Da 0 a 10: lo scandaloso inganno dei media, la telefonata di Rrahmani a Ibra, il mostro che terrorizza Spalletti e le parabole di Jesus

 Da 0 a 10: lo scandaloso inganno dei media, la telefonata di Rrahmani a Ibra, il mostro che terrorizza Spalletti e le parabole di Jesus
lunedì 20 dicembre 2021, 15:33Zoom
di Arturo Minervini
Il Napoli batte il Milan a San Siro: decide Elmas. Prova di forza di tutti gli azzurri, promossi anche Lobotka e Petagna

Zero “alle verità cercate per terra, da maiali, tenetevi le ghiande, lasciatemi le ali”. Hanno il naso lungo come il Cyrano, che si allunga ancor di più alla prossima bugia in stile Pinocchio. Giroud prova a smontare Juan Jesus manco fosse un omino dei Lego, ma sulle prime pagine di qualche quotidiano (e per qualche magnetico opinionista) tutto svanisce, si dissolve. Troppo indaffarati a trovare l’errore, o la scusante anche quando la verità si impone più del dubbio. Su un fuorigioco che è attivo, perché Giroud disturba in maniera inequivocabile la giocata del brasiliano. 

Uno l’episodio scomposto, come una ricetta tradizionale che viene rovinata da qualche improvvisato chef. La disastrata situazione del giornalismo italiano viene fotografata dal mutismo selettivo di molti (troppi) quotidiani sul fallo di Giroud a Juan Jesus. Negazionismo allo stato puro per vendere una bugia, per accalappiare qualche tifoso che cede alla tentazione di ogni spettatore di magia, ovvero: essere ingannato. Tolto il velo, non rimane che una grande bugia. E le bugie tengono la cazzimma: ti chiedono il conto quando meno te l’aspetti. 

Due occasioni per far male sciupate, ma come fai ad incazzarti con Petagna? Non c’è pallone che non contesti alla difesa del Milan, non c’è contatto a cui si sottragga, un sacrificio del corpo per la causa. Si immola sul grande piano spallettiano, usa chili e centimetri rinunciando al libero arbitrio: è il destino della collettività che mette al primo posto. Ogni scelta è un contributo alla causa, estremista del sacrificio il Petagnone. E non puoi che dirgli bravo. 

Tre punti che sono come la cucina molecolare: hanno un sapore diverso dal loro aspetto. È come pensare di mordere una oscena pizza romana e ritrovarsi in bocca il nettare degli dei: LA PIZZA (il resto solo imitazioni mal riuscite). La vittoria di San Siro non è solo roba di matematica, di una classifica che torna a sorridere. Va oltre, trascende il concetto arido del numero. Si fa godimento, sublimazione del piacere. È la vita che si fa lezione, la difficoltà che diventa compagna. Nel sacco di Babbo Natale ci mettiamo tutti questi insegnamenti. 

Quattro ruote motrici: il marchio di fabbrica. Zielinski è un cubo di Rubik che Spalletti ha risolto, con le facce ben definite e tutte uguali. È dappertutto Piotr, un’ubiquità che diventa ingombrante, un fattore determinante nella cucitura delle due fasi. È una Penelope ravveduta, che non sperpera di notte il lavoro che fa di giorno. La sua tela è una ragnatela che finisce per ghermire i dirimpettai rossoneri. Il controllo, con la potenza con le gomme invernali nel gelo di San Siro. 

Cinque titolari fuori ma il Napoli se ne frega come il calabrone. Osserva una realtà che può sembrare scadente e la rielabora, ne immagina una migliore con un risultato diverso. Ma qui non è fantasia, non è evasione, non c’è abbandono: questa squadra decide di restare. Si salda ai suoi principi, all’essenza, al desiderio di sentirsi nuovamente tra i più bravi della classe. È un trattato di volontà il blitz milanese è un omaggio alla filosofia di Julio Velasco: “L’alibi distrugge l’armonia e impedisce di progredire”. Ecco, nel processo evolutivo di questo gruppo San Siro sarà una tappa fondamentale.

Sei e mezzo che vorrebbe essere un sette. Lobotka entra ad esecuzione in corso e cambia lo spartito, si impossessa della bacchetta come Harry Potter e imprime il suo ritmo a tutti quelli sul terreno di gioco. Tiene il pallone, quanto basta. Sterza, quanto basta. Usa la diligenza del buon padre di famiglia, non mette mai in pericolo la compagnia perché non ne fa una questione personale. Snocciola la parte che gli assegnano con disinvoltura, esibisce le sue piroette come Tania Cagnotto dal trampolino senza mai accusare la vertigine. È rinato Stan. Non è lo Stan che avevamo visto prima. 

Sette all’invisibile Juan Jesus. Che era arrivato e sembrava quasi un peso. Che si era piazzato in fondo alla panchina, senza nemmeno una luce puntata addosso. Ha atteso, lavorato, studiato alla corte di Luciano suo vecchio maestro ed ha risposto come Aiello Raffaele in ‘Io Speriamo che me la cavo’: “Sono Juan Jesus, e mettetemi presente”. E Juan c’è, mica bigia (come dicono a Milano). Si presenta a scuola con una cartella vuota, perché vuole infilarci ancora tante cose. È curioso, non si è arreso al piacere della scoperta. Legge bene tutte le situazioni e tocca vette altissime quando intercetta le parabole insidiose dalla fascia di Messias. In nome di Jesus.

Otto al Precious little Diamond, grido di meraviglia nella notte meneghina. L’inconscio è un ballerino macedone, che si muove sulle note di una partita di pallone come non avesse fatto nient’altro nell’eternità già consumata. Elmas non deve imparare a calcio, è un procedimento della  maieutica da applicare al pallone. Il ragazzo ha già le risposte, come lo schiavo di Socrate, bisogna solo tirarle fuori. Già sa, è edotto in materia a dispetto della giovinezza che è solo arma ulteriore da usare a proprio vantaggio. Decisivo per il passaggio del turno in Europa League, si porta a casa un souvenir niente male: la zuccata che manda il diavolo al tappeto

Nove alla notte della consacrazione di Rrahmani. Del tipo: “Mamma, stasera esco e vado a San Siro e non faccio toccar palla ad Ibrahimovic”. Perché è così che andata. Perchè è così che Amir ha voluto che andasse. Sempre in anticipo, senza mai concedere nemmeno un centimetro a Zlatan. Difendendo quel centimetro come fosse la cosa più preziosa presente sul pianeta. Vorace, al punto da divorare tutto quello che passa dalle sue parti. “Poscia, più che 'l dolor poté 'l digiuno”: atto di cannibalismo calcistico. In un sol boccone. 

Dieci alla spedizione azzurra. Spalletti torna in panchina e il Napoli ritrova la strada, osserva la sua bussola del desiderio e trova una risposta univoca: la lotta. E quando a vincere è la squadra, quando fatichi a trovare un migliore, quando un migliore non c’è, allora capisci che l’allenatore ha fatto un lavoro eccezionale. Ha elevato l’ambizione, l’attaccamento, la dedizione. L’esempio di  Malcuit vale più di tutti gli altri: dopo la notte di San Siro non dovrà più essere considerato un azzardo. Eccolo il miracolo di Luciano: restituire a tutti il proprio ruolo. Una fierezza che diventa ancora nei momenti di tempesta. Jack Sparrow è tornato al comando: “Andiamo, salpiamo, muovetevi! Come si fa lo sapete!”. All’orizzonte ‘Il mostro della Coppa d’Africa’ che spaventa il capitano. Fate scelte sagge.