Da 0 a 10: la proposta choc, Gattuso sbrana Caressa, la furiosa sommossa social sul 'Comunale' e la frase di Maradona a Insigne

Napoli asfalta la Roma: Insigne omaggia Maradona, Gattuso ritrova un grande Zielinski e rivaluta Demme. In gol anche Mertens e Politano
30.11.2020 14:27 di Arturo Minervini Twitter:    vedi letture
 Da 0 a 10: la proposta choc, Gattuso sbrana Caressa, la furiosa sommossa social sul 'Comunale' e la frase di Maradona a Insigne
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Zero alla feccia. A chi ha provato, fallendo miseramente, a contaminare con lingue avvelenate il ricordo. Il trasporto. La commozione. Chi si è sentito in dovere di ricordare al mondo dell’Uomo Maradona. Un uomo che non conoscono. Un mito che non meritano. Vite eccezionali, straordinarie, leggendarie quelle di chi convive con un talento che diventa peso, l’ordinario che stringe alla gola, la routine come boia inesorabile. Maradona è Maradona. È entità che non merita giudizio, ma venerazione. Con il calcio diventa solo un banale pretesto. La strada già segnata per ispirare milioni di persone. Scrivere un messaggio nel cielo, per renderlo visibile. Per nutrire di forza e speranza chi quella forza e quella speranza non la morde più nel pane quotidiano. Diego trasversale, Diego trascendente, Diego profeta. Degli ultimi, degli scartati, di quelli abbandonati nelle periferie. Maradona il fuoriuscito, l'eletto che diventa leggenda. Il miracolo che trasmette calore, a chi calore non ne trova quasi mai. 

Uno in più. Gattuso si traveste da Max Pezzali e le canta a Fabio Caressa, lo azzanna a rievocare i tempi in mediana. “Abbiamo 18 punti” rivendica con forza in diretta tv, ‘Aspettiamo che venga fatta giustizia’ insiste. Perchè Juve-Napoli va rigiocata. Gattuso lo sa. E lo ricorda anche al club di Fabio, perché se c’è da stare senza giacca e cravatta Rino è come Nino D’Angelo: si trova perfettamente a suo agio.

Due a zero paure scacciate via. Le sue, quelle del Napoli. C’è il riassunto perfetto della serata di Fabiàn nel mancino che si insinua tra le debolezze della Roma, il lampo che oscura una gara sin lì balbettante. L’occasione che ti rende ladro, la svolta che aspettavi da un bel pezzo. Con maggiore copertura ritrova coraggio, si guarda le spalle e non vede quel vuoto che rischia confondere i pensieri e bloccare le gambe. Non è la versione migliore di sè, ma non è mica un brutto affare averlo dalla propria parte. 

Tre in mezzo. Gattuso la racconta a modo suo, perché deve fare così, ma ieri c’erano tre in mezzo. Perchè Zielinski non ha le caratteristiche di Mertens, perché per natura Piotr finisce per comporre l’altro vertice di un triangolo con Demme in punta e Fabiàn in linea col polacco. Perchè poi devi fare i conti con gli uomini, non con i numeri. E gli uomini di ieri erano perfetti per giocare un 4-3-3, che poi non è una prigione ed è normale che porti a turno Piotr e Fabian a sbirciare nell’area avversaria. Sarà una discussione che ci porteremo avanti parecchio, ma su una cosa non si inizia nemmeno a discutere: se vuoi tenere Zielinski e Fabiàn in campo insieme puoi giocare solo 4-3-3. È la quarta legge di Keplero sul movimento dei pianeti. È scienza applicata al pallone.

Quattro giorni, quattro gol ed un mondo stravolto. Era di mercoledì, mi lasciasti in un angolo così come nei lunedì di Pino Daniele. Ha fatto gli onori di casa Diego, nella sua nuova casa. Era lì, presente come non mai. Chi non l’ha visto aveva gli occhi chiusi. Una casa che non appartiene al Comune e a nessun altro. Maradona è di tutti. È del popolo. Nessuno può appiccicargli l’etichetta. Nessuno. Quello è semplicemente il Diego Armando Maradona. Senza stadio, arena o quello che volete. Diego non ha bisogno di specificazioni. Basta la parola. L’artista eterno odia le classificazioni.

Cinque gol e due assist in dodici presenze (sette da titolare). Ci sono anch'io sembra dire Politano, mentre conferma di poter incidere come un bisturi nella pelle di ogni partita. Dall'inizio o a gara in corsa. Matteo è una macchina calda, figuriamoci quando ha un suggeritore d'eccezione. 'Che faccio tiro?’. ‘No, Matteo. Io salterei pure il portiere' avranno suggerito da una regia posta molto in alto. Magari avrà sorriso da lassù, ricordando al Paradiso con fierezza: “Yo soy NaPOLITANO”. E voi pensate che il destino non esista…

Sei a Mertens. Che non brilla, ma timbra. Che non splende, ma graffia quando c’è da sferrare il colpo che manda in frantumi le speranze della Roma. Nel primo tempo è frenetico, come le bilance di frutta/verdura al supermercato che se non fai in fretta a completare il codice, tirano fuori lo scontrino del sedano rapa che non sai nemmeno che forma abbia. Poi si calma, mette da parte l’emozione che gli leggi in quegli occhi profondi. Un pezzo di cuore e di testa era altrove. E col cuore altrove uno come Ciro fatica ad essere Ciro. Lui, che è tutto cuore. Forse era ancora in piedi, silente, nella notte napoletana a commemorare il murales di Diego. Come dargli torto.

Sette a Diego. Anche qui: altro colpo al cuore. Lui, proprio lui. Cresciuto nel culto, tirato su a pane e Maradona. Rinasce, calcisticamente, nella notte dell’ultimo saluto. Un eterno ritorno del mito, la testimonianza dell’eredità immortale. Demme ritrova la sua posizione e rispolvera vecchie ammirazioni, accantonate con la voracità dei tempi nostri, quelli del fast food. Del mordi e scappa. Del compra e getta. E invece Diego è utile, utilissimo. Fa le cose semplici, ma le fa benissimo. E aiuta i compagni, aggiunge e non toglie. Per la squadra. Per il suo nome. Per una serata che non avrebbe sognato di vivere in maniera diversa. Con quella maglia addosso, con uno riccioluto a guardarti dall’alto. Un Cavaliere che compie il suo destino sul prato del suo Re: “Se potessi chiedere a Dio una sola cosa gli chiederei di fermare la luna, di fermare la luna e far sì che questa notte e la vostra bellezza durino per sempre”.

Otto a Zielinski e la sua moto, che è proprio come lui. Il giovanotto ritrova i cavalli giusti, il motore gira e finisce per caricarsi sulla sella tutto il Napoli. Dominatore vero, divide acque e distribuisce pani e pesci nella serata dei miracoli. “Ci sono cose chiuse dietro ai muri, che se all'improvviso uscissero all'aperto gridando a squarciagola, riempirebbero il mondo”. Tra queste cose c’è senza dubbio lui, Pietro, con le Chiavi in mano del tempio. Lui che potrebbe essere padrone assoluto, che a volte si schernisce, che quando inizia con le marce giuste capisci subito che è una di quelle serate lì. Intoccabile, da custodire dentro una teca. Da valorizzare, mettere al centro della Chiesa. Piotr sta al Napoli come Enrico IV a Parigi: “Per Zielinski val bene un cambio modulo”. O qualcosa di simile.

Nove a Insigne con l’orecchio puntato verso la stella più luminosa. Sussurra, quella frase lì. Divenuta icona pop, spartiacque tra il pianeta terra e l’iperarunio che l’accoglie. “Tanto gli fai gol comunque’ sibila Maradona, Lorenzo esegue. Calcia ed è già edotto sul finale. Da Napoli a Buenos Aires, comuni della stessa Provincia. Ai confini del mondo ed oltre per sbirciare, per l’ultima volta, nell’Empireo di Diego. Quando Insigne conta i passi, prende la mira, la sua visione è nitida, come mai prima nella vita. È una missione consegnata ad uno scopo troppo alto, un viaggio che era iniziato tanto tempo prima. Ha il sapore della strada, della polvere, delle scarpette larghe e dei pantaloncini che ti cascano. Nasceva il 4 giugno del ’91 Insigne, di Diego in città solo la scia indelebile. La traccia che si imprime su tutte le nuove generazioni. L’ha sognata per tutta la vita quella punizione lì. L’ha provata, riprovata, così tante volte. Non sapeva che fosse già tutto deciso. Non pensava che, al momento giusto, sarebbe arrivato a piazzarsi proprio accanto a lui Maradona. A sussurrargli con gelida sicurezza: “Tanto gli fai gol comunque”. E così fu. Nel nome del padre, ovvero di D10S.  

Dieci non a Maradona, ma di Maradona. Ritiratela quella maglia, lanciatela nello spazio e nel tempo. Un simbolo, come il pipistrello di Batman che brilla nel cielo. Veglia su di noi, El Diez. Ci protegge, dagli abusi. Dalla paura di un mondo che diventa Gotham, con i pagliacci a prendersi la scena. Dicono che non ci sei più, che sei andato via. Che hai smesso di respirare. E allora come lo spieghi tutto questo? Così ingombrante: Diego tra le mani. Nella testa. Nel cuore, Diego dappertutto. Diego per sempre. Diego che respira. Con i nostri polmoni. Che vede. Con i nostri occhi. Diego che esulta, ancora una volta. Diego che sorride, prendendosi un angoletto del cervello. Diego che lo vedi, è ancora nel tuo salotto. Diego che lo incontri, una scritta su una parete. Diego che lo senti, nel ricordo di un amico. Diego che lo annusi, nelle lacrime che sono ancora calde. Calore che non evapora, che diventa una scia di fumo. Come una luce nel cielo. Come un numero Dieci che ti fa compagnia. Che brilla nella notte. Il nostro supereroe, che non deve raccontare bugie o camuffarsi. Dicono che da quando Baggio ha smesso di giocare non è più domenica. Qui ci sarebbe da cancellare tutti i giorni della settimana…