Da 0 a 10: la confessione choc di Sarri, lo scandalo del Maradona muto, l’attentato dalla curva laziale e il discorso di Osimhen

Il Napoli perde con la Lazio una gara sfortunata: Vecino pesca il Jolly, mentre l'attacco non sfonda
04.03.2023 20:55 di Arturo Minervini Twitter:    vedi letture
Da 0 a 10: la confessione choc di Sarri, lo scandalo del Maradona muto, l’attentato dalla curva laziale e il discorso di Osimhen
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Zero a chi giudica ogni gara usando come parametro l’eccezionalità di questa stagione: la perfezione non deve essere mica una condanna. Pure Dante avrà scritto qualche volta qualche riga meno celestiale, ma resta sempre Dante. Non si commetta l’errore di pensare che il Napoli sia schiavo di questo Napoli schiacciasassi. Una giornata meno brillante può capitare, deve capitare, può soprattutto essere perdonata. La perfezione ha rotto il cazzo. 

Uno a zero all’italiana. Sarri riesce a fare ciò che non è mai riuscito a fare nella sua versione napoletana: non essere schiavo della sua di idea di calcio. Con la flessibilità, di chi si riconosce inferiore, capovolge tutti i suoi principi e si concentra solo sull’annullare i punti di forza della rivale. Nella settimana dei 50 anni di The dark side of the moon, anche Maurizio ha fatto vedere l’altro lato della sua luna. 

Due tiri di Lobotka nel primo tempo sono un bigino della gara. La Lazio concede poco, lascia spazio agli altri, ma non vuole farsi mandare al tappeto da due extraterrestri Kvara e Osi. Era una gara da pareggio, non ci incastriamo in complicate analisi psico-tecnico-tattiche. Mai come in questa gara, ha ragione Salemme: “E si ricordi, signor Cocuzza che è un caso, solo un caso, che siano cadute le mie regole e non le sue!”

Tre marzo 2018, il Napoli di Sarri cadeva contro la Roma dopo 10 vittorie di fila. Tre marzo 2021, il Napoli si fa rimontare al 95’ sul campo del Sassuolo col rigore di Caputo. Tre marzo 2019, la Juve vince al Maradona con Meret espulso. Più che una data, una sentenza. Il 3 marzo è come il "Michele Vizzì” di ‘I contrabbandieri di Santa Lucia’ per Mario Merola: ’n'omm 'e merd!’

Quattro gare senza subire gol in campionato: c’era riuscita l’ultima volta la Roma, ora tocca all’altra sponda delle capitale. Ma nei numeri bisogna tuffarsi dentro, quando si parla di pallone e non di fisica quantistica. Bisogna riavvolgere il nastro, rendersi conto che la serata di Meret è stata più tranquilla della Vita di Tricarico. Non c’è nessun campanello d’allarme, giusto qualche civetta che torna a far rumore nella notte. Poca roba.

Cinque dita di un ragazzino in pericolo per delle teste di ca**o. Lo scenario irreale di un Maradona ammutolito in segno di protesta, la totale assenza di bandiere azzurre, i cori razzisti dal settore ospiti e addirittura fumogeni e petardi, che hanno portato un bambino in ospedale. Siamo al surreale nel reale, una pazza follia che racconta l’incapacità di gestire il nostro calcio. Zittire uno stadio come il nostro in un anno come questo è un crimine che non può essere perdonato. Liberate le voci. I cori. Le bandiere. Le sciarpe. Ridateci l’inferno Dantesco (per le avversarie). 

Sei più a Ndombele, perchè è sempre giusto ricercare una nota positiva. La versione indolente e cocciuta degli ultimi ingressi lascia posto ad un francese pimpante, che con personalità prova a più riprese a comprimere la giocata decisiva in uno spazio di tempo ristretto. Tanguy può rivelarsi risorsa utile nel rush finale, perchè come insegnava Jack Nicholson in coppia con Morgan Freeman “Non è mai troppo tardi”.

Sette alla confessione shock, ma sincera, di Sarri. “Invidio Spalletti da morire perchè il suo Napoli vincerà, è questa la differenza col mio di Napoli”. Traspare, tra la voce che si abbassa leggermente di tono, tutto il rimpianto per quel che doveva essere, e non è stato. Per quello scudetto che si meritava, che ci meritavamo, che si meritavano i calciatori di quel gruppo. Ma qualcosa rimane, Maurizio, tra le pagine chiare e le pagine scure. Un piccolo solco di continuità, un filo che lega quella squadra a questa. Tutti dovrebbero avere quel filo. Un filo per non avere paura. Un filo per trovare la giusta direzione. Un filo per riflettere sulle scelte sbagliate: qualcuna ne hai fatta Maurizio dopo Napoli.

Otto in fila ed una sosta, dopo averne vinte diciannove su venti. Un cammino che non lascia margine di critica, solo una sana riflessione. Come un lungo respiro dopo settimane in apnea a scoprire meraviglie nella barriera corallina. A volte prendere fiato altro non è, che l’inizio di un nuovo strappo. Come faceva Pantani sulle montagne, che sembrava non averne più e poi si rialzava sui pedali. Questo Napoli ha l’animo del Pirata. La reazione non tarderà di certo.

Nove il numero di Osimhen, che s’è trasformato in qualsiasi cosa: da torta a caffè, da uovo pasquale alla pizza di routine. Difficile contenere l’entusiasmo, ma il culto dell’attesa va rispettato, custodito, onorato. Non è il tempo delle feste, delle bandiere, dei vessilli. Non lo è ancora. Siamo gente da eruzione, che si tengono tutto dentro, che covano la felicità fino a che non bussa alle nostre porte. Questa dispersione di gioia, che può portare pure un pochino sfiga, rischia di distrarci dall’obiettivo. Siamo gente da Vulcano. Siamo figli del Vesuvio.

Dieci punti, appena, lasciati per strada sui 75 a disposizione. Ripetiamolo insieme, come un mantra: il Napoli ha raccolto 65 punti su 75. Di nuovo. Ancora: fino a buttare via ogni cattivo pensiero. Spalletti è perfetto nell’analisi post gara: abbiamo tanto volte provato a vincere gare in cui potevamo accontentarci del pari, oggi abbiamo perso quando si poteva pareggiare. Il bilancio resta più che straordinario. Gli americani usano l’immagine: “Eat the frog”. Buttiamo giù questo boccone amaro, che prima o poi doveva capitare. La notizia migliore? Le teste basse e incazzate nello spogliatoio col discorso motivazionale di Osimhen. Non vorrei mai essere nei panni dell’Atalanta contro questi squali arrabbiati.

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