Esclusiva

Clemente di San Luca a TN: "Conte, la permanenza ed alcune contraddizioni"

Clemente di San Luca a TN: "Conte, la permanenza ed alcune contraddizioni"
sabato 31 maggio 2025, 12:30Esclusive
di Arturo Minervini

Guido Clemente di San Luca, Docente di Giuridicità delle regole del calcio presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell'Università Vanvitelli, traccia un bilancio sulla stagione del Napoli

"Lunedì 26 maggio, alle 15.30, ero al Tribunale di Urbino, relatore su «La giustizia sportiva dentro il campo di gioco». Ho esordito con queste parole: «Il mio amore per Urbino – nella cui Università ho insegnato per dieci anni meravigliosi – è dimostrato dal fatto che, in questo istante, io sono qui con voi mentre la mia città è in festa e celebra appassionatamente la vittoria dello scudetto, con 200.000 persone sul lungomare, che affollano la strada percorsa dal pullman scoperto con i giocatori». Quando mesi addietro concordai la data con gli organizzatori, mi sfuggì del tutto che sarebbe stato il primo giorno dopo la conclusione del campionato (del resto, anche solo per scaramanzia, non avrei potuto pronosticare che ne saremmo usciti vincitori).

Prima di entrare nel merito tecnico-giuridico delle regole del calcio, ho voluto leggere la magnifica lettera del cardinale Battaglia, che invitava tutti a festeggiare senza dimenticare la barbarie di Gaza. Le foto di bandiere della pace sul pullman degli azzurri hanno riempito il mio cuore di lacrime. Fortissime emozioni che si mischiano. Com’è nella tipicità di Napoli.

Lacrime. Come quelle della notte di venerdì 23. Sono arrivato allo stadio praticamente in trance. Erano le 6 del pomeriggio e quella strana atmosfera di sospensione che attraversava la città dalle prime ore del mattino andava dissolvendosi come per incanto. Lasciata l’auto alla Loggetta, come al solito, man mano che si susseguivano i passi per raggiungere il ‘tempio’, la sospensione si scioglieva in un diffuso urlo di convinzione, di potenza, di battaglia. Giunti all’angolo con via Leopardi, la vista della strada era ottusa dall’azione dei fumogeni, la cui densità spiegava che il popolo azzurro aveva preso a sprigionare la sua energia vulcanica.

Sistemato nel mio posto in Nisida intorno alle 18,30, la trance è praticamente divenuta paralisi. Interrotta ogni tanto dal farmi coinvolgere in un canto. Per allentare la tensione. Lasciandola liberare almeno un pochino. Finalmente comincia la partita. Che è stata anche bella, ben giocata (dopo molto tempo). Eppure – da non credersi – me ne rendevo conto, senza riuscire ad apprezzarlo adeguatamente. Tutti i nostri ragazzi concentrati, determinati, brillanti: si muovevano con intelligenza chiara e con paziente, ma ferma, ricerca della rete. Palle-gol a ripetizione fallite di un niente. Il pensiero crescente della dura legge del calcio: «gol mangiato, gol subito». L’Inter è in vantaggio sulla Lazio. Se andiamo all’intervallo così, c’è il rischio serio che gli azzurri vadano in difficoltà emotiva. Finalmente, a pochi minuti dal termine del primo tempo, la semirovesciata di McFratm. Strepitosa. Straordinariamente consolatoria. E, dopo pochi minuti della ripresa, la travolgente cavalcata di Lukakone, che consente di sopportare la paralisi emotiva in una condizione meno dolente. Sciolta solo al fischio finale, in un abbraccio collettivo intensissimo, commovente. Una gioia immensa ed impetuosa. Una trascinante esultanza di popolo, inversamente proporzionale alla sofferenza patita per la suspence data dall’esito incerto delle partite, da Pasqua alla fine, e dalla continua alternanza dei risultati.

2. Al di là della drammaticità sportiva e delle discutibili interpretazioni socio-antropologiche che si sono date dei festeggiamenti (sulle quali torno nel punto 3), si deve provare a fare un bilancio della stagione. Seriamente. Sforzandosi, cioè, di ragionare su quanto avvenuto, privi di preconcetti, con onestà intellettuale, inferendo conclusioni solo dalla osservazione della realtà dei fatti.

Chiunque ritenga che il Napoli abbia vinto immeritatamente, dice il falso. Anzitutto, gli azzurri non hanno usufruito di significative decisioni illegittime. Sicuramente non tante quante hanno arriso l’antagonista. Certo, non si può dire che il campionato, nel suo complesso, abbia espresso un gioco esaltante. Se non a sprazzi. Qualcosa la prima Lazio, l’Atalanta, il Bologna. Gli azzurri, invece, ne hanno offerti molto pochi. Anche l’Inter non ne ha dispensati tanti, ma più del Napoli. Dell’era De Laurentiis, infatti, questo è stato senz’altro uno dei Napoli più brutti.

Il Napoli di Spalletti vinse dominando e giocando benissimo. L’Inter fece lo stesso lo scorso campionato. Nel 2017/18 il Napoli di Sarri dominò e giocò in modo sublime. Perse soltanto per una lunga serie di conclamate decisioni arbitrali illegittime (altro che albergo!), che favorirono la Juventus in maniera clamorosa. Solo se è garantito l’eguale rispetto delle regole, si può accettare che «vincere giocando male» sia meglio che «arrivare secondi giocando bene». Ma non è il caso di quest’anno. Pur non giocando bene, il Napoli ha meritato di vincere.

Squadra tetragona, caparbia, determinata. Vanta la migliore difesa (addirittura in Europa), ha perso il minor numero di gare (solo quattro), ha ottenuto più punti (ben 33) contro le prime dieci (l’Inter ne ha fatti solo 27), è stata più a lungo in testa al campionato. Basta leggere la tabella in basso (*), elaborata da un grandissimo tifoso azzurro, professore di matematica, che condivide con me la passione ed il confronto tecnico-tattico da più di 50 anni.

I numeri parlano chiaro. Sia pur sul filo di lana, il Napoli è stato più forte dell’Inter. Nessuna delle due ha dominato. Hanno combattuto punto a punto (con un vantaggio massimo del Napoli di 4). Grande equilibrio e tante occasioni perse da entrambe le parti. Alla fine, l’ha spuntata il Napoli, con merito.

Questo, però, non deve impedire di rilevare i limiti della gestione di Conte, secondo me osannato oltre il dovuto. Non ha fatto un «miracolo», e nemmeno un «capolavoro». Semplicemente ha fatto assai bene quanto gli era stato chiesto alla firma di un contratto sontuoso. Non è vero che l’Inter avesse la rosa migliore. È vero che una parte di quella del Napoli è stata da lui sottoutilizzata. Per una scelta legittima, ma non necessariamente condivisibile, del mister. Se si sono avuti tanti infortuni muscolari, specie nel girone di ritorno, la preparazione atletica non può essere considerata immune da critiche.

Conte ha indubbiamente saputo prima rivitalizzare lo spogliatoio depresso e poi fronteggiare la vendita di Kvara a gennaio, che ha sensibilmente depauperato il roster (penso comunque che, disponendo della stessa rosa, Italiano avrebbe vinto ugualmente, dando qualche soddisfazione in più sul piano del gioco). Ma non ha – come si è detto – «fritto il pesce con l’acqua». Del resto, negli ultimi 10 anni il Napoli ha conquistato 1 scudetto, 3 secondi posti, 2 terzi posti. Ha fallito solo la scorsa stagione, per evidenti errori del Presidente (da questi virtuosamente riconosciuti). Della rosa attuale, ben 7-8 titolari hanno preso parte alla trionfale cavalcata di due anni fa. A questi, con notevoli investimenti, sono stati aggiunti 4-5 giocatori forti.

Solo l'altro ieri sera ha sciolto la riserva. Conte è stato confermato. Resterà allenatore del Napoli anche per la prossima stagione. Continuerà ad essere, perciò, il mio allenatore. Dunque, tiferò per lui, tifando Napoli. Questo non mi impedisce di perseverare nel rilevare alcune contraddizioni.

Dalle immagini della straordinaria festa del popolo azzurro, ho visto Conte esaltarsi sul bus. Ma non gli ho sentito pronunciare una sola parola sulla specialità di questa terra. Che lui continua a definire, in modo piuttosto distaccato, una «piazza» (come fosse una delle tante). Esprimendosi in modo tiepido sulla città e sulla sua gente. Sempre concentrato sui suoi meriti, sia pur trasferendoli ai ragazzi, che sono stati bravi «da tutti i punti di vista». Falsa modestia. Una ipocrisia insopportabile. E poi tutta questa titubanza nello scegliere di continuare.

Tutte cose che rivelano una natura poco compatibile con noi. Un carissimo amico, autorevole magistrato (in pensione come me) e tifoso azzurro, mi ha scritto che sono «un professore molto severo» e che con me «lo studente Conte può studiare quanto vuole, ma sarà sempre bocciato». Ebbene, non è così. Non dipende da me. Ha avuto tante occasioni per prendere la via di Damasco. Non le ha volute cogliere. Speriamo che si decida a farlo adesso. Anche se, da Torino, mi fanno notare che «un ‘gobbo’ resta tale per sempre».

Ma – mi viene obiettato – «ci ha fatto vincere il quarto scudetto!». E chi lo nega? Ha contribuito significativamente. Da inappuntabile professionista, pagato profumatamente. Il quale, però, nulla ha a che vedere con Napoli, il Mezzogiorno e la bellezza. «Senza di lui non avremmo vinto!», mi viene contestato. Forse. Ma per il suo operato ha ricevuto una cospicua mercede. Niente di più, niente di meno. Napoli è una Storia che lui non vuole – e forse non sa – rappresentare. E questo ci porta al terzo punto che analizzeremo nell'articolo di domani.