Da 0 a 10: Gattuso sfonda il muro dello spogliatoio, l’assurda clausola di Lobotka, il massacrato Demme e la polizia a caccia di Koulibaly

(di Arturo Minervini) - Zero. Proprio zero, nella sua ancestrale visione: il nulla. È scioccante la prima parte di gara degli azzurri, un tuffo senza salvagente nella parte peggiore di te, quella che avevi promesso di non riproporre al mondo. Ma le promesse, senza la reale convinzione di rispettarle, valgono meno di un granello di sabbia nel mezzo di una tempesta. Fa il marinaio il Napoli, gioca coi sentimenti e si lascia cullare/travolgere dalle onde. Affida il futuro al destino e rischia di farsi male, molto male. Così, questa nave non andrà molto lontano.
Uno il gol subito, specchio dell’indolenza che si fa fastidio. Di singoli che curano il proprio orticello, senza una visione globale del sistema. Una comunità che non è comunità, un popolo che è Stato ma non Nazione. La libertà concessa agli attaccanti del Rijeka è un atto di generosità che ha pochi precedenti nella storia: come Fantozzi che devolve in beneficienza (senza volerlo) la vincita della lotteria di Capodanno. Liberali masochisti.
Due metri o poco più: vuoi vedere che nel contratto Stanislav ha una clausola che gli vieta di fare passaggi a lunga gettata? Lobotka non osa, non copre, non attacca lo spazio. Si trincera nell’orizzontalità di appoggio banali, qualunquisti, effimeri come pensieri di un opinionista sconosciuto in un pomeriggio inutile nel salotto di Barbara D’Urso. Male da trequartista, ancor peggio nella mediana a due. Ora non c’è bisogno di pagare un interurbana fino a Houston per capire che, sì, qui abbiamo un problema.
Tre punti. Sforziamoci come Bradley Cooper e Jennifer Lawrence nella ricerca di un Lato positivo davvero difficile da ritrovare. In Croazia una di quelle vittorie che sono meno vittorie di certe sconfitte, l’ennesima conferma che “A volte, quando vinci, in realtà perdi, e a volte quando perdi, in realtà vinci. A volte quando vinci o perdi, in realtà pareggi, e a volte quando pareggi, in realtà vinci o perdi. Vincere o perdere è un meccanismo unico dal quale estrarre ciò che ad ognuno serve”.
Quattro a quello che non è quello che sembra. Aiutateci a segnalare alla polizia croata lo sconosciuto che indossava la maglia numero 26, recante la dicitura ‘Koulibaly’. Chiara fattispecie riconducibile all’articolo 494 del Codice penale: “Sostituzione di persona”. Quello non è KK. Non può esserlo. Non deve esserlo. Esistono degli standard minimi che vanno rispettati, soprattutto per chi ha il suo potenziale.
Cinque a Di Lorenzo. Ad un primo tempo di amnesie, di omissioni, di sorprendenti mancanze. Una partenza che rispecchia la prima parte di stagione dell’ex Empoli, così lontano dalla luminosa sorpresa che era stato lo scorso anno. Ora sarebbe pure facile tirare fuori la cosa che confermarsi sia molto più difficile, però spesso le cose facili sono anche quelle più vere. Coraggio Giovanni, è il momento di salire ancora. C’è uno spazio da colmare tra la rivelazione che sorprende e la buona abitudine. La routine ha un valore spesso sottostimato.
Sei punti nel girone come Az e Real Sociedad. Ma il Napoli cosa vuole farci con questa Europa? Vuole trattarla così? Prenderla e lasciarla come un’amante di una storia burrascosa, che rischia di lasciare più ferite che sorrisi. L’armata fantasma che approda a Fiume lascia perplessità sull’interesse, sull’appeal che questa manifestazione trasmette ad un Napoli che aveva fatto la bocca buona. Sapore di Champions che rende amare più dello sciroppo certe gare ai confini dell’Impero.
Sette a Demme, messo nell’angolo dalla vita pallone in queste settimane come Oliver Twist. All’inizio si tifa per le favole, poi la gente si stanca anche di quelle. Svanita l’empatia, Diego è finito troppo presto dietro alla lavagna dei cattivi. È ricambio utile, ha cuore e grinta per affrontare certe situazioni. Uno da recuperare, emotivamente. Uno che meriterebbe maggiore sostegno, perché alla fine la scelta che fatta l’ha pagata a caro prezzo, forse più grande di quanto si aspettava.
Otto gare giocate, sei le vittorie. Apriamo l’angolo degli ottimisti, perché vincere mica è sempre scontato. La vittoria è un percorso lastricato da mille inganni, intoppi, imprevisti. Abituarsi a vincere, anche nelle notti orribili come quelle di Fiume, è un esercizio di routine mica da sottovalutare. Perchè il confine tra ‘giochisti’ e ‘risultatisti’ è sempre più sottile, si riduce a seconda della convenienza. Ci si balla su, come sul mondo di Ligabue: sul mondo lo sai, si scivola.
Nove…mbre. Tempo di primi bilanci, provvisori, per carità. Numeri che spostano l’ago della bilancia verso il sorriso, ma c’è l’udito che è percorso sensoriale capace di cogliere rumorini, scricchiolii che annunciano imperfezioni, note stonate che andranno corrette per rendere l’esecuzione gradevole nel tempo e nello spazio. Bisogna, prima di tutto, scegliere chi essere. Darsi forma e personalità, senza cambiarla in ogni scena come Eddie Murphy ne ‘Il professore matto”.
Dieci, macché, cento decibel. Le urla di Gattuso a Fiume riecheggiano come un’antica battaglia dannunziana. Tremano le pareti dello spogliatoio, si formano crepe come nel tormentone di Irama. È un diavolo Ringhio, si sente tradito da quella squadra che ‘sembrava in gita’. Non sa darsela una spiegazione, ma proverà a farlo in queste ore. Lo ha fatto per tutta la notte, insonne. Dovrà rispondere ad una domanda semplice: il 4-2-3-1 è un rischio che vuole correre? È il modulo che permette alla rosa di esprimere al meglio il proprio potenziale? In quanti finiscono fuori ruolo? In quanti stavano rendendo meglio nei paletti del 4-3-3? Interrogativi che ora assumono sembianze ingombranti nella testa, che suonano alla porta di Rino come esattori che non accettano ulteriori proroghe.
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