“Lozano come Vargas”: la follia corre sul web...

(di Arturo Minervini) - Avete presente quelle leggende metropolitane che si diffondono senza mai riuscire a scovarne l’origine? Della serie ‘Un tizio ha sentito da un tizio che un altro tizio ha detto ad un tizio di aver visto un uomo che volava sopra il Vomero”. Si diffondono così, a macchia d’olio, senza che nessuno abbia il coraggio di rivendicarne la paternità ma covando in fondo in fondo un minimo di approvazione.
Negli ultimi giorni la ‘Urban Legend’ più in voga riguarda Hirving Lozano e l’accostamento (non si capisce nemmeno bene il motivo, perché i due in comune hanno solo il provenire dal continente americano e poco altro) con Edu ‘Turboman’ Vargas. Premessa: il cileno non era un cattivo giocatore, lo dimostrano i tanti gol (anche pesanti) segnati con la maglia della sua nazionale. Semplicemente non aveva il carattere per reggere la pressione di una piazza come Napoli, può starci. Pensare, però, di poter appiccicare un’etichetta su Lozano dopo 189’ giocati in serie A (nei quali si è pure concesso il lusso di segnare sul campo della Juventus, piccolo dettaglio) è pura deriva calcistica, sconfinamento del diritto di critica, invasione illogica dell’orto della ragione.
Detto dell’esordio fulminante allo Stadium, Lozano contro la Samp ha mostrato sprazzi di talento assoluto come un controllo volante su un pallone a campanile che andrebbe rivisto in loop almeno un paio di volte al giorno. Nel match col Liverpool ha fatto quello che gli è stato chiesto, si è sacrificato attaccando sempre lo spazio e tenendo bloccati i centrali dei Reds evitando che la squadra di Klopp alzasse troppo il baricentro. Unica gara giocata male quella con il Cagliari, ma non è stato certo il solo e non si può non perdonarlo dopo essere stato catapultato in pochi giorni in una realtà tutta differente.
“Quello è il ruolo dove può rendere meglio”. Ancelotti nella conferenza stampa post-Cagliari è stato chiaro, sciogliendo anche i dubbi sulla posizione del messicano. Un investimento troppo importante per non essere protetto dal club e dal tecnico e che, forse, anche gli stessi tifosi dovrebbero coccolare prima di lanciarsi in giudizi trancianti e sentenze definitive. Liberiamoci dalla sindrome che tutto debba andare male, un pessimismo cosmico che in qualche modo rischia di influenzare gli umori di una piazza che ha bisogno di tenersi stretta e di stringersi attorno a quello che è l’acquisto più costoso della storia azzurra. Non è tempo per le leggende metropolitane…
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