Da 0 a 10: la 'caccia' ad Insigne di Gattuso, l'acquisto annunciato, il gesto del ribelle e il piano mefistofelico di Fabiàn

Il Napoli torna a vincere: in gol Allan, poi l'autorete che fa esplodere Gattuso che abbraccia Insigne. Ora il calciomercato: parola a De Laurentiis
23.12.2019 12:47 di Arturo Minervini Twitter:    vedi letture
Da 0 a 10: la 'caccia' ad Insigne di Gattuso, l'acquisto annunciato, il gesto del ribelle e il piano mefistofelico di Fabiàn
© foto di Matteo Gribaudi/Image Sport

(di Arturo Minervini) - Zero a questo schifo, perchè di questo si tratta. Inaccettabile il trattamento arbitrale riservato al Napoli in questa stagione. Hysaj affossato in area ed un Var che non si esprime, silenzio colpevole e dolose che traccia un’inquietante linea di continuità con gli orrori già subiti contro Cagliari, Atalanta, Torino, Genoa, Bologna. La lista della vergogna di una classe arbitrale che da Firenze in poi ha martoriata una squadra già martoriata dai suoi problemi. Inaccettabile. Onestamente inaccettabile.

Uno come un primo tempo che vogliamo dimenticare in fretta, come quegli incubi notturni che ti restano negli occhi per qualche minuti anche dopo il brusco risveglio. Ricorda la tristezza di un volto dipinto da El Greco la squadra che arranca nella prima frazione, forse dovremmo ricercare qualche insegnamento da un Napoli così brutto, ma difficile pensare di trovare semi che possano portare frutti in una squadra troppo brutta per crederci. Mistero buffo del pallone, punto più basso che può essere però vissuto come un momento che può finalmente invertire la tendenza. Peggio non si poteva fare, ora cambiamo passo. 

Due uomini che si cercano. Due uomini che passeggiano su un filo molto sottile. Equilibristi alle prese con emozioni divergenti, Insigne e Gattuso si abbracciano al fischio finale. Uno scontro quasi rabbioso, di due cuori nella tormenta, Cime Tempestose che sembrano uscite dalla penna di Emily Brontë. Fili che cercano di ricomporsi, ritrovarsi, per stringere un legame che è l’unica strada da imbeccare per uscire dalla burrasca e ritagliarsi un futuro di maggiore stabilità.

Tre punti che vanno scomposti come uno di quei piatti che tanto vanno di moda nella cucina gourmet. Ci sono troppi sapori in questa vittoria, che trascendono il mero accumulo statistico. C’è una primordiale necessità di tornare a sentirsi capaci di raggiungere uno scopo che ci si era prefissati. Si riattivano muscoli che sembrano sopiti, ad esempio quei 12 che attiviamo ogni volta che sorridiamo. Finalmente il personal trainer del buon umore che torna a fare il suo lavoro. Ne avevamo bisogno. Di un sorriso. E di questi sudatissimi tre punti.

Quattro in pagella ed ancora meno per il messaggio di instabilità che lancia nel gesto dopo il cambio. Servirebbe uno speleologo di grande esperienza per addentarsi nelle caverne emotive di Fabiàn, Il Giovane Favoloso alle prese con una crisi esistenziale degna di un Leopardi nella sua giornata peggiore. “Io non ho bisogno di stima, di gloria o di altre cose simili. Io ho bisogno di amore, di entusiasmo, di fuoco, di vita” sembra dire, mentre ciondola a testa bassa su e giù per il campo ad un ritmo irritante. Perso nel sogno di una grande bellezza sfiorata e poi svanita, nelle aspettative edonistiche di un talento che pareva passe-partout per aprire ogni porta desiderata pare voler mettere in atto un piano quasi mefistofelico. Uno Jep Gambardella che non vuole solo partecipare alle partite. Voleva avere il potere di farle fallire.

Cinque gennaio torna il campionato, con il Napoli impegnato nel posticipo del sei. Il tempo è il più grande nemico, perché c’è da intervenire immediatamente, senza sprecare nemmeno un secondo. Un regista ed un esterno priorità da assolvere in fretta, perché la zona Champions resta a distanza di un miraggio ed ogni punto diventa l’ultimo sorso d’acqua per alimentare questa rincorsa. Tutto il mondo sa che al Napoli serve un certo tipo di giocatore, c’è il rischio di farsi prendere per il collo, ma è un prezzo da pagare per errori commessi in estate. La regola è ferrea: “fallisci presto e impara in fretta”. Perché se il passato non ti insegna nulla ci sono due opzioni: o sei troppo buono, o troppo stupido.

Sei vittorie in diciassette gare, con l’ultima che risaliva al 19 ottobre. Quante cose sono cambiate da allora: la Gran Bretagna era ancora indecisa sulla Brexit, si andava in giro in maniche di camicia, Giorgia Meloni ancora non si era reso conto di essere ‘una donna, una madre, un’italiana’ e Vittorio Feltri ancora non sparava ca**ate… Ah no, quello era già così, da diverso tempo. In questo infinito periodo il mondo ha subito cambiamenti radicali e sopportarli senza nemmeno una vittoria del Napoli è stata davvero dura. Durissima. 

Sette ad Elmas. Perché sbuca dal cilindro della storia come un coniglio e cristallizza un momento tutto suoi e francamente se ne infischia se si tabelloni ufficiali ci sarà il nome di ‘Obiang’ alla voce autorete. Con l’incoscienza di un ventenne va a testa bassa su un pallone vagante ed innesca un meccanismo vincente. Ecco una delle grandi mancanze dell’ultimo periodo: la voglia di far succedere cose. Il mettersi in gioco, anche fisicamente, per avviare ingranaggi universali che alla fine possono anche darti il premio. Nella pellicola vincente è lui l’Hugo Cabret azzurro: “Così io penso che se il mondo è una grande macchina, io devo essere qui per qualche motivo”.

Otto al pragmatismo di Gattuso: “Non faccio il mago, non siamo ancora guariti”. Questa frase è la più grande speranza per uscire da questo tunnel. Niente televendite da imbonitore con la faccia alla Mastrota, ma solide realtà come Roberto Carlino. C’è un progetto immobiliare che tende alla solidità nella testa di Ringhio ed una profonda consapevolezza che i tre punti col Sassuolo siano giusto un colpo di spazzola prima di andare a dormire. Restano peccati ancora profondi da assolvere, curare, cicatrizzare con la forma di sublimazione che Rino preferisce: il lavoro. 

Nove al centravanti brasiliano. Si avvita nel terreno come un cavatappi impegnato a stappare una bottiglia di livello, trovando dal terreno le energie supplementari per fare altri due passi e scagliare la sassata all’incrocio che farebbe quasi pensare ad uno scambio di persona. Il velo di Milik è spolverata di magia alla grande opera di illusionismo di Allan, che nasconde il pallone alla difesa e lo fa riapparire direttamente nelle braccia di una rete che accoglie il suo destro che ha il sapore di liberazione. Lui, il più criticato, protagonista principale e discusso della notte della rivolta. Lui, sempre in bilico dallo scorso gennaio in poi, con una valigia sempre sul letto. Lui, nel punto più basso dell’era De Laurentiis, accantona ogni malessere e sprigiona quella forza che sembrava rinchiusa in un antico forziere. Nelle Guerre (poco) Stellari che hanno rosicchiato l’armonia di questo Napoli, ecco l’ascesa di Allan di Skywalker: Affrontare la paura è il destino di un Jedi”. Figuriamoci di un brasiliano-napoletano.

Dieci al boato che azzera tutto il resto. Per un secondo. Solo per un secondo, tutto è stato spazzato via. Quanto ci è mancato quel secondo. Quanto lo abbiamo rincorso, inerpicandoci sul ricordo di un recente passato che raccontava tutt’altro. Quell’urlo che è una liberazione. Che senti cadere un quintale di cattivi pensieri. Lo abbiamo desiderato così tanto questo secondo di assoluta incoscienza, di perdizione profonda. Ora ci sarà la calma per analizzare tutti i problemi del caso, ma quel secondo, quel meraviglioso secondo, ce lo teniamo stretto. E cerchiamo di allungarlo un pochettino, perché ci era mancato troppo. Aveva proprio ragione il Bianconiglio: “Per quanto tempo è per sempre? A volte, solo un secondo…”