Da 0 a 10: le furiose discussioni su Meret, la faccia shock di Politano, il cambio sotto accusa di Conte e quella vecchia frase di Billing

Da 0 a 10: le furiose discussioni su Meret, la faccia shock di Politano, il cambio sotto accusa di Conte e quella vecchia frase di BillingTuttoNapoli.net
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di Arturo Minervini
Il Napoli pareggia con il Genoa: non bastano le reti di Raspaodi e Lukaku. Due assist per Scott McTominay, male la difesa

Zero all’istintività, che in questo momento suggerisce pensieri più oscuri di un pomeriggio trascorso con Voldemort. Un misto di delusione, arrabbiatura, speranza tradita si è accasciato sulla città come una farfalla dai piedi stanchi, ma le farfalle hanno ancora le ali ed il loro battito è il modo in cui rivendicano  la propria libertà. Il Napoli è ancora libero, di non dipendere da altrui destini, di orientare il proprio, di tornare a volare. Dire tutto ciò che pensiamo ora potrebbe essere un clamoroso autogol. Meglio ragionarci su (dormirci su è impossibile, perché sarà impossibile farlo). 

Uno il gol di Lukaku, che ha visto interrompersi una striscia magica: prima del Genoa, a ogni suo gol corrispondeva una vittoria. Di prepotenza, segna il suo gol numero 13, che si conferma numero dalle inquietanti sceneggiature: dall’ultima tavolata con quel Giuda, in poi, la storia racconta di disastri legati a quella cifra. Se la meritava Romelu, perché ci ha creduto fino alla fine, ha battagliato e incitato il Maradona per provare a lanciare il cuore oltre l’ostacolo. 

Due tiri in porta del Genoa. L’analisi del dopo gara è riduttiva, perché c’è un aspetto che ci ha fatto veramente incazzare per lunghi tratti della gara: vedere i ragazzi di Vieira arrivare sulle ‘seconde palle’ sempre prima degli azzurri. E, per una squadra in corsa per la storia, questo non lo si può accettare. Ci sono stati lunghi tratti di partita, in cui il Genoa sembrava aver più voglia di vincerla degli azzurri, convinti dopo il gol dell’1-0 di aver già conquistato la vetta della montagna, quando non si era manco arrivati a metà della salita.

Tre punti buttati, sappiamo tutti dove. Bisognerà sporcarsi le mani, vestirsi comodi, per andare ad analizzare i motivi di questo inatteso scivolone. Rovistare tra le pieghe di questo sentimento chiamato paura, proprio quando sei ad un passo dalla storia. Conte è il grande architetto, il prodigioso, il portatore di miracolo ed è giusto celebrarlo per quanto fatto. Da grandi poteri, però, derivano pure grandi responsabilità ed ora nemmeno a lui sarà più concesso sbagliare. 

Quattro partite senza prendere gol, mai preso gol di testa in campionato e che succede? Che prendi due gol nella stessa partita, su due colpi di testa. Chiaro che Atropo, la più vecchia e severa delle Moire, tessendo la tela del destino del Napoli abbia ecceduto nel senso del dramma, infilato le unghia nella pelle di un fato che ci ha condannato ad una sofferenza estrema, invincibile, insuperabile, eternamente rinnovata nel tempo e nello spazio. Prima che iniziasse questo campionato avevo 41 anni, oggi me ne sento almeno il doppio. Se avete lo stesso problema, potremmo organizzare dei gruppi d’ascolto. 

Cinque all’indolenza di Meret, che sul primo gol s’accartoccia come la plastica che entra a contatto con una fiamma: implode su se stesso e perde esplosività. Al netto della sfiga, vedi sopra, del rimpallo che lo condanna, restano perplessità sulla poca esplosività sulla zuccata di Anahor. La vita è così, non lo dimentica mai quando sei stato imperfetto, quando non hai dato il massimo, quando hai pensato che potesse bastare il minimo sforzo. Il conto arriva sempre, pure molto salato, una sensazione che Alex ha già vissuto molte volte. Spesso criticato senza cognizione, col Genoa effettivamente è stato un fattore che ha inciso in negativo. Se la fortuna aiuta gli audaci, ecco spiegata tanta sfortuna nella serata.

Sei punti da fare, per non dover affidarsi alle radioline che raccontano i risultati dagli altri campi. Sei punti per essere autonomi, totalmente indipendenti nella costruzione di un sentiero verso un nuovo Paradiso, il meno atteso, il più sofferto. L’indipendenza, però, non è mai gratis, ha un costo sempre molto elevato. Bisogna ritrovare quella famelica convinzione di poter stupire, di ‘dare fastidio’, senza lasciarsi schiacciare da un orizzonte che ti annuncia lo striscione del traguardo sempre più vicino. 

Sette giorni, probabilmente, per preparare Parma. Per arrivarci pronti, con lo sguardo di chi sa che è pronto ad abboffarti di mazzate, calcisticamente parlando. Per capirci, la stessa espressione che Goku faceva dopo aver passato un periodo nella stanza dello spirito e del tempo: era sicuro di demolire l’avversario. Una consapevolezza che sarà necessaria contro la squadra di Chivu, con tanti giovani prospetti, ma ancora acerbi e inespressi.  Quella pressione, che ha finito per consumare il Napoli contro il Genoa, che ora giocherà un ruolo chiave. Più della condizione fisica, sarà la sfacciataggine l’elemento cardine nella trasferta parmense. 

Otto-quattro, il minuto del gol preso. In quel momento in campo c’è un Politano con la faccia stremata di John Coffey che dice ‘Sono stanco capo’, un Lukaku abbandonato al suo insolito destino nell'azzurro del mare come la Melato ed un Billing messo in campo al posto di Raspadori con un unico e inequivocabile obiettivo: difendere. Una timidezza che si trasforma in beffa, un gigante messo in campo per gestire meglio i palloni alti che due anni fa sul tema dichiarava: “Preferisco evitare i colpi di testa, la salute viene prima”. E così ha fatto, mandando in confusione pure un correo Olivera. 

Nove a Raspadori, che segna un altro gol da bomber, il suo sesto in campionato dal 29 dicembre ad oggi. Destro o sinistro non fa differenza, quando Jack ha la possibilità di calciare verso la porta, senti sempre il giusto suono. Come quando un violinista accarezza le corde del suo strumento, così Giacomo riesce ad imprimere al pallone la giusta armonia. Stupefacente la capacità di assorbire le delusioni e le critiche, rigenerandosi ogni volta come se fosse la prima. Un eterno ritorno alle radici da calciatore, al puro istinto che riesce a zittire tutte le disquisizioni tattiche sulla collocazione del numero 81. “Vivere è come amare: la ragione vi è contro, ma ogni sano istinto a favore”. Esattamente come Raspa, che era a un passo dall’essere emarginato e, invece, si è ritrovato da fine dicembre ad essere uno dei leader tecnici della squadra. 

Dieci a McTominay, che si inerpica sulle montagne del Monte chiamato volontà e prova, a tratti predicando in solitudine, a trascinare la squadra alla vittoria. Vince un contrasto lì in mezzo, ma come? Salta un uomo e poi sventaglia con precisione certosina per sessanta metri, ma come? Serve due assist perfetti, ma come? Eppure un secondo prima s’era fatto cinquanta metri di rientro difensivo, dove la trova quella lucidità? Quella che gli consente di azionare Big Rom nello spazio, quella che lo fa danzare sul pallone e servire Raspadori per la stoccata della grande illusione. McTominay non solo è stato il miglior calciatore di questo campionato, ma occupa pure il 2° e il 3° posto di questa graduatoria. Tutto ciò che questo Napoli sogna di fare, ha potuto sognarlo grazie a Scott. 

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