Da 0 a 10: la reazione di Conte al post di ADL, l’analisi shock a Dazn, il giallo dello striscione a Spalletti e il metodo Shoshin di Kvara
Zero ad un silenzio inquietante, lì dove le immagini avrebbero da sole la forza per imporsi come una verità indiscutibile, un assioma che non ha bisogno di essere dimostrato. Bianco affonda col piede sul piede di Di Lorenzo, quelli bravi direbbero step on foot, noi meno bravo diciamo pestone: il senso è quello. È rigore, tranne che per tre persone: l’arbitro Manganiello, Fabbri al Var e Luca Marelli, che a Dazn dice: “Non è step on foot, perché è solo la punta del piede di Bianco sul piede di Di Lorenzo”. Abbiamo scoperto che in area di rigore è consentito fare i grattini con i piedi agli avversari. W il romanticismo.
Uno spettacolo. Chi non ne ha colto i dettagli, era distratto. E chi non è attento ai dettagli, è destinato all’infelicità. Non si ha, neanche per un secondo, la sensazione che il Napoli possa non vincere la gara, traspare una superiorità che è prima di tutto mentale, infine tecnica. La squadra vince perché vuole vincere. Sembrerebbe una tautologia, ma non lo è. Non è pressione alta, è la danza dell’addome che le api esploratrici utilizzano per comunicare alle altre la posizione del cibo: avere fame e conoscere alla perfezione cosa fare per saziarla.
Due gol davanti a Spalletti, che in tribuna assiste alla metamorfosi del suo Napoli. Sono cambiati principi, diversi interpreti, il fondamento ideologico: meno possesso, esistenzialismo allo stato pure. Due modi meravigliosi di vedere il pallone, due condottieri che vorrebbero ritrovarsi in estate ad avere una cosa in comune: portare un tricolore a Napoli post D10S. Luciano si gode una squadra ritrovata e gli applausi del Maradona, col giallo di uno striscione che pensava fosse dedicato a lui ed era, invece, per uno storico tifoso della Curva.
Tre in casa, tutte vinte contro Bologna, Parma e Monza. Lo scorso anno ne erano state vinte sei nell’intero campionato, segnando al Maradona 24 gol in 19 partite, oggi già 7 in 3 gare. La lenta agonia in stile corazzata Potëmkin post scudetto aveva vissuto a Fuorigrotta le pagine più deprimenti, una depressione spazzata via in poche settimane da un uomo solo al comando. Che quando segna il Napoli gli si gonfia sul collo una vena che nemmeno a Rocky quando urlava Adriana.
Quattro reti incassate in campionato, una soltanto con Buongiorno in campo. E solo su rigore. Su azione, con l’ex Toro in campo, il Napoli non ha ancora subito un gol. Alessandro che sarebbe troppo facile chiamarlo Magno, che i difensori se li magna e non li lascia passare mai. Il dato dei 1513 minuti senza subire dribbling, col tassametro che ancora corre, è sbalorditivo e ne fotografa più di ogni altro commento l’applicazione difensiva. Una barriera spazio temporale che non lascia passare nemmeno un granello di sabbia, sarebbe capace di respingere pure Troisi e Benigni in ‘Non ci resta che piangere’: Chi siete? Cosa portate? NON passate!
Cinque cambi, tutti nei minuti finali: Mazzocchi al 75’ gli altri al minuto 87 e 91. Chi pensa che Conte possa rilassarsi, abbassare la guarda pure per un secondo, pensa male. Concede appena 3’ più recupero a Neres, perché è estasiato dall’applicazione difensiva di Politano: questo è Antonio Conte. Chi è in panchina dovrà dannarsi in allenamento per rosicchiare minuti ai titolari, dimostrare col lavoro quotidiano di aver acquisito il suo metodo, di essere stato illuminato dal signore nel pieno della notte come John Belushi nei Blues Brothers. “Io ho visto la luce!”
Sei in vetta e che fai, non cinguetti su X? De Laurentiis non ha resistito alla tentazione, prendendosi la sua piccola rivincita dopo le critiche, meritatissime, dello scorso anno. “Per scaramanzia non diciamo nulla” scrive Aurelio, con tanto di emoji da adolescente in piena tempesta ormonale. S’è innamorato di Conte, che alla domanda sul messaggio del presidente scoppia a ridere, ma in cuor suo gli avrebbe voluto strappare lo smartphone dalle mani e bloccargli tutti i giga per non farlo connettere. Non è il momento di fissare obiettivi, ma di coltivarlo col silenzio con cui il contadino attende i risultati della semina. Posa il telefono Presidente.
Sette al Polpo Frank. Anguissa domina la mediana, coi tentacoli orienta e condiziona tutti i timidi tentativi del Monza. Un primo passaggio a livello, una scrematura all’ingresso che rispedisce a casa tutti gli imbucati alla sua festa. Non un centrocampista: un buttafuori. È tornato a giganteggiare, a lottare, a sacrificarsi come nei giorni migliori, lo ha fatto perché qualcuno gli ha innescato un’idea nuova, una motivazione nuova, un cuore nuovo pronto a sacrificare ogni cosa per il nuovo scopo. La profezia di Bruno Lauzi s’è avverata: “Ritornerai. Lo so ritornerai”.
Otto a Kvaratskhelia, nuovamente al centro del racconto. Gioca più vicino alla porta, esplorando quegli spazi e quelle possibilità che in passato non sempre prendeva in considerazione. Il 77 si è messo a disposizione di Antonio, come uno studente di arti marziali che apre la mente all’ideologia dello Shoshin: il metodo della mente del principiante, ovvero fare tutto con la curiosità della prima volta, approcciarsi alle cose nuove senza preconcetti e totale apertura mentale, anche si parte da uno stato avanzato di conoscenza della materia. Perché “Nella mente del principiante vi sono molte possibilità, nella mente dell'esperto soltanto alcune”.
Nove a Politano e alla favola del leone e la gazzella (David Neres) che si stimolano a vicenda, tutte le mattine in Africa. Si sta ritagliando l’etichetta di uomo chiave, equilibratore della squadra di Conte, che ha speso parole importanti per lui nel dopo gara: “Ma avete visto che ha fatto oggi? Il lavoro fatto nella fase di non possesso? Ed ha fatto pure gol! È la dimostrazione che bisogna pensare col noi”. E quando un allenatore vede quel tipo di determinazione, non ti toglierà mai dal campo. Pure se alle spalle hai un fenomeno come Neres, che entra già col piede caldo manco fosse un tostapane e rischia sempre di far gol o assist in una manciata di minuti. È il libero mercato, le infinite possibilità della concorrenza in cui bisogna essere sempre disposti a fare un passo in più del rivale. La concorrenza non sarà mai un problema per Conte, ma solo Manna dal cielo.
Dieci a Conte in versione John Woo, regista di Face Off in cui John Travolta e Nicolas Cage si scambiano le facce. Un miracolo, aver cancellato tute le vecchie paure. Un miracolo, aver restituito luce a calciatori che s’erano infilato dentro a un buco nero. Un miracolo, aver ridato solidità ad una squadra che s’era riscoperta più fragile del Bonsai di Karate Kid. Riuscire ad avere un totale controllo, tecnico ed emotivo, di una squadra intera, di una piazza intera, di milioni di napoletani sparsi in tutto il mondo, che ad un solo segnale di Antonio sarebbero pronti a scatenare l’inferno. Riportare il Napoli, al centro dell’Universo che se resti in silenzio a guardare la classifica ti pare di ascoltare i Coldplay: “Tu, tu sei, il mio universo E io voglio solo metterti al primo posto”. Detto, fatto.
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