Da 0 a 10: la frattura che spacca il tifo, la scena distruttiva di Lozano, il crollo emotivo di Insigne ed il pensiero orribile su Ancelotti

Da 0 a 10: la frattura che spacca il tifo, la scena distruttiva di Lozano, il crollo emotivo di Insigne ed il pensiero orribile su AncelottiTuttoNapoli.net
© foto di DANIELE MASCOLO/PHOTOVIEWS
domenica 24 novembre 2019, 13:57Copertina
di Arturo Minervini

(di Arturo Minervini) - Zero all’adrenalina. Alla passione, all’ardore, all’eccitazione. È un Napoli da vestaglia di pile e calzini bianchi, da azzerare ogni appetito sessuale. È una squadra piatta, sonnolenta, capace di azzerare la voglia anche di un detenuto appena rilasciato da un penitenziario guatemalteco. Una castrazione chimica dell’entusiasmo nel guardare una squadra sospesa tra volontà e azione. Fratturata, con una crepa che divide in due fazioni che sembrano ora così distanti. Difficile riconoscere volti che hanno le sembianze sbiadite di quello che erano, sbiadito prima di tutto nell’identità il Napoli non sa più cosa vuole essere. Ed è questa la notizia che preoccupa maggiormente.

Uno il punto rosicchiato all’Atalanta. Affidarsi a questo pensiero, per provare a trovare un lato positivo, racconta di fatto il disastro di questa prima parte di campionato. Un Napoli scagliato nel limbo degli ignavi, di coloro che vissero senza infamia e senza lode. Una gelida verità, un’improvvisa novità rispetto alle stagioni in cui hai sempre provato ad andare anche oltre i tuoi limiti. Fa così male guardarsi in uno stagno e non ritrovare la propria sagoma, solo un’ombra confusa dalle contraddizioni. 

Due abbracci ed un cinque alto per Lozano dopo il gol. In un momento irrazionale come l’esultanza, emergono tratti catatonici di un Napoli che non trova nemmeno la forza di liberarsi in un urlo. Nella vita tutti hanno bisogno di ‘uno scopo’. Se manca quello, manca tutto. Se non ti senti parte di un progetto, se non riesci a condividere gioie e dolori, dolori e gioie, finisci per risultare vuoto come uno spaventapasseri che mostra al mondo quello che non è. “Non esiste uomo tanto codardo che l'amore non renda coraggioso e trasformi in un eroe”. Allora ci chiediamo: dove è finito l’amore? 

Tre centimetri dal clamoroso autogol. Hysaj con il goffo intervento che per poco non buca Meret è la sintesi di una serie di scelte discutibili in costante aggiornamento. Lo è in primis la sua presenza in campo, dopo l’estate passata con la testa altrove e la valigia pronta. Nulla è casuale, tutto nasce dalla pessima gestione del caso Ghoulam ed avvia l’effetto domino che ora raccontiamo. Elseid, Colonna D’Ercole di tutte le manovre offensive che si sviluppano sulla sinistra, fa quel che può. Ma non è nemmeno colpa sua…

Quattro punti raccolti su quindici a disposizione nelle ultime cinque. La sindrome di Tafazi continua ad abbattersi in maniera ineluttabile sulle parti basse del Napoli, che martella incessantemente sui gioielli di famiglia. Livelli di masochismo che raggiungono picchi storici, che al confronto l’enigmista di ‘Saw’ era uno misericordioso. Il tracollo iniziato dopo il match di Salisburgo è inquietante e sospetto e racchiude tante patologie e mai una sola come qualcuno cerca di raccontare. “Perciò o noi risorgiamo adesso, come collettivo, o saremo annientati individualmente. È il calcio, ragazzi, è tutto qui. Allora, che cosa volete fare?”. Firmato Tony D’Amato in ‘Ogni maledetta domenica’, che in questa stagione sta diventando ogni maledetto sabato, ogni maledetto martedì, ogni maledetto mercoledì. Troppe maledizioni. 

Cinque dita piene, una carezza in un pugno. Cuadrado che ci lascia come Celentano: muti. Perché è giusto allargare lo sguardo sul mondo, andare oltre casa nostra per rilevare che nulla è cambiato. Che nella settimana della farsa, degli incontri con Rizzoli, la Juve espugna Bergamo con la solita macchia disumana. Ben oltre il ridicolo l’interpretazione che nega al Var la possibilità di sanare uno scandaloso errore, che quasi non fa più notizia. E quando la vergogna non fa più notizia, un paese è seriamente a rischio dittatura. Calcistica, ovviamente. 

Sei gare senza il sapore della vittoria. Sei come un testo meraviglioso dei Negramaro che fa da sottofondo al momento: “Ho ancora altre facce da indossare, tu chi sei? Non mi assomigli, tra quelle che ho cucito. E non ricordo più chi sei”. Si muove dentro una pelle sconosciuta questo Napoli, che negli occhi di chi lo guarda non è più lo stesso. C’è la noia, crisi del settimo anno che piomba su rapporti che durano dall’estate del 2013 e che ora sono una fiamma che si sta spegnendo. Che si è già spenta. E fa tanto freddo.

Sette il numero di Josè. Icona che per anni ha simboleggiato il sacrificio, la risolutezza, la praticità e che adesso racchiude nello sguardo spento tutti i sindromi del male che ha colpito il Napoli. Cavaliere esausto ed esautorato, fedele portavoce di una pazza idea che ha finito per consumare chi ha provato a diffonderla. Non c’è più logica nel raggio d’azione che prima era preciso come se accompagnato da un goniometro, solo una stanchezza seminata nella testa prima che nelle gambe. Quella faccia ha le sembianze dei titoli di coda di un film romantico, che ti lascia una patina davanti agli occhi. Lacrime.

Otto secondi per valutare, prendere la mira e scuotere come un defibrillatore il cuore del Napoli. Insigne è solo in quei passi svelti verso Donnarumma, una solitudine che ancora una volta non lo esalta. Una solitudine che bisogna saper sostenere. Una solitudine che necessità di attributi. Perché quando tutto il mondo resta fuori dall’inquadratura e sei Tu, solo Tu, il protagonista a caccia di gloria, allora devi saper dire le cose giuste. Raccontare le storie giuste. Insigne, invece, si incarta. Si impappina. Balbetta. Una scena vista già tante volte, troppe volte, per non lasciarsi vincere dal pensiero che non sarà mai attore in corsa per l’Oscar. I fuoriclasse li vedi nella costanza. 

Nove come la prima punta, quel Lozano che Ancelotti ancora una volta schiera quasi solitario in avanti. Hirving lotta, segna anche un gol di rapina, cerca la giocata, punta l’uomo e mette cross interessanti al centro. Ecco, schiacciare pausa: riflessione. Lozano che fa i cross, ma per chi? Per Lozano stesso? La fragilità del piano gara di Ancelotti si palesa dinanzi a questa banale considerazione, frammenti di partita che restano conficcati nella testa come paletti del dubbio disarcionati dal vento. Il tasso di dedizione alla causa del Chucky rispetto a molti compagni è troppo differente per non rendersene conto. Anche questo dovrebbe spingere a diverse riflessioni.

Dieci alla cruda verità. Che può anche stenderti, come un cazzotto in pieno viso. È un Napoli ‘Lost in translation', come Bill Murray che fissa il soffitto di una camera d’albergo ripensando al glorioso passato. Ancelotti è in questo momento fisso con lo sguardo su quel soffitto, incatenato da un nome che pesa come macigno e da un orgoglio che lo imprigiona in certe scelte. Una cocciutaggine che è ora masochismo, per una squadra che avrebbe bisogno di semplicità e che viene invece ancora una volta costretta a trasformazioni da laboratorio in stile Frankenstein Junior. Carletto potrebbe proferire quasi queste parole: “Che lavoro schifoso. Potrebbe essere peggio. E come? Potrebbe piovere”. Il problema è che qui non piove. Qui DILUVIA. E forse è troppo tardi per aprire l’ombrello…