Guido Clemente di San Luca a TN - "Con scelte di Empoli Spalletti voleva regolare i conti con spogliatoio, società e stampa"

Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo all'Università della Campania Luigi Vanvitelli, ha espresso per Tuttonapoli le sue considerazioni sul momento in casa Napoli.

26.04.2022 10:10 di  Redazione Tutto Napoli.net  Twitter:    vedi letture
Guido Clemente di San Luca a TN - "Con scelte di Empoli Spalletti voleva regolare i conti con spogliatoio, società e stampa"

Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo all'Università della Campania Luigi Vanvitelli, ha espresso per Tuttonapoli le sue considerazioni sul momento in casa Napoli.

Non sempre la prudenza è cosa buona. Certo non lo è la falsa modestia. Per un mese mi sono astenuto dallo scrivere. Ho ritenuto opportuno tacere perché, finché s’era in competizione, non volevo essere critico con Spalletti. Da Napoli-Inter in poi, le sue scelte hanno destato più di una perplessità. Per mancanza di buon senso nell’impostazione tattica. Per incoerenza con il credo dichiarato. Per errata comunicazione ed effettiva incomprensione del popolo azzurro, che ha improvvidamente scelto di blandire. Per ‘perbenismo’ ipocrita, la versione finta dell’esser per bene. Le scelte tattiche. Certo, è lui ad allenare i calciatori tutta la settimana, e dunque dall’esterno non si può esser certi delle valutazioni che pure, al dunque, paiono evidenti. Se atleticamente i giocatori hanno qualche problema, presentano una condizione psico-fisica insufficiente, noi non lo possiamo sapere. Ma possiamo esprimere un giudizio su quello che vediamo. Ieri l’ho scritto agli amici prima della partita, appena ufficializzate le formazioni. «Spalletti ha scelto Mertens, ma ha escluso Demme, lasciando in campo Fabian, da tempo imbarazzante. L’ha fatto per crearsi l’alibi nel caso andasse male».

Come se avesse voluto regolare i conti con lo spogliatoio, la società, la stampa critica. Volete Mertens? Eccolo in prima squadra. E però, invece di mettere Demme al fianco di Anguissa, a far diga davanti alla difesa, ripropone Fabian (al pari di Zielinski fuori condizione). Quasi come se avesse voluto sabotare l’idea cui era stato ‘costretto’ ad accedere. Non ho voluto prestar ascolto a coloro che ammonivano in questo senso: «L’ha già fatto con Icardi e Totti». Ha ragione Minervini: «Luciano ha voluto fare la guerra col mito di Dries […] Ciro andava preservato, vissuto come una meravigliosa opportunità e invece Spalletti lo ha utilizzato col fastidio di chi teme che tale grandezza possa fungere da ombra sui propri meriti». Il peggio però l’ha realizzato a partita in corso. Sembrava che il kairos fosse tornato propizio. Primo tempo in vantaggio nonostante, con un centrocampo che andava a vento, avremmo dovuto esser sotto almeno di due gol. Secondo tempo che si mette bene allo stesso modo. Raddoppiamo. E cosa fa? Anziché sostituire Fabian, che non si regge in piedi (lasciandolo in campo 90 minuti), chiama fuori Lozano e fa entrare Zielinski. E poi fa uscire i migliori in campo: prima Mertens, sullo 0-2, per Politano, e poi Insigne, sul 2-2, per Ounas. E Demme? Ma se Fabian e Zielinski

 – lo vedon tutti – sono a corto di fiato, perché con la Roma, se si fa male Lobotka, fa entrare Piotr, lasciando in campo Ruiz? Vuole palleggiare? E come, se quei due non si reggono in piedi (la condizione atletica generale, peraltro, meriterebbe una riflessione a parte).

Gli errori individuali ci stanno. Anche quelli più incredibili e clamorosi. Possono capitare a tutti. Ma l’impostazione tattica non è proprio un errore. O è incompetenza, o presunzione (sempre che non sia malafede). Se infatti l’impostazione è corretta, si rende meno difficile sbagliare. Con Demme in campo, è più improbabile che Malcuit provi a scartare, perché avrebbe un facile appoggio. E se Meret avesse avuto Demme davanti, avrebbe forse evitato la ferale esitazione. Le scelte sono sbagliate in maniera talmente macroscopica che (come mi ha suggerito un fraterno amico addetto ai lavori) sarebbe da ipotizzare il ritiro del patentino, da dubitarsi persino dell’onestà. Anche perché si palesa la sconcertante protezione da parte di una sala-stampa prone. Gli domandano di Demme – ma senza articolare la domanda – e lui elude rispondendo su Tuanzebe. Lo sconcerto si moltiplica se si guarda alla radicale incoerenza con le sue stesse dichiarazioni. All’inizio ci aveva sedotto esplicitando il suo credo. «Coi 5 cambi sono tutti titolari, ciascuno per la parte di tempo che dovrà giocare: per 45, per 30 o per 60 minuti è lo stesso». Lasciando intendere che tutti si sarebbero dovuti sentire, e sarebbero stati, protagonisti.

Ma allora perché si è ostinato a non far giocare Demme e Mertens? Dicendo bene di entrambi, ma poi facendo scelte incoerenti con quanto dichiarato? Per non parlare di Ghoulam. A gennaio, in piena emergenza, nonostante fosse stato fin lì trascurato, gioca in una settimana tre partite di buon livello (allora non è vero che è finito?), compresa quella a Torino con la Juve. E poi? Sparisce! Tutti a riconoscere al mister di aver valorizzato alcuni. Nessuno che rilevi la svalutazione di altri. Sulla comunicazione. A parte la naturale predisposizione all’anacoluto [non si spiega – se non con una satira succube – perché non gli facciano i sottotitoli, come per Trapattoni], vanno stigmatizzate la presunzione e l’arroganza celate dietro modi ipocritamente gentili e affabili, talora anche ascetici. Ha blandito il popolo azzurro, solleticando la sua orgogliosa fierezza. Ma le radici antiche permettono a quel popolo di riconoscere le professioni d’amore posticce. La differenza fra esser per bene e perbenismo.

Meglio un onesto ‘pane e salame’ che una finta ‘nouvelle cuisine’. Per concludere. Ha finito col perdere di credibilità. Con tutti: a cominciare dai giocatori, per finire alla società e alla stampa, passando – soprattutto! – per noi tifosi. A parte i punti (la loro quantità va relativizzata al campionato), il paragone con la gestione Gattuso è doveroso. Ringhio, almeno, aveva dato anima e identità ad una squadra desertificata dalla imbelle gestione Ancelotti. Pur disponendo di Bakayoko invece di Anguissa (e non è poco), con lui abbiamo visto il miglior Zielinski, uno scintillante Lozano, un ottimo Demme. Abbiamo fallito la Champions, sì. Ma la domenica prima a Torino s’era consumato il consueto delitto. E a Napoli tutti sanno – ma non si può dire – come andò in albergo prima dell’ultima partita col Verona. Con evidente miopia (da comodo conformismo), si è guardato soltanto alla valorizzazione di Lobotka (un anno fa in condizioni fisiche disastrose) e Rrahmani (l’anno scorso in ambientamento). Nessun occhio, nemmeno superficiale, alla svalutazione di altri.

All’inizio c’eravamo illusi che Spalletti avrebbe fatto tesoro del prezioso lavoro di Gattuso, per migliorarlo. Dal 12 febbraio in poi (Napoli-Inter) s’è invece resa progressivamente palese la sua scarsa consistenza. Anche nel non aver denunciato il mancato rispetto delle regole (ad esempio, Torino-Inter e Napoli-Milan a forti dubbi di frode sportiva). Ma questa è l’altra, solita, storia. Che non può richiamarsi a scusante. Da tifoso, ancor più che addolorato, sono incazzato nero. Da studioso (e sedicente intenditore) del calcio, sono deluso. Una osservazione obiettiva dei fatti non consente di parlare ragionevolmente di scarso attaccamento o amor proprio dei giocatori. Che la squadra sia poco dotata di personalità s’è detto da tempo. Si sperava che Spalletti gliela avesse data. A torto. Non ci resta che sperare di evitare lo sfascio totale nelle restanti 4 partite. Del futuro è presto per ragionare. Ho solo una certezza. Rimpiangeremo amaramente il capitano. E se andassero via pure Ciro e Kalidou, sarà durissimo tener in vita l’anima azzurra, già fortemente compromessa dalla gestione di AdL: un attento ma (ormai l’hanno capito tutti) mero impresario applicato al calcio.