Da gioia e rivoluzione a lacrime e disperazione: l’involuzione filosofica di Sarri

C'era una volta il Comandante. L'idealista, anche dopo aver comprato il Rolex, che già andava a caccia di stipendi con cui arricchirsi dopo essere riuscito a svoltare. Ci sta, è comprensibile. Perchè poi ognuno della vita fa quel che gli pare, figuriamoci della carriera. Maurizio Sarri è stato per tre anni il simbolo di un'idea, di una battaglia, di un movimento. Ha guidato, da capopopolo, un assalto a quello che lui stesso aveva identificato come il Palazzo. Ed era stato più che chiaro, parlando di rigori assegnati con maggiore facilità a quelli con le maglie a strisce, di retropensieri sulla Juventus (che poi è andato ad allenare) e tutto quel che è storia.
Da gioia e rivoluzione a lacrime e disperazione
L'evoluzione del pensiero di Sarri ha però subito un interruzione. Perchè non si può pensare di identificare in certi club un potere occulto e poi, da avversario, accusare il Napoli di essere in qualche modo protetto da chissà quale tipo di forza sconosciuta. "O gli arbitri sono scarsi o il problema é più grosso” ha dichiarato il tecnico della Lazio dopo una gara che ha visto i suoi subire per lunghi tratti. Bisognerebbe avere un minimo di memoria storica sul proprio passato, sul proprio vissuto, su quello che dicevi con enorme convinzione in passato. Ma il calcio di oggi è così: vale tutto, tutto si dimentica. Pure la coerenza.
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