Guido Clemente di San Luca a TN: "Valori dello sport e cattivi modelli"

Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo all'Università della Campania Luigi Vanvitelli, ha espresso per Tuttonapoli alcune considerazioni su Zlatan Ibrahimovic e Aurelio De Laurentiis.

28.05.2022 16:15 di  Redazione Tutto Napoli.net  Twitter:    vedi letture
Guido Clemente di San Luca a TN: "Valori dello sport e cattivi modelli"

Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo all'Università della Campania Luigi Vanvitelli, ha espresso per Tuttonapoli alcune considerazioni su Zlatan Ibrahimovic e Aurelio De Laurentiis.

Due vicende degli ultimi giorni suggeriscono una breve riflessione sui modelli che ci piace considerare immeritevoli di virtuosa emulazione. Chiunque mi conosce sa che ho fatto della tenacia e della grinta le cifre principali del mio operare, nello sport e in generale nella vita. Ho sempre considerato l’impegno ed il rigore quali coordinate imprescindibili del giusto e corretto comportamento. Sempre che, però, impegno e rigore fossero accompagnati da modestia e rispetto per l’altro. Con linguaggio sportivo, dal cd. ‘fair play’. Il che vuol dire cultura (non della vittoria, ma) della sconfitta. Un grande amico che manca assai (eccellente storico dell’arte e straordinario portiere della mia antica squadra amatoriale) usava dire: «Possiamo anche perdere. L’importante è non perdersi!».

Il video del discorso pronunciato nello spogliatoio da Zlatan Ibraimovich, dopo la vittoria dello scudetto, rappresenta l’opposto del modello virtuoso, perché l’autorevolezza del leader non si misura affatto da tracotanza e protervia. Mai bisogna confondere la personalità, il carattere forte e non imbelle, con l’autoritarietà del despota. Col modello proposto dalle scritte che campeggiano sui muri della sede della Juventus (a quanto si racconta, io non ci sono mai andato). Il modello che quelli con la mia stessa formazione hanno sempre ripudiato. Quel video rievoca il motto del deprecato ed infausto regime: «Credere, obbedire, combattere!». Quasi sembra risentirne l’eco.

Piuttosto che auspicare di avere una guida che ostenta modi rassomiglianti a quelli che in gioventù definivamo da ‘mazziere fascista’, io preferisco non vincere. Anzi, addirittura provo disgusto per chi si compiace di atteggiarsi a mezzo ‘nazistello’. Sono convinto che un siffatto modo di essere e di pensare (fascio o nazi che sia) sia pericoloso e da respingere fermamente, a prescindere dalle etichette di volta in volta assunte. Putin lo incarna, anche se dice di voler liberare dai nazi. E l’incarnano pure i combattenti del battaglione Azoff, anche se ora lo fanno per difendere la propria terra. Le modalità esibite da Ibra – mutatis mutandis, è ovvio – sono ugualmente riprovevoli. C’è leader e leader. E noi sappiamo bene che significa: ne abbiamo avuto un esempio straordinario, che alla classe sublime univa umanità, mitezza ed umiltà. La forza mai deve scambiarsi, né combinarsi, con l’arroganza.

A proposito di arroganza, sia pur con stile ed accenti diversi, non può non stigmatizzarsi la sconcertante performance del presidente del Napoli alla kermesse per i 130 anni del Mattino al Teatrino di Corte di Palazzo Reale. Uno spettacolo imbarazzante. Anzitutto, è biasimevole l’altezzoso sussiego – non si capisce fondato su che – con cui ha parlato del Presidente della FIGC, Gravina. Senza il minimo garbo istituzionale, dovuto e necessario, oltre che opportuno. E poi qualcuno si meraviglia che non riscuota la simpatia dei napoletani. La radicale ineleganza nell’atteggiamento e dell’eloquio richiama alla mente la categoria nella quale diffusamente – e (l’abbiamo scritto) impropriamente – si usa collocare il capitano partente.

A parte le forme, lo sconcerto deriva dalla conferma dei contenuti che continua a professare senza infingimenti. Privi come sono di ogni minima base di conoscenza sia sociologica sia istituzionale. Sport e passione popolare possono anche sopportare il mercimonio. Ma soltanto finché il compromesso non divenga del tutto inaccettabile. Ciò che sfugge ad AdL è che sono proprio le cose che dicono e fanno quelli come lui a far sì che «i ragazzi da 8 a 17-18 anni stanno abbandonando la visione del calcio», a far diventare la partita di calcio «una rottura di palle che non finisce mai».

No, non è in sintonia con la passione azzurra. Né, in generale – ed è più grave –, con la struttura antropologica del tifo. Basterebbe vedere cosa è accaduto a Roma per una coppa che è poco di più di quella ‘del nonno’. Noi terzi, ed in Champions League, in una clima da depressione. I giallorossi sesti, ed in EL, nel più delirante tripudio popolare. Come si fa a tenere gli occhi così chiusi? Men che meno è in linea con i fondamentali dello sport. Parla di rivisitazione delle regole mostrando di essere del tutto a digiuno dei più elementari principi giuridici che informano sia l’ordinamento statale, sia quello sportivo. Si nutre soltanto di una ispirazione biecamente mercantile, ponendo al centro del ragionamento in via esclusiva i suoi interessi da impresario.

Non v’è dubbio che «Bisogna svecchiare tutto a partire dai vertici». Ma nella direzione inversa a quella in cui vorrebbe andare lui. Tra Federazione e Lega, istituzione è la prima, non la seconda. In un sistema democratico (anche di democrazia pluralistica), il compito di dettare le regole del gioco non spetta ad organismi rappresentativi solo di alcuni (anche se importanti) pezzi della società civile. Compete alle istituzioni esponenziali della comunità intera.

Naturalmente non si vuole – né si potrebbe – negare la capacità del settore di produrre reddito e PIL. Ma le sue regole devono restare saldamente nelle mani delle relative istituzioni. Il mercato si fa dentro le regole dello sport. Non l’inverso. E, per definizione, dette regole sono chiamate a garantire la leale competizione. La capacità di generare profitto viene solo dopo: dentro quelle regole e senza snaturarne lo spirito. Quantunque si assista impotenti alla trasformazione globale dei mercati, fra Stato e mercato, le regole le detta lo Stato. È indubbio che si possa «fatturare tantissimo attraverso turismo e bellezza». Ma dello sfruttamento delle «bellezze di Napoli e della Campania» deve beneficiare il territorio nel suo insieme, non soltanto pochi impresari. Per non dire della violenza. Che AdL adopera solo in via strumentale, per promuovere lo stadio elitario che vorrebbe lui. L’esatto contrario di quello che ci vuole per risvegliare la passione che va assopendosi.

Ebbene, caro Presidente, solo chi è privo di capacità d’intelligere ed onestà intellettuale può non aver compreso ed apprezzato l’opera che ha svolto per la ricostituzione del calcio Napoli. Ma se oggi si vogliono conservare queste attitudini, non si può auspicare altro che passi la mano. Prima che sia troppo tardi. Prima che non venga definitivamente prosciugata la straordinaria passione popolare azzurra. Riprenda a fare solo cinema, così tornerà accanto ad «Angelina Jolie». E, se proprio volesse ancora cimentarsi con lo sport, riscopra il suo amore per il basket. Gli farà dimenticare gli orribili «sputi dei campi del Sud».