Da 0 a 10: Spalletti esplode fuorionda, i missili di Aurelio, il gesto nascosto di Osimhen e il culto Kvaratskhelia

22.02.2023 20:36 di  Arturo Minervini  Twitter:    vedi letture
Da 0 a 10: Spalletti esplode fuorionda, i missili di Aurelio, il gesto nascosto di Osimhen e il culto Kvaratskhelia
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Zero affanni per Meret, che a fine gara piazza i guanti su Vinted e potrebbe pure spacciarli per nuovi se non fosse bravo. Il tecnico Glasner dice: “Di aver avuto tante occasioni ma non averle concretizzate”. Per la serie: se devi dire una bugia, dilla grossa. Eintracht più innocuo di un moscerino nato in Tibet, che beve solo cloroformio e guarda in streaming tutte le trasmissioni di Marzullo.

Uno il rigore sbagliato da Kvaratskhelia. Confine sottile tra la grande parata di Trapp ed un’esecuzione con margini d’errore considerevoli. Capita. Quello che capita meno, è vedere un controllo a seguire in precario equilibrio e un assist di tacco nella stessa azione. Come se Leonardo, dopo aver scarabocchiato un foglio, decidesse di disegnare la Monnalisa nella stessa sera. Kvara non va giudicato. Kvara è una religione, un credo, un culto. Rendiamo grazia a Khvicha.

Due reti subite nelle ultime 8 gare tra Serie A e Champions. Dal gol di Dzeko non ha più subito gol in trasferta, ha vissuto quello sgarbo come offesa letale, ne ha tratto un ulteriore insegnamento. Come Vegeta che dopo un mazziatone prendeva un fagiolo di Balzar e diventava ancora più spietato. La reazione al ko di San Siro è l’aspetto più interessante sul piano mentale: questa squadra ha lo spirito di Sergej Bubka, che ritoccò verso l’alto il suo record mondiale di salto con l’asta per 35 volte. Sempre più in alto l’asticella.

Tre errori in avvio, praticamente più di tutti quelli commessi nell’intera stagione, poi il dominio. Lobotka mette in atto il più grande inganno del diavolo: far credere di non essere mai esistito. E i tedeschi ci abboccano come i Matsugoro all’amo di Sampei: una mattanza. Balla da solo Stan, che pare una fisarmonica che ondeggia in mezzo al campo e si allunga, sguscia, senza mai spezzarsi. È il regista, compone la colonna sonora, sceglie i costumi, e preparare pure i panini per la pausa pranzo. Lobotka non è un film: è il cinema.

Quattro giocate pazzesche collassate nello spazio di un lampo. Esistono ricordi che sono più ricordi di altri, che si infilano nel cervello e sai che non andranno più via come il nome del compagno di banco alle elementari. L’azione del 2-0 s’è già presa il nostro futuro, ha preteso una promessa d’eterno che sarà ancora viva tra trent’anni quando ricorderemo questa notte. Il velluto di Anguissa, l’omaggio a Nureyev di Kvara e il mancino di Di Lorenzo sono una sequenza memorabile. “Le donne e gli elefanti non dimenticano mai” ma in questo gol la regola più essere estesa a chiunque sappia cogliere il supremo senso dell’estetica. Abbinata ad una squadra costruita, come ha ricordato sibillino De Laurentiis, su sostenibilità e onestà.

Cinque a Ndombele, che entra con le pantofole e con l’aria svogliata di chi arriva alla sessione di luglio col bermuda. Irritante e ingiustificata l’approssimazione trascinata in campo da Tanguy, indolenza che risulta ancor più fastidiosa se confrontata alla spietata determinazione che Simeone inzuppa in ogni secondo concessogli da Spalletti. Un pesce rosso che prova a nuotare in mezzo ai Piranha. 

Sei nell’anima Giovanni, che non ti risparmi mai e segni di piattone col piede sbagliato rimembrando i tempi in cui ti chiamavano Batigol e giocavi da attaccante. Di Lorenzo è la sineddoche di questo Napoli, una parte per il tutto ed un tutto che fa sempre la sua parte. Uno spessore tecnico, tattico ed etico da poter costituire singolarmente un insediamento archeologico: pietra costruita sol sudore, con laboriosità e intelligenza sopraffine. Voglio la calamita da frigorifero con la faccia di Giovanni: luogo di culto. 

Sette gare in Champions, con sei vittorie ed un dominio che è ben più profondo del tabellino finale. Sembra di guardare una puntata della Signora in giallo, che puoi scandire esattamente tutti gli eventi ma già conosci il finale. Chiunque provi a tenere testa al Napoli finisce come la poesia di Martha Medeiros: Lentamente muore chi cerca di marcare Osimhen. Lentamente muore chi piazza due uomini su Kvara e deve fare i conti con Lozano. Lentamente muore chi crede che Kim sia una soglia che si può varcare. Lentamente muore chi pensa di fregare Spalletti (che a fine gara si infuria, giustamente, perché anche in una serata simile in tv si parlava ancora di Totti e di Icardi).

Otto ad Anguissa, che ad un certo punto della serata decide di prendere possesso di tutta la regione dell’Assia come il Negan luccicante dei primi anni di The Walking Dead. Bastona tutti con la sua Lucille, miscela forza e delicatezza in una serata in cui rischia pure di segnare ballando da terra la Capoeira in stile Eddy Gordo di Tekken 3 alla Playstation. Un Totem piazzato in mezzo al cuore, altro che diamanti.

Nove all’ubiquo Osimhem. C’è Tazmania con la maglia del Napoli, che non si lascia scappare nemmeno una briciola di partita. Innaffia il terreno del possibile senza sosta, manda in tilt un’intera difesa logorandone il sistema nervoso. “Mica proverà a prendere anche questa?”. Sì. La risposta che fa dannare i tedeschi è quel ‘Sì’. Victor va dovunque, Victor non può lasciare nulla d’intentato. E Victor segna e fa sognare. E Victor consola Kvara dopo l’errore dal dischetto. E Victor ride, quando segnano i compagni. Ride di gusto. Esplode di gioia, per un gol di un altro. Come i bimbi che non hanno ancora scoperto la cattiveria e l’invidia. Non guardate il suo gol: guardate le sue reazioni ai gol degli altri. Ai gol del Napoli. Di quello che è il SUO Napoli. "Era Edmond Dantès. Ed era mio padre. E mia madre, mio fratello, un mio amico. Era lei, ero io, era tutti noi”. O per OVUNQUE.

Dieci all’esame di grandezza superato, col messicano ad esporre la tesi. Lozano si infila come poliuretano espanso negli spazi lasciati scoperti dal Francoforte, impegnato a raddoppiare sistematicamente Kvara. Hirving è il bisturi che affonda nella carne, la lama che apre in due l’Eintracht come Mosè col Mar Rosso, l’agente nemmeno tanto segreto che frantuma il piano partita teutonico. Spalletti lo ha nutrito nelle ultime settimane col pane della fiducia, Chucky lo ha ripagato giocando la gara più efficace da quando veste l’azzurro. Un arma in più verso la gloria, perchè parliamoci chiaro: se guardiamo solo al campo, non c’è squadra in Europa che meriti più del Napoli il ruolo di favorita in questa Champions. L’ho detto. 

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