No Maurizio, questo ricordo resta nostro: Sarri, Kalidou ed il 22 aprile della Liberazione

22.04.2020 17:46 di  Arturo Minervini  Twitter:    vedi letture
No Maurizio, questo ricordo resta nostro: Sarri, Kalidou ed il 22 aprile della Liberazione
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

(di Arturo Minervini) - Gli uomini passano, le idee restano. Le idee esultano a braccia aperte. Svettano nella notte della presa di Torino. Disintegrano una Juve che avrebbe poi reagito ‘a modo suo’ la settimana successiva. Quella notte, però, no. Quella notte resterà nostra. Di chi l’ha vissuta, di chi l’ha attesa, di chi la coltivata nel petto come un desiderio esploso all’improvviso come una inattesa realtà. 

Quanti ricordi si confondono in un calendario che riporta all'attualità una notte di sogni. Hanno il potere di trainarti in un vortice emotivo che sopravvive al tempo che scorre. Una notte. Una notte per sempre diversa. La tensione, la paura, la speranza. Poi il sordo rumore della rete che si gonfia, la posa plastica di Kalidou che oscura tutto lo Stadium. Un gigante che impone la sua volontà, la pazza idea di Sarri (ancora con la divisa poi svestita di comandante) all'apice del suo godimento.

Il flusso di sangue che confluisce tutto verso il cuore, il trionfo edonistico di un pensiero che diventa realtà. È andata come andata. È andata come tutti sappiamo. Ma quella notte. Quel 22 aprile resterà come un seme piantato su un pianeta dove nascono fiori dai mille colori. Sono passati due anni, ma cambia poco. Perché in quel viaggio, in quell’attesa, in quella gioia un popolo intero aveva riversato tutta la sua energia. Aveva spinto quella squadra sin dalla partenza da Napoli, scaricato adrenalina pura fino allo Juventus Stadium.

Provate a raccoglierli i ricordi che si rintanano dentro ad un attimo. Provate a descriverli, cristallizzati in frammenti di vita da osservare dentro un tempo sospeso. Ne sono cambiate di cose da quella notte. Ne sono cambiate di opinioni, soprattutto da parte di chi guidava quella folle corse. Ma oggi non c’è rancore, non c’è odio. Ognuno farà i conti nel silenzio che chiederà il conto alla coscienza. Oggi si deve solo ricordare. Perché è giusto così. Perché è stato un momento fantastico. Perché è stato un momento condiviso. Una tentazione di eterno racchiusa in pochi secondi. La dichiarazione di guerra meno violenta della storia. Il grido liberatorio di chi da troppo tempo aveva elaborato il piano perfetto. Il 22 aprile è un giorno di liberazione. Di vera libertà. Di estremismi del cuore. È il giorno in cui il Napoli andò a palleggiare nel giardino della Vecchia Signora, che poche volte si era sentita così poco nobile. Così impotente.