Clemente di San Luca a TN: "Inter-Barcellona lascia al popolo azzurro un insistente dubbio"

Guido Clemente di San Luca, Docente di Giuridicità delle regole del calcio presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell'Università Vanvitelli, commenta così il momento del Napoli
"La vittoria dell’Inter sul Barcellona, dopo una partita in sé obiettivamente strepitosa, lascia al popolo azzurro un insistente e penetrante dubbio. Adesso si concentreranno sulla finale del 31 maggio, allentando la presa sul campionato? O, galvanizzati dall’esito trionfale della semifinale, troveranno novelle energie anche per la competizione nazionale?
Il dubbio, pur non infondato, è inutile. Dobbiamo pensare che i nerazzurri faranno di tutto per vincere le tre partite restanti. Che comunque, sulla carta, sono più difficili delle nostre. Il Toro, se non lo affronti al massimo, rischia di prendere un punto. La Lazio, per entrare nelle prime 4, deve battersi allo spasimo. Il Como, pur privo della sua stellina, sta benissimo, ha ambizione e una gran voglia di stupire. Ma se l’Inter ritrova nella testa quelle stesse energie che sono riemerse quando sembravano ormai esaurite, nel momento in cui, al minuto 87, Raphina l’ha messa dentro, è ben capace di vincerle tutte e tre.
Guai, perciò, a ragionare diversamente. Checché ne pensi la parte sprovveduta dei tifosi azzurri (capace addirittura di metter da parte un dato costitutivo del nostro modo di essere, la scaramanzia), abbiamo davanti tre scogli seri. L’ho ricordato la settimana scorsa. Il Genoa ha la mente libera, è quadrato e vuole battere una grande. Il Parma, dovesse perdere ad Empoli, avrebbe il sangue agli occhi, senza contare la storia nerazzurra di Chivu e la qualità che la squadra ha espresso in casa per tutta la stagione. Il Cagliari, infine, benché probabilmente salvo, nutre una risalente rivalità e potrebbe sempre farci lo scherzetto.
È vero che – come mi è stato fatto leggere da Facebook – Conte ha messo in mostra diverse «varianti tattiche»; che ha costruito una «rosa camaleontica a sua immagine e somiglianza che sa indossare un abito diverso in ogni occasione»; che «ha saputo tirare fuori il massimo da parte di tutti»; che può vantare «completa fiducia» in lui e «totale e assoluta abnegazione del gruppo»; che il Napoli è «squadra operaia, senza cali di concentrazione»; che «non sembra soffrire minimamente le vertigini» del primo posto, detenuto per gran parte della stagione. È tutto vero. Ma, se giochiamo come a Lecce (a parte il rischio per le nostre coronarie, ben evidenziato dalla consueta ed efficacissima ironia di Peppe Iodice), superare gli ultimi tre ostacoli è tutto fuorché una passeggiata.
L’avventata ed imprudente celebrazione degli attori protagonisti (e dei comprimari) viene accompagnata da un racconto intriso di insulsa retorica, per lo più basata o su esagerazioni, o su verità in parte occultate, in parte inventate. Non è questo il momento di smascherarlo. Lo faremo quando sarà concluso il campionato. Qualunque ne sarà l’esito. Ora bisogna assolutamente rimanere concentrati sulla necessità di fare 7 punti su 9. Lo ribadisco, e lo farò fino alla fine: «Adelante, Pedro, con juicio, si puedes».
Due cose, però, non si può evitare di segnalare. La prima è questa. Non è vero – oltre ad essere orribile affermarlo – che «Chi vince scrive la storia, gli altri la leggono». La vittoria, il risultato, non sono l’unica cosa che conta. Questo è il motto di chi, antropologicamente, rappresenta il nostro antipode. Naturalmente – ci mancherebbe – raggiungere il traguardo è bello ed importante. Ma non se diventa una ossessione. Perché, così facendo, si finisce per snaturare la stessa essenza della competizione, ch’è fatta proprio dal misurarsi con gli avversari, i quali perciò contribuiscono in maniera determinante a fare la storia.
Assai più rilevante è il percorso che si fa. Molto più dense di significato sono le relazioni umane e sociali che si costruiscono via facendo. Nel 1974 la Germania vinse il Campionato del mondo. Tuttavia, nell’immaginario collettivo è rimasta l’Olanda che non vinse, non la Germania. Nella memoria azzurra, restano indelebili il Napoli di Vinicio e quello di Sarri. Quelli sono nella storia anche senza vittoria (in proposito, rinvio al bell’articolo di Lorenzo Serra, Quando Sarri vinse lo scudetto a Napoli, in La Fionda del 4 Maggio, 2025, www.lafionda.org). E ciò vale a Napoli ancor più che altrove. Perché a noi è sempre piaciuto vincere senza negare come siamo fatti, senza rinunciare all’amore per la bellezza della vita
Questa cosa porta facilmente anche alla seconda ch’è da dire. Spalletti ha scritto, insieme a Giancarlo Dotto, la sua autobiografia. Fra i tanti temi toccati, ha raccontato anche la sua verità sul rapporto con ADL. Da quanto s’è letto dai resoconti della stampa, lo ha fatto senza infingimenti, ma con garbo. Gli scherani del Presidente si sono subito erti a sua difesa, sottolineando o la ingratitudine, o la inopportunità del momento. La prima accusa è falsa, giacché Luciano, nel riferire le ragioni del suo mancato permanere, lo ha comunque espressamente ringraziato. La seconda, invece, è proprio ridicola. Come se un editore, nello scegliere la data di uscita di un libro – scritto fra l’altro a quattro mani con un giornalista –, debba tener conto del momento (più o meno delicato) di svolgimento del campionato.
Molto più importante è ciò che ha riferito del suo rapporto con Napoli e la sua gente. Ecco, la vittoria conquistata dal suo Napoli s’è coniugata con la bellezza (non solo del gioco, ma anche) della condivisione dell’ethos, e cioè dei costumi, dei comportamenti e della maniera di vivere di Partenope. Per essere del sud non basta avervi ricevuto i natali. E si può esserlo anche esibendo un marcato accento toscano".
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