Da 0 a 10: gli osceni commenti a Dazn, il delirio in campo di Allegri, il cazzotto da codice penale e il mancino di Ciro Marek Raspadori

Il Napoli vince anche sul campo della Juve: gran gol di Raspadori e terzo scudetto ad un passo. Bravo Spalletti, orribile pugno di Gatti a Kvaratskhelia
24.04.2023 20:21 di Arturo Minervini Twitter:    vedi letture
Da 0 a 10: gli osceni commenti a Dazn, il delirio in campo di Allegri, il cazzotto da codice penale e il mancino di Ciro Marek Raspadori
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Zero al pugno infame di Gatti e all’ancor più infame silenzio della sestina arbitrale. Il fotogramma del volto del difensore è manifesto di un’inferiorità che lo porta a usare, come unico rimedio contro Kvara, la violenza bruta. Anche nel campo di provincia, con le porte fatte con gli zaini, sarebbe stata espulsione. Con 80 telecamere, Gatti viene graziato. Una decisione che trasmette un senso di vomito, senza spiegazioni logiche. O forse sì: è il motivo è lo stesso per cui il Napoli per vincere il campionato ha dovuto dominarlo, farlo a brandelli. Altrimenti… Altrimenti… Altrimenti… Finiva come qualche anno fa. Lo schifo resta nella coscienza degli interpreti. 

Uno al consueto numero da circo di Cuadrado: triplo carpiato con calcio al difensore. Movimento truffaldino con cui ha scippato pure una qualificazione in Champions al Napoli, col mitico Calvarese che abboccò in Juve-Inter. Allegri senza vergogna ha l’ardire di protestare, il colombiano resta a terra inventando dolori come il malato di Molierè, sulla ripartenza (e sulla fascia lasciata scoperta da Juan) arriva il gol del Napoli. Sembra il riassunto degli ultimi dieci anni, fate quasi venti, della nostra Serie A col verme. Manco Dante avrebbe trovato un contrappasso così calzante per pulire le malefatte del bianconero.

A Due metri ma Fabbri non vede il chiaro fallo di Milik su Lobotka, con Arek che prende prima la gamba e poi la palla. I replay abbondano, nemmeno Bernini avrebbe cercato più angolazioni e prospettive per provare ad alimentare il dubbio del ‘non è fallo’. I commenti tardano a Dazn, il tono della voce si abbassa d’improvviso dopo i picchi di decibel al gol di Di Maria. Lo stesso imbarazzo e silenzio che aveva accolto il pugno in faccia di Gatti, senza che nessuno si esponesse contro quel gesto vergognoso. “Dire quello che pensi certo ti danneggia in società: ma la libertà di parola vale più di mille inviti”. L’Italia è paese di santi, poeti, navigatori e di quelli che ‘meglio stare dalla parte dei potenti’.

Tre punti sul campo di una big (non per il gioco). Dopo Milan, Lazio, Roma e Atalanta, il Napoli espugna anche lo Stadium per chiarire un concetto: Se vuoi essere il migliore, devi batterti con i migliori. E batterli. E gli azzurri lo fanno con l’unico modo che conoscono: dominando. Ben più di quanto racconta il risultato, affidandosi alla volontà di indirizzare il proprio destino e non subirlo. Navigando dinanzi alle colonne d’Ercole dei propri limiti, leggendo il perentorio invito ‘Nec plus ultra’ si sono fatti una risata. E sono andati oltre. Molto oltre. Confermando ancora una volta che i limiti, come le paure, spesso sono solo illusioni. 

Quattro volte nella storia il Napoli ha battuto la Juve all’andata e al ritorno. Vero, questo è un campionato falsato. Come lo sono stati quelli alterati da chi non ha rispettato le regole, acquistando campioni che non poteva acquistare. Pagando stipendi sottobanco, con accordi truffaldini. Vero, questo è un campionato falsato per la corsa all’Europa e pure per la salvezza. Solo un rincoglionito, però, potrebbe pensare che sia stata falsata la corsa scudetto in un campionato che s’è giocato sempre e solo per il secondo posto.  La vera penalizzazione imposta ai bianconeri è l’assoluta inferiorità tecnica e tattica.

Cinque anni dopo, su quel campo lì, nei pressi di quei minuti lì. È un lungo viaggio, un peregrinare a piedi scalzi sui confini del cuore, il raggiungimento glorioso di un obiettivo che ti era sembrato troppo grande da poterlo realizzare, che volevano farti apparire irraggiungibile. È la vittoria degli ostinati, di quelli capaci di rischiare tutto per un sogno che nessuno vede, tranne te. Il cammino di Santiago del pallone italiano, pura introspezione ed espiazione di qualche peccato. Questo Napoli è la cosa più bella che potesse capitare alla Serie A. Una squadra che ha in sé tutti i sogni del mondo.

Sei anni e perde la madre: Victor è nato da una nuvola, come un centauro. Irraggiungibile nello spazio aperto, ancor più leggero dentro a un cuore che non conosce cattiveria. A metà ripresa con Soulè a terra, e la possibilità di approfittarne, Osimhen ferma il gioco per far soccorrere il giovane argentino. Perchè Victor è ossessionato dal gol, ma non conosce scorciatoie. Non le ha mai prese, non le ha mai avute nella vita. Osimhen in dialetto nigeriano significa ‘Dio è buono’. Chissà quante volte ci avrà fatto a cazzotti con quel Dio Victor nella sua infanzia, mentre cercava due scarpe da calcio in una discarica di Lagos. Una destra ed una sinistra. Non importa che siano di marche e modelli differenti. La strada non bada a questi dettagli insignificanti.  La rincorsa di Victor inizia da lì. Con lo sguardo alto verso un sole rovente ed i primi calci ad un pallone che nemmeno rimbalza. Ti meriti tutto.

Sette alla visione di calcio di Elmas, che pare uno dei protagonisti di Manifest dopo una ‘chiamata’: una piuma col destro che è una lacrima di gioia, che si camuffa con la pioggia e arriva perfetta sul piede sinistro di Raspa. È uno dei tanti che hanno fatto tanto, pur giocando poco o ‘meno di quanto meritavano’ (cit. Luciano). Saper comprimere un grande contributo in poco tempo è stato il segreto di Eljif, di Simeone e di quelli che hanno saputo sostenere questo progetto con serietà ed entusiasmo. Atipico, di talento, solido: ci sono tutti gli elementi per fare di Elmas uno che farà sempre di più la differenza. 

Otto a Spallettone che indovina i cambi, che ha sbagliato praticamente mai e si gode ora il suo ‘posto finestrino’ dopo anni di sacrifici. È la vittoria di Luciano, della caparbietà di un tecnico che ne ha prese di tranvate ed ha trasformato quelle botte in tensione evolutiva, verso un’idea di calcio ancor più performante. “Nella vita non c’è la retromarcia” dice nel dopo gara, regalando un’immagine meravigliosa da applicare ad ogni settore. Non s’è perso nei rimpianti, ha accolto la sfida Napoli come la grande occasione della vita ed ha tirato fuori un capolavoro. Sempre col piede a martello sull’acceleratore, senza lasciare nulla, ma proprio nulla, al caso. Tutti in piedi sul divano per Luciano.

Nove al mancino di Jack il Guerriero.Mai, mai scorderai. L'attimo, la terra che tremò. L'aria s'incendiò e poi silenzio”. Ha l’effetto anestetico e catartico il sinistro di Raspadori, che cristallizza un popolo intero in un attimo di goduria totalizzante e purifica col suo viso da ragazzo della porta accanto un sistema marcio e arraffone. Col sinistro che attende quel pallone in volo, un tiro sospinto dal cielo da un alito di Maradona, un soffio d’infinito per ficcare la bandierina sul pianeta terzo scudetto. C’era Diego a proteggere le spalle di Jack, a rendere perfetta la postura per un gol che è già una cartolina da spedire e rispedire all’indirizzo della memoria. Cantami, o Diva, del Maradoneide Giacomo l'ira funesta che infiniti addusse lutti ai bianconeri.

Dieci a un cerchio perfetto che si chiude, che pare averlo disegnato Giotto dinanzi a Bonifacio VIII per dimostrare la sua infinita grandezza. Mentre il pallone vola alto sulla testa di Raspadori, in attesa dell’impatto vincente, esiste un tempo senza tempo, che pare di vederli tutti riuniti. Ci sono Marek, Ciro, Kalidou, Lorenzo, Josè e pure Ezequiel con Edi. E tutti quelli che hanno posto un mattoncino di questo terzo scudetto che nasce molto tempo addietro, con una gestazione così lunga per lo scippo del 2018. Nell’eterno ritorno dell’universo, non c’era finale migliore da immaginare. Ogni cosa, al posto giusto. Ogni torto, vendicato. È la vittoria di tutti quelli che ci hanno creduto, che hanno pianto dinanzi al muro dell’ingiustizia. È per loro, per noi. Per tutti quelli che hanno bagnato con una lacrima una maglia che hanno sentito come una seconda pelle.

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