Da 0 a 10: la mossa shock di ADL, il futuro svelato di Conte, la Mutanda di Lukaku e i figli napoletani di McTominay

Da 0 a 10: la mossa shock di ADL, il futuro svelato di Conte, la Mutanda di Lukaku e i figli napoletani di McTominay
Oggi alle 09:03In primo piano
di Arturo Minervini
Il Napoli è campione d'Italia per la quarta volta: McTominay decisivo, MVP del campionato. Che gol Lukaku, miracolo Conte e De Laurentiis

Dieci a McTominay, a questa fusione culturale tra due culture così lontane, che ci è messo di mezzo Cupido con la freccia ed è stato subito amore. Lo scozzese che non solo decide la gara scudetto, ma si permette il lusso di farlo in rovesciata! Scott non voleva soltanto soffiare lo scudetto all’Inter, voleva avere il potere di mandarli dal gastroenterologo. Scott, ci aveva già convinti al ‘Ciao’ come Tom Cruise in Jerry Maguire, perché l’eccezionalità non passa mai inosservata, si impone al primo sguardo. Ha segnato 12 gol, corso più di tutti, senza mai scomporsi per davvero. Ha avviato una corrente culturale, il ‘McFratismo’, che è roba buona per i fast food ma pure per i monasteri, a dimostrazione di una duttilità che è stata il punto di forza. ‘Pound per Pound’, uno dei migliori acquisti della storia del Napoli e, palesemente, l’MVP di tutto il campionato. Capello biondo angelo, occhi azzurro mare, glacialità che nella nostra lingua sarebbe poi la cazzimma. Prossimamente in tutti gli Ospedali di Napoli i vari ‘Scott Esposito’, ‘Scott Scognamiglio’ e ‘Scott Cacace’.

Dieci al prodigio di Conte. Letteralmente: “Fenomeno che esorbita, o sembra esorbitare, dall'ordine naturale delle cose”. Leggi questa definizione e pensi al lavoro del mister, il Demiurgo arrivato a ricomporre i pezzi di un puzzle che era stato messo in una busta e shakerato come un panettone quando vuoi cospargerlo di zucchero a velo. Non ci si capiva una mazza. Poi, arriva Antonio, e si mette a lavorare come un dannato, cura ferite, comprende che bisogna partire dalla difesa, poi pensare al resto. Blinda un Napoli che si fa più ermetico di Ungaretti: "La meta è partire” grida dal ponte di comando, la sua squadra è una ricerca continua, un processo di trasformazione basato sul sacrificio. Infortuni, cessioni, mugugni di una piazza che aveva fatto la bocca buona: ha assorbito ogni colpo come gomma espansa, riassumendo sempre la propria forma. Regala a Napoli un sogno e “Un uomo senza sogni, senza utopie, senza ideali, sarebbe un mostruoso animale, un cinghiale laureato in matematica pura”. Antonio è, invece, un sognatore e l’uomo dei sogni di un intero popolo al tempo stesso. Il suo futuro? La verità è che è tutto ancora da scrivere. 

Dieci al miglior presidente del calcio italiano, il dirigente più sconvolgente e visionario della Serie A. De Laurentiis lo si può amare e odiare, anche nella stessa proporzione, ma sarebbe disonesto non riconoscerne i meriti strepitosi. Due scudetti in tre anni al Napoli, totalmente impensabile, pure quando c’è stato qui D10S. Aurelio col miracolo del terzo Scudetto, Aurelio col martello di Thor a sfasciare tutto, Aurelio col fagiolo di Balzar a restituire forza ad un progetto dopo un 10° posto e trovare subito il 4°. Ha preso il migliore sulla piazza, con una mossa che per qualcuno era shock per i 6 milioni di stipendio, ha speso 150 milioni pur senza vendere Osimhen, ha dovuto fare i conti con le minacce di Kvara sull’articolo 17 ma, soprattutto, ha saputo FARSI DA PARTE. Ha rimesso le cose al loro posto ed è riuscito a miscelare tutti gli elementi. “Sta ggente mista. Esalta gesta, pasta, casta e dinastia. Filosofia e poesia, basta n’idea. E Napule distrugge e crea”. Come Aurelio.

Dieci a quel magma colorato d’azzurro che si è riversato, ammaliato da un richiamo atavico, verso il centro del mondo. Come Ulisse, rapito dal canto delle Sirene, così Parthenope ha chiamato a raccolta il suo popolo, la sua gente, quella forza motrice che smuove anche le montagne. Da ogni parte sbucavano maglie, sciarpe fumogeni, bandiere e pure volti colorati col colore più amato. Napoli ha atteso, silente ma non certo doma, questo traguardo, ha sospinto la squadra con una maturità sorprendente e poi è esplosa, dirompente, come solo lei sa fare. Come solo lei sa essere. Come solo lei sa amare. Come solo lei, sa farsi amare. Fare l’amore con la propria Terra è la sublimazione di ogni forma d’amore.

Dieci a Lukaku, che si è travestito talvolta da John Coffey, e si è preso i dolori degli altri. Romelu trascina via l’intera Sardegna, quando decide che era il momento di chiudere i giochi, e fa una Mutanda (il tunnel nel gergo di strada) all’odioso Mina poco prima che entri in campo Mutandwa: puro metaverso. Lukaku è Tim Robbins, che col suo cucchiaino ha scavato il tunnel verso la libertà. A dispetto della stazza, non ha usato la foga, ma la sagacia. Ha saputo inserirsi negli spazi vuoti, ha colmato quelle mancanze del reparto, lottando anche contro il tempo che ha corroso lo scatto bruciante dei giorni migliori. Ha totalmente azzerato il senso estetico del centravanti, quello che avevamo coltivato invece come il Nettare degli dei, passando da Quagliarella a Cavani, da Cavani a Higuain, da Higuain a Mertens. Non aveva certo la famelica voglia di Osimhen, ma ha riversato su questa squadra una colata di senso pratico. I gol 14, quasi sempre decisivi, gli assist 10: alla fine, ha avuto ragione lui. 

Dieci anni. Sono passati dieci anni, almeno sei da Napoli-Genoa. Nel grande frullatore del tempo, ricordo vagamente di aver mangiato panettone quando ero giovane ed essermi ritrovato settantenne a fare Pasquetta con Casatiello e pastiera. Nel mezzo un gigantesco canyon di indicibili sofferenze, macchine parcheggiate in posti poi dimenticati, rapporti sociali azzerati al livello di Rami Malek in Mr. Robot. Questa settimana mi ha insegnato una cosa: La prossima volta che qualcuno mi dirà: l’attesa del piacere è essa stessa piacere, gli darò direttamente una ‘capata’ in bocca.

Dieci all’uomo invisibile, al fattore doppia ERRE. Rrahmani, quasi campione, quasi idolo, quasi intoccabile, sempre quel maledetto quasi davanti. Come se non fosse mai abbastanza, quando invece sei eccezionale. Succede spesso a chi sceglie un basso profilo, di finire ai margini del racconto, quando avresti tutte le caratteristiche del protagonista. Ha giocato 38 partite su 38, ha sbagliato solo a Como. Ha cambiato partner più di Belen Rodriguez dei tempi d’oro, ma ha sempre tenuto in piedi la baracca con un’intelligenza calcistica da studiare. Lì, dove non arriva il fisico, può il cervello. Uno scienziato dell’Arte della Guerra, il frutto di un testo di Sun Tzu che spiega ai compagni “La difesa migliore è quella che non fa capire dove attaccare”. Blindatelo, per favore.

Dieci a Politano, che ha messo da parte tutto ciò che era stato, per essere ciò di cui il Napoli aveva bisogno. Un sacrificio estremo, quello di se stessi, della propria vocazione, un processo quasi contro natura, un salto all’indietro per prendere la rincorsa verso una nuova versione di sè. Si è reincarnato nel corpo e nello spirito di un gregario che scala le montagne per i compagni, che si prende il vento e la pioggia in faccia per favorire chi sta dietro, assistere senza invadere, coprire senza mai risparmiarsi. Matteo si è fatto onda, che attacca la spiaggia e poi si ritrae, conforta la fase difensiva e rende tante piccole gocce un grande Oceano. “Perché un pretesto per tornare bisogna sempre seminarselo dietro, quando si parte.” 

Dieci all’uomo in missione per conto di San Gennaro. Non è un Blues Brothers, ma dal minuto 79 di Napoli-Venezia del 29 dicembre, Raspadori ha avuto l’effetto dell'acido ialuronico sui tessuti dell’attacco azzurro. Tanti gol pesanti, una valigia disfatta in fretta, l’eredità raccolta (nei numeri) di Kvara. Col destro e col sinistro e soprattutto con l’arma più letale: un sorriso per trovarli, un sorriso per ghermirli e nel buio incatenarli.  Il vero successo di Jack è stato quello di crederci, anche quando non c’era più nessun elemento per farlo. Ha atteso il destino sulla panchina, come Forrest Gump, fino a che gli è capitato il cioccolatino più dolce.

Dieci a Meret, che ti ricordi qualche errore e gli fai un grande torto quando ometti tutto il resto. Ne aveva già vinto uno, in un Napoli dominante, ora alza il secondo tricolore con la miglior difesa del campionato e diverse partite che hanno i suoi guantoni a custodia della vittoria. Alex è come le origini del mondo: se ne discuterà sempre, ma non per questo ci sarà una teoria che possa avere più valore delle altre. I fatti, però, sfuggono dalla sfera dell’opinabile, in alcuni casi si impongono, come una verità che devono digerire anche i suoi odiatori più accaniti. Senza un portiere forte, non li vinci mai due Scudetti in tre anni. Mai. È il portiere più vincente della storia azzurra. 

Dieci al capitano Bis, anche questa una primizia assoluta dal 1 agosto 1926, ad oggi. Pioveva, come quel giorno, pure nella mattina in cui Di Lorenzo si è ritrovato nuovamente a fare i conti con quell’attesa lì. Lui, con un Master Universitario nel Rito pagano dell'Attesa, lui che ha saputo aspettare il momento giusto pure nella vita, senza mai lasciarsi travolgere dal vortice che l’aveva portato a ritrovarsi calciatore-disoccupato, prima di intraprendere un viaggio che ha dell’incredibile. E le cose belle sono arrivate, eccome, con Giovanni sempre lì sulla sua fascia, a proporre idee, a dare respiro, a tamponare eventuali emorragie. Mentre alzava il trofeo dello Scudetto, mi è venuto in mente il monologo finale di The Big Kahuna: “Non perdere tempo con l’invidia: a volte sei in testa, a volte resti indietro. La corsa è lunga e, alla fine, è solo con te stesso”. E quella corsa Di Lorenzo l’ha vinta, la vince ogni giorno quando sceglie di lavorare sodo.

Dieci a Frank, l’intramontabile Frank, sempre sulla sua strada come Sinatra. Quante anime convincono nel calciatore Anguissa, sempre pronto a sporcarsi le mani, senza mai guastare la sua eleganza. Conte gli ha chiesto più gol e lui ha obbedito. Conte gli ha chiesto di tornare dominante e lui ha obbedito. Il secondo tempo con la Juve al Maradona resterà una delle prestazioni individuali più entusiasmanti della stagione. È  a tratti sconvolgente la  sua capacità di dominare in punta di piedi, una ballerina di danza classica con il corpo di un lottatore di Muay Thai. Non è mica un caso aver vinto due scudetti avendolo dalla propria parte: spostare gli equilibri è un concetto che gli appartiene. 

Dieci a quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così, di noi che abbiamo visto Napoli. Tra i momenti più adrenalinici della stagione, le visioni pallonare di David Neres, che fino a prima dei problemi fisici stava dominando il campionato, senza mai cambiare espressione. Colpi di tacco, sterzate, cross col contagocce ed una capacità in via d’estinzione: creare la superiorità numerica, ma soprattutto creare quel brivido lì, quella finta che ti squaglia il sangue nelle vene. Potrebbe giocare in pigiama, ma ha la capacità di farci ballare più di un remix di Gigi D’Agostino: O’ fatt e Neres Neres e ci piace assai. 

Dieci al Ferroviere, che quando ci sta lui tutti i treni arrivano in orario. Che precisione Lobotka, la capacità robotica di non sbagliare mai una scelta, selezionando sempre l’opzione migliore per la squadra. Regista illuminato alla Bertolucci, apre scenari e orizzonti con la velocità di pensiero del giocatore di scacchi sotto pressione. Stan elabora un milione di dati in una frazione di secondi e trova sempre il modo di uscire dalle situazioni di pericolo. Con la cura delle madri, che sanno sempre dove mettere le mani. Con la faccia da culo dei padri, che trovano sempre una scusa per evitare che la moglie cambi la serratura. L’essere perfetto. 

Dieci allo strapotere di Buongiorno e alla sorprendente controfigura. Alessandro: MAMMA MIA. Ha sbagliato poco o nulla, ha dominato in lungo e in largo, prima di fare i conti con questi guai muscolari che hanno chiamato in causa l’Underdog: Juan Jesus. Ma che campionato ha fatto JJ? Perfetto, praticamente sempre perfetto. Sepolto da una valanga di insulti, nella maledetta annata post scudetto, il brasiliano ha colto l’attimo che al confronto Robin Williams era un ritardatario. La fusione tra i due, come Goku e Vegeta, ha dato vita a BUONGIOVANNI: il centrale di sinistra praticamente inespugnabile. Due is meglio che One. JJ merita un anno di rinnovo e Buongiorno resta uno dei pilastri su cui costruire.

Dieci a quei mancini che si sono adattati a fare qualsiasi cosa, pure gli idraulici all’occorrenza. Leo che si è ritrovato a fare Kvara, Mathias a indossare i panni di Buongiorno omaggiando l’intuizione del Loco Bielsa. Nel viaggio tricolore, la loro costanza e la disponibilità a tappare le perdite come i fratelli Mario e Luigi Bros. Spinazzola era arrivato con tutta la diffidenza del mondo e s’è ritrovato ad essere fondamentale, con i suoi sprint e i traversoni morbidi. Olivera con la garra e la forza dell’anticipo, da esterno ha giocato la sua migliore stagione e si è ritrovato pure a fare il centrale per portare la nave in porto. La sinistra che torna a pensare al Popolo l’avevamo in casa Napoli.

Dieci a chi ha messo gli altri pezzettini. So che non siete pronti ad affrontare questa cosa: ma il gol più pesante in questo scudetto l’ha segnato Billing contro l’Inter. Un gol che ha tolto 2 punti ai nerazzurri e ne ha dato 1 al Napoli. E l’altro scozzese Gilmour, compatto e sempre più inserito nel contesto dopo un avvio a rilento. E poi c’è Pako Mazzocchi, nel suo paese dei Balocchi, confrontandosi con una felicità che rischia di seppellirlo per quanto è tifoso. E il Cholito, che ha rischiato di rimetterci la testa andando in contrasto stile foca contro la Juve. E Ngonge e Rafa Marin, così poco in campo ma sempre a sputare sangue in allenamento. Avrò dimentica qualcuno, ma è notte fonda.

Dieci alla vita da mediano, che poi s’è fatto mediatore culturale ed emozionale. Ciò che non vedi, spesso, è il segreto delle cose che funzionano. Nell’ombra, Lele Oriali ha domato i capricci, coccolato le virtù, addomesticato i cuori a volergli bene, che è impossibile fare altrimenti. Perché l’Esempio è la più grande lezione che si possa ricevere. Le parole giuste, le carezze giuste, l’ascolto sempre disponibile e la funzione di dosare entusiasmo e razionalità nelle vele della squadra. “Io ci sarò ad alzare il vento, pensaci bene e poi fai posto al sentimento”. 

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