Da 0 a 10: la cazz*ata su Spalletti, la reazione di Insigne ai fischi, la frase ignorata di Osimhen e il crollo di Demme

Zero resistenza: per colmare certi divari, ci devi mettere altre cose nel pentolone della partita. E il Napoli, invece, non ci mette nulla di diverso, gioca a fare il Barcellona e finisce per farsi schiantare in primis dal suo piano partita, praticamente un suicidio assistito. Coi blaugrana si può perdere, ci perderanno in molti contro questi ragazzi scatenati, ma sciorinare lo stesso copione della gara di andata è più masochista di chi va in un negozio di musica e compra un disco di Francesco Facchinetti.
Uno l’episodio, che è un bivio a cui il Napoli sceglie subito la strada che porta al disastro. L’impreparazione mentale a giocare una gara così importante si manifesta tutta lì, in quello schema che diventa un grande papocchio. Ingiustificabile sufficienza nell’esecuzione di quel corner, che stende un tappeto rosso ai tori blaugrana. “Un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia”: tutti elementi assenti all’appello nella notte del Maradona.
Due gol segnati, slegati, disarmonici. È stato un Napoli frazionato, che mai ha dato l’impressione di avere un filo comune da seguire. Un Teseo che s’è perso il filo di Arianna, che vaga sperduto nel labirinto delle solite paure, dei propri limiti, delle mancanze che spuntano impietose. “È vero la vita è sempre un lungo, lungo ritorno”. In questo caso, un ritorno alle proprie fragilità. Evitiamo però di rifugiarci nella cazz*ata su Spalletti e dei crolli alle porte della primavera: il Napoli è ancora vivo.
Tre a chi ha raccontato di un Barcellona da buttare via, sgarrupato come le case di Io Speriamo che me la cavo. Opinioni che non sono opinioni, ma vere e proprie fake news. Orson Welles nel quarto potere dice ‘Che penserà la gente Mr. Kane ? Quello che dico io!’. Ora, però, lo spettatore ha generato grande senso critico ed in molti hanno compreso la ridicolaggine di chi voleva far passare i blaugrana come una squadra di scappati di casa.
Quattro pappine e potevano essere molte di più. E questo non può essere archiviato con la tautologica spiegazione ‘erano più forti’. Perchè ci sono tante gare in cui le squadre più forti non vincono, o almeno faticano a farlo. Nella cavalcata delle valchirie del primo contropiede, c’è tutta l’inconsistenza emotiva della serata: in quattro hanno la possibilità di spendere un fallo, ma alla fine si scansano. Bisogna fare il lavoro sporco per costruire i miracoli. I miracoli bisogna sudarseli.
Cinque assenti col Barcellona, un lusso che il Napoli ancora non può permettersi. La coppia Demme-Fabiàn è assortita male, perde ben presto i riferimenti, è un processo alchemico che rimane confinato nel mondo del misticismo scientifico. Non c’è fusione, non c’è un elemento finale dal valore pregiato, restano entità che non si integrano ma si respingono. Non c’è una colpa, hanno caratteristiche che non si sposano. Anzi, hanno finito proprio per respingersi.
Sei di incoraggiamento a Politano, che l’ultimo gol l’aveva segnato quando ancora si girava a maniche corte. Era il 21 ottobre, quello precedente risaliva all’11 settembre. Poco, troppo poco da uno con la sua qualità nel tiro. La mancanza dei gol degli esterni offensivi è stato uno dei punti oscuri della stagione azzurra, non ci resta che sperare in un finale che inverta la tendenza. Matteo ha così tante soluzioni per far gol, che ci sarebbe da stupirsi del contrario.
Sette a Victor, che mica si tira indietro. Che se ne frega dell’avversario più forte, che prova a spostare i valori con l’ardore. Predica solitario come un messaggero della fede nel trambusto di Times Square, ma la gente gli passa accanto dando poca importanza al suo messaggio. Sul cartello che Osimhen espone alto c’è scritto ‘Proviamoci, almeno’, ma nessun compagno aderisce alla sua religione. Un credo che resta abbandonato, un fiore che non ha trovato acqua da cui trarre la vita. In molti dovrebbero prendere esempio da questo sognatore, sicuramente confusionario, ma sempre pronto a battagliare. È legale giocare in uno contro undici?
Otto gol in stagione, settimo su rigore, per Insigne. Serata amara per il capitano, che recita la prima parte nell’orribile sequenza che porta al gol di Alba. Mugugni su quel corner, che l’esecuzione dal dischetto non cancellano. Continua a mancare il gol su azione, una chimera che si è trasformata in evidente ansia da prestazione. Un tarlo nella testa, a cui si aggiungono i robusti fischi al momento del cambio. Corretta la reazione di Lorenzo, che incassa e non mette ulteriore sale su una ferita aperta. Il peccato originale è altrove: folle pensare di poter gestire la pressione di questo lungo addio, sarebbe stato più logico salutarsi quando ci si è resi conto di non volersi più.
Nove alla gioventù, che ispira sempre gioia e genera una sorta di Sindrome di Stoccolma. Il Barcellona è aguzzino spietato di un Napoli alle corde, eppure verrebbe quasi da applaudire questi ragazzini che prendono in ostaggio la squadra di Spalletti senza accettare negoziati. Idee brillanti, esecuzioni a folle velocità, una tecnica che spesso vanifica ogni tentativo di intervento difensivo. Belli da fare male.
Dieci all’investimento sul futuro, chiamiamolo così. Non che sia stata una scelta, ma solo inevitabile conseguenze dell’ennesimo sorteggio sventurato. Da un crollo nascono nuovi spazi, le cadute rumorose sono un suono che può far vibrare corde dell’anima impolverate. Non c’è da restare troppo sdraiati sul ring, le ferite possono indicare una strada ancor migliore. La vita è una continua reazione alle cose che accadono, anche a quelle che sembrano porre dei limiti alle tue ambizioni. Le paure sono questo: limiti che attendono di essere superati. Con la Lazio, scopriremo a che punto è la crescita emotiva di questo Napoli.
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