Il diritto di guardare oltre questo virus bastardo

(di Arturo Minervini) - Indignazione, mista a sdegno. Sudice parole che si appicciano come fango dentro ad un momento già complesso da gestire. Perché siamo entrati nel vortice del voler distruggere tutto, sempre, a prescindere.
“Riapriamo”. No, stiamo a casa!
“Torniamo a scuola”. No, c’è la didattica online.
“Usciamo a passeggiare”. Non si può. Nulla sarà più come prima!
“Pensiamo a come riprendere il campionato”. Giammai! Non è importante.
Sta accadendo questo. Ci stiamo inciampando in questo pensiero totalizzante, che si incastra in un vicolo cieco e non vuole guardare oltre. Smette di pensare al domani. Finisce per credere che la normalità trafugata sia stata violata e non potrà più tornare. Massiccio lo schieramento mediatico che, opportunamente, ha indotto tutti a prendere con la giusta considerazione la pericolosità di questo virus bastardo. Al punto da portare a questa sindrome dell’oggi, che esclude al poi ogni senno.
Il calcio deve darsi una possibilità. Lo deve a se stesso, alla voglia di dare un senso a qualcosa che non lo ha più. Oltre le polemiche e gli interessi personali, l’industria del pallone prova a riattivarsi. E fa bene. Non perché non tenga in considerazione il rischio, ma perché cerca di trovare delle soluzioni per convivere con questo virus che ci accompagnerà ancora per diverso tempo (si spera il minore possibile). E allora perché negarsi la speranza? Perché non provare, avendo diversi dati e nuovi metodi per combatterlo, a valutare tutte le modalità possibili di ripresa. Non è egoismo, si chiama senso di sopravvivenza. E per sopravvivere la prima regola è adattarsi al mondo che cambia. Perché il calcio non dovrebbe fare quello che fanno tutti gli esseri in natura?
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