Guido Clemente di San Luca a TN sugli scandali arbitrali: "Urgono chiarimenti sul ruolo specifico"

Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo all'Università della Campania Luigi Vanvitelli, ha espresso per Tuttonapoli le sue considerazioni sul momento della classe arbitrale.

04.05.2022 13:44 di  Redazione Tutto Napoli.net  Twitter:    vedi letture
Guido Clemente di San Luca a TN  sugli scandali arbitrali: "Urgono chiarimenti sul ruolo specifico"

Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo all'Università della Campania Luigi Vanvitelli, ha espresso per Tuttonapoli le sue considerazioni sul momento della classe arbitrale.

Da quel che mi vien fatto notare ricavo che la tesi proposta nel volumetto sugli arbitri dello scorso dicembre (Arbitri, non giudici!, Edit. Scientifica) sia stata esposta in maniera non del tutto appropriata. Se è possibile generare significativi equivoci interpretativi, deve ritenersi che almeno in alcuni punti sono stato poco felice. È perciò necessario spiegarsi meglio. Sarò telegrafico e netto.

Non ho in alcun modo voluto porre in discussione l’opportunità di ridimensionare la portata della L. 280/2003. Nessun intento di prevedere una qualche forma di controllo sulle decisioni degli arbitri. Il contenuto ed il senso delle regole tecniche del gioco del calcio sono – e non possono che restare – territorio riservato in via esclusiva all’autonomia dell’ordinamento sportivo. Altra cosa, naturalmente, è sostenere che siffatto contenuto non possa essere in contrasto con i principi ed i valori caratterizzanti l’ordinamento generale, ed avanzare dubbi sulla conformità a tali principi e valori della struttura istituzionale dell’ordinamento del calcio. Anche in ragione della difesa del senso ultimo dello sport, che resta la leale competizione (nonostante si sia dovuto sopportare la corruzione della sua idea, per effetto di una esagerata spettacolarizzazione del fenomeno e del conseguente abnorme sfruttamento commerciale).

Insomma, non ho in mente un controllo statale sulla regolarità nello svolgimento delle partite. Ho anzi espressamente affermato che – nella rilevazione di una delle tre ipotesi di fallo puntualmente codificate dal Regolamento (negligenza, imprudenza e vigoria sproporzionata) – «l’arbitro ben può incorrere in un errore». Precisando che la commissione di un errore, per un verso,«è assai difficilmente rilevabile», in ragione della «evidente e indiscutibile circostanza della necessaria tempestività della decisione allo scopo di consentire il prosieguo del gioco» (per la riduzione degli errori, peraltro, è stata preziosa l’introduzione del VAR). E, per altro verso, è «mai sindacabile», la giurisprudenza sportiva sul punto essendo pacifica nel considerare «il giudizio tecnico, che l’ordinamento sportivo rimette all’arbitro», attinente all’«area assolutamente insindacabile che investe le decisioni adottate sul campo», e nell’asserire che le «valutazioni e decisioni di natura tecnica/disciplinare adottate in campo dall’arbitro, devolute alla sua esclusiva discrezionalità tecnica, si esauriscano» al termine della competizione (pp. 68-69). A meno che non si tratti del cd. ‘errore tecnico’, la rilevazione giuridica ex post del quale i giudici sportivi considerano sussistente in ipotesi assai circoscritte, e soltanto per «errori dell’arbitro particolarmente eclatanti, di fatto accertati sempre per ammissione dello stesso direttore di gara» (pp. 93-95).

In altre parole, non sostengo che l’arbitro sia da qualificare come funzionario pubblico, in modo da rendere possibile il controllo sull’attività che egli svolge. Se dalle mie parole s’intende questo, è necessario essere più nitido. Il mio dichiarare che il compito dell’arbitro evoca quello del funzionario di polizia, piuttosto che quello del giudice, si riferisce al tipo di attività che svolge, ma nel seno dell’ordinamento sportivo, non in quello generale.

E ciò – va sottolineato – nonostante la relativa questione sia annosa. Un risalente orientamento minoritario del giudice ordinario infatti (ritenendo che «esercita un’attività di pubblico interesse, e quindi pubblica») lo considerò «a tutti gli effetti un pubblico ufficiale». Tuttavia la Corte di Cassazione (sebbene si sia pronunciata con argomentazioni non sempre coerenti, ciò rivelando come la questione sia tutto fuorché risolta in maniera chiara e definitiva) da tempo ribadisce che non sia possibile qualificare l’arbitro come pubblico ufficiale (pp. 82-86). È bene comunque render noto che v’è una proposta di legge (presentata alla Camera dei Deputati il 20 gennaio 2022, n. 3449) secondo cui, allo scopo di assicurare la loro tutela, andrebbe attribuita agli arbitri la «qualifica di pubblico ufficiale», ovviamente «durante lo svolgimento delle competizioni sportive».

In conclusione, non è obiettivo del mio saggio aprire ad un possibile sindacato dei giudici (ordinari o amministrativi) sulle decisioni degli arbitri. Ciò nondimeno, ribadisco che il compito affidato loro sia da ritenersi assimilabile, in via analogica, a quello svolto da un funzionario preposto all’officium di polizia amministrativa (verifica della conformità dei comportamenti alle prescrizioni normative), e non a quello proprio di un giudice (iuris dicere sulla risoluzione di una controversia). La partita, secondo me, concettualmente evoca una competizione, una gara, non una lite.

L’intimo significato ed il senso autentico dello sport costituiscono la vera ragione esistenziale dell’autonomia del relativo ordinamento. La quale invece, purtroppo, s’è palesemente ridotta a mero scudo giuridico-formale per giustificare e garantire un (tanto deprecabile quanto insopportabile) mercimonio, il riprovevole traffico di una cosa nobile, in sé non venale. Ne sono ennesima testimonianza, da ultimo, le dichiarazioni rese dal Presidente del Napoli, secondo il quale «il calcio è industria» e perciò deve essere amministrato dalle «leghe»: «le proposte devono nascere nella Lega e non nella Federcalcio. La FIGC non finanza la Lega, ma è il contrario». La filosofia sottesa alla creazione della Superleague. E francamente non si può più fingere di non vedere il malcontento, assai diffuso in Italia, per l’iniquità del funzionamento del ‘sistema calcio’.