Da 0 a 10: la furia di Spalletti in una frase, il campione che ADL deve comprare , il labiale di Orsato e l’esultanza al 94’

Zero a questa ‘fottuta sindrome di Peter Pan’. Vite da rockstar in bilico, mai davvero pronte a compiere il grande passo. La leggi negli occhi questa improvvisa e puntuale inadeguatezza, stanchi e insoddisfatti per aver annunciato e promesso di voler fare così tante cose e non aver fatto nulla. Promette e non mantiene, poi ritorna, magari lo perdoni, poi ti pugnala di nuovo nella notte in cui mai avresti immaginato potesse tradirti. Sarebbe pure un film avvincente, se non l’avessimo visto così tante volte, al punto da esser un pochino nauseati.
Uno come l’unico rigore da fischiare nella gara: il pestone di Tomori su Osimhen in area Milan. L’altro, quello che ha fatto impazzire Pioli per Bennaccer che va a sbattere su Koulibaly, è pura invenzione. Orsato questa volta non era troppo vicino per valutare bene, chiaro il suo labiale sulle proteste dei giocatori azzurri: "È come quell'altro" dice, in riferimento all'episodio di Bennaccer. Ma era tutt'altra roba. Valeri dal Var resta un religioso silenzio. Corsi e ricorsi storici che rendono ancor più avvelenata, una notte dagli orribili sapori. Sarebbe curioso sentire l’audio del dialogo tra Orsato e Valeri, prima che sparisca.
Due tiri nello specchio della porta in 90’. La desolazione di Osimhen raccontata in questo dato, col solo nigeriano che ha provato a creare qualche grattacapo all’inoperoso Maignan. Nel match il Napoli ha completato 472 passaggi, contro i 272 del Milan ma tutti hanno affidato ‘al prossimo’ il compito di creare qualcosa di concreto. Un nomadismo del coraggio, che vaga da cuore in cuore senza trovare mai la giusta ospitalità. Non era una notte da compitino. Che la finisci con gli occhi lucidi come Aldo, Giovanni e Giacomo in Tre Uomini e una Gamba dopo la partita persa sulla spiaggia.
Tre punti che il Milan si porta a casa con più merito di quanto racconti il risultato. Perchè arriva prima su ogni pallone vagante, perché segna in mischia contro il Napoli che nelle mischie nemmeno ci entra. Resta ai margini, delle proprie idee, della battaglia, delle zone d’ombra del match. Il diavolo fa il contrario, si piazza proprio nei bar più loschi del quartiere ed attende che il Napoli col suo colletto bianco commetta un solo errore per punirlo. “Un campione ha paura di perdere. Chiunque altro ha paura di vincere”.
Quattro gol di vantaggio. Ospina nel finale su Saelemaekers mantiene l’equilibrio nello scontro diretto: in caso di arrivo in parità col Milan conterà la differenza reti che oggi vede avanti il Napoli (+29 contro +25). Niente di eclatante, solo il tentativo di trovare una buona notizia in una notte senza buone notizie. Come mettere il dolcificante nel caffè quando inizi la dieta: resta sempre un lunedì di ‘emme’.
Cinque a Insigne, capitano senza fiamma. Le idee sono contagiose, si riversano a cascata, piovono sulle teste e diventano propellente per le grandi imprese. C’è un piattume avvilente nella serata del capitano, una testa che resta quasi sempre bassa, che non scruta le opportunità di un orizzonte che per lui ha già altre tinte. Dopo il sussulto romano, il nulla cosmico: finisce il match senza provare mai a tirare in un porta e l’unico ricordo che lascia è il fallo (inutile) su Theo da cui nasce il gol. Imbarazzante come Robert Pattinson che prova a fare Batman dopo Christian Bale.
Sei punti a disposizione, due gare scudetto da giocare al Maradona e all’attivo un solo punticino. Contro Inter e Milan due facce diverse, ma la stessa puntuale incapacità di imprimere il cambio di passo alla storia. Bisogna tornare al gol di Insigne contro i nerazzurri per trovare delle risposte: con l’Inter il Napoli è avanti e poi, lentamente, si spegne. Si rende conto che la condizione di eterna inseguitrice sta cambiando, che può indossare i panni della favorita. Ed ecco che si ritrae, come una lumaca che rientra nella sua zona di confort. Così col Milan: sfidi da capolista l’altra capolista e cosa fai? Ti metti in un angolo e inizia a sperare. Ma la speranza, senza l’azione, è una gara a dadi col destino che spesso perdi.
Sette giorni ad esultare. Forse il Napoli è rimasto lì, sotto la curva dello stadio Olimpico di Roma dopo la magia di Fabiàn. C’è rimasto sicuramente lo spagnolo e con lui in molti altri, persi dentro alla gioia che nasce da un tentativo disperato. Ma vincere non è eccezionalità, è routine. È applicare ad ogni avversario lo stesso livello di concentrazione, giocare ogni possibilità come fosse l’ultima. “Il coraggio non può essere contraffatto, è una virtù che sfugge all’ipocrisia”.
Otto a Ounas, perché se ne frega. Lascia la paura altrove, sbatte contro il muro e poi riparte finché non trova il varco. È disordinato, non sempre pulito, ma lascia la paura fuori dalle scarpe e dimostra che, se attaccato con convinzione, il Milan poteva essere ferito. Il suo atteggiamento è inesorabile parametro per le mancanze dei compagni, uno specchio che riflette ciò che si doveva fare e non si è fatto. L’incoscienza di Adam potrebbe curare la cosciente fuga degli uomini più attesi.
Nove solo, solissimo. Osimhen è un ghepardo lanciato in una vasca con dei piranha: deve giocare la gara fuori dal suo habitat e non può farci molto. Resta solo, con due centrali che gli tolgono il respiro. Eppure qualcosa inventa, accelera, sgroppa, trova il modo di sfuggire dai denti affilati e piazzare qualche scatto in campo aperto. Deve pure sorbirsi le critiche di qualche sapientone, solo perché arriva stremato in zona gol che già arrivarci, per le condizioni in cui è stato messo, è un mezzo miracolo.
Dieci da giocare, ma sul serio. Inizia il conto alla rovescia della stagione, con ogni scenario ancora possibile: da quello più esaltante a quello più deludente. Questa squadra sembra condannata alla teoria motivazionale del ‘niente da perdere’, perché puntualmente implosa quando c’era qualcosa da vincere. Spalletti nel dopo Milan ha lanciato frecciate che al confronto Legolas era un dilettante. Un passaggio chiave, che anche una lettera aperta a De Laurentiis: "Se non sai reggere le pressioni è impossibile vincere”. Basterebbe questo per orientare la prossima campagna acquisti. Ma il presente incombe e la strategia comunicativa dovrà farsi meno epica: è evidente che questo gruppo non voglia essere ricordato, se non come un meraviglioso outsider. Abbassiamo toni e luci.
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