioni. In primo luogo, la Corte non perviene ad alcuna condanna, né accertamento o calcolo sul presunto debito. Si tratta infattidi una sentenza “di rito”, con la quale la Suprema Corte non entra nel merito della fondatezza, o meno, della pretesa avanzata dal fisco, ma si pronuncia solo sulla validità delle notifiche degli avvisi di mora . Nel considerare regolari quelle dei soli avvisi di mora precedenti all’atto impugnato, la Cassazione evidenzia però  di fatto la irritualità , e quindi la non regolarità , sia della notifica dell'accertamento fiscale che di quella della relativa cartella,mai consegnate o pervenute nella sfera di conoscenza di Maradona.

 

Il provvedimento della Suprema Corte, nonostante sia una sentenza di mero rito e non contenga alcun accertamento in ordine all’effettività della pretesa ed al quantum ipoteticamente dovuto, costituisce l’unico irrituale atto in possesso dell’Agente della Riscossione. E solo sulla base di tale atto il fisco italiano inverosimilmente pretende di proseguire la sua azione esecutiva, in aperta violazione degli artt. 57 d.P.R. n. 602/1973  e degli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione.

 

Va insomma ribadito, alla luce di questi elementi, chel’Amministrazione Finanziaria continua a pretendere da Diego Armando Maradona l’adempimento di un’obbligazione tributaria destituita di ogni suo fondamento. Lo è sicuramente per il venir meno , meglio la inesistenza del presupposto oggettivo e lo è - cosa ancor più grave – per il  venir meno del presupposto legislativo alla base della pretesa, vista la totale ed assoluta inesistenza da parte di chiunque di qualsiasi violazione fiscale sul punto.

 

“Nessuna prestazione patrimoniale o personale può essere imposta se non in base alla legge”, recita l’articolo 23 della Costituzione. Ma nel caso Maradona è stata  esclusa, sia in sede tributaria  che in sede penale, l’applicabilità dell’articolo37 ultimo comma del d.P.R. n. 600/1973 (quello sull’interposizione fittizia), perché le prove sono risultate inesistenti. La domanda allora è: a che titolo ancora oggi si pretende da Maradona l’adempimento di un’obbligazione tributaria alla quale mancano i presupposti e le fondamenta sotto il profilo del diritto? 

 

L’inevitabile conclusione è che la persecuzione del fisco italiano ai danni dell’asso argentino non solo è illegittima, ma risulta anche anticostituzionale, perché sorta sulla base di un presupposto presuntivo, poi escluso dalla magistratura per l’assoluta inesistenza di prove. Si continua ad agire sulla base di una disposizione di legge risultata in questo caso inapplicabile e infondata, violando così i principi della Carta Costituzionale (articoli 3, 23, 53 e 97). 

Peraltro, non sussiste ad oggi alcuna altra norma in base alla quale potrebbe essere riconosciuto legittimo il prelievo delle somme richieste ed indebitamente già versata da un curatore fallimentare tramite condono , sulla base di un accertamento diverso e fondato, a sua volta, su un diverso indice di capacità contributiva.L’atteggiamento del fisco nei confronti di Maradona si scontra perciò anche con il principio di buon andamento dell’Amministrazione previsto dall’articolo 97 della Costituzione, che impone agli enti verificatori comportamentiorientati all’applicazione del tributo giusto ed alla determinazione qualitativa equantitativa del suo presupposto.


 

 

 

 

La questione giudiziaria tra Maradona ed il Fisco italiano, nasce da una ipotesi sbagliata del fisco degli anni 80, che nessuno poi ha avuto il coraggio di correggere !

In sostanza, il Fisco aveva erroneamente ipotizzato che le somme guadagnate dalle società estere di sponsor sullo sfruttamento dell'immagine dei calciatori della Società Sportiva Calcio Napoli (ferlaino), erano in realtà destinate ad aumentare i loro guadagni...insomma, un'ipotesi che avrebbe consentito al Fisco di incassare miliardi di lire sulla base di una semplice presunzione, e soprattutto in assenza di prove che attestassero l'effettivo guadagno di tali somme da parte sia della Società che dei Suoi Calciatori!!!!

Da tale ipotesi, nel 1991 l'Agenzia delle Entrate emette un atto di accertamento fiscale e lo notifica, dapprima, alla sola Società Calcio Napoli e poi ai Calciatori Careca e Alemao, mai a Maradona !!! Questi atti di accertamento vengono subito impugnati, sia dalla Società che dai due calciatori, e dopo anni di giudizio, ben due collegi di giudici tributari, dichiarano nulli ed infondati gli accertamenti ed indimostrate le ipotesi del fisco.

Perfino la procura della Repubblica accerta e dichiara l'inesistenza di qualsiasi violazione e la totale corettezza di Maradona.

In altre parole, sia i giudici tributari che i giudici penali hanno accertato che non vi era alcuna ipotesi di evasione nè altra violazione fiscale imputabile alla Società Sportiva Calcio Napoli nè ai calciatori, in quanto le somme guadagnate dalle società di sponsor erano state da queste legittimamente percepite sulla base di un legittimo contratto di sfruttamento dell'immagine degli stessi, e pertanto sottoposte a tassazione nel paese in cui tali società avevano la loro sede, non costituiendo maggiori guadagni imputabili ai calciatori, così come aveva ipotizzato l'agenzia delle entrate.

Tutto questo avviene negli anni in cui Maradona, già lontano da Napoli vive il noto periodo di recupero di salute psico fisica, ed è ben lontano da tutto ciò che aveva riguardato il suo passato calcistico.

Maradona non riceve mai alcuna notifica: nè del presunto accertamento totalmente sbagliato e neanche della cartella esattoriale.

In effetti, Maradona non ha mai avuto una residenza in italia, tanto che all'epoca il ragioniere del calcio napoli per fargli la busta paga gli registrò un indirizzo e solo un domicilio presso il campo paradiso a soccavo, dove ovviamente non avendo mai abitato e non essendoci fisicamente mai stato dopo gli anni 90, Diego non ha mai ricevuto alcuna notifica degli errati e nulli atti originari.

Solo nel 2001 per effetto della notifica di un avviso di mora Maradona viene a conoscenza della questione, e, non avendo mai ricevuto nulla in precedenza propone opposizione dinanzi ai giudici tributari, che si conclude con un provvedimento di inammissibilità, in quanto tali giudici hanno dato prevalenza alle notifiche dei soli  precedenti avvisi di mora che per qualsiasi altro contribuente non hanno alcun valore in mancanza della cartella e del presupposto accertamento fiscale , ma mai arrivati nelle mani di Diego Armando Maradona.

A questo punto, accertato dai giudici anche tributari che non è  mai esistita violazione fiscale e visto che ferlaino non ha versato nulla di irregolare al suo dipendente Maradona, come può Diego aver evaso se non ha mai percepito nulla in più di quanto dichiarato dal suo datore di lavoro?

Così il fisco pur ammettendo di fatto che la violazione non esiste, e che tutto quello che ancora oggi pretende non ha alcun fondamento, come accertato da ben due sentenze di merito e dai diversi provvedimenti emessi dai giudici penali, per non fare marcia indietro si inventa che Maradona dovrebbe allo Stato Italiano oltre 40 milioni  di euro per la sola colpa di non aver fatto opposizione all'accertamento fiscale originario a lui mai notificato ,  come fece invece Ferlaino eventuale principale responsabile e suo datore di lavoro ,  fingendo di dimenticare che a Diego questo accertamento non è mai stato notificato.

 

Tanto è stato sia riconosciuto dalla stessa sentenza di rito della cass del 2005 dal fisco tanto sbandierata manco fosse una sentenza di condanna nel merito o di accertamento chiaro ed incontrovertibile, sia da quanto si desume dal certificato di residenza storico che attesta che Diego Armando Maradona, non ha mai avuto alcuna residenza in Italia, ma solo un mero domicilio su un campo di calcio da allenamento .

Quindi come sempre affermato e continuerà a gridare per far vincere la verità e la giustizia, Diego Armando Maradona è esente da qualsivoglia colpa e responsabilità, ed è ad oggi vittima di una vessatoria procedura esattoriale che si scontra con i principi costituzionali posti a base del nostro ordinamento e di cui agli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost.

 Senza dimenticare l'intervenuto condono da parte del curatore del fallito calcio napoli che nulla doveva come affermato dai giudici e che invece ha anche sanato per il suo dipendente Maradona da buon sostituto !