Da 0 a 10: la montagna di me**a su J. Jesus, l’incredibile scusa di Calzona, la scelta distruttiva di ADL e i cambi che fanno girar le balle
Zero minuti per Traore, che aveva fatto bene col Barcellona, ottanta minuti d’anonimato per Zielinski, escluso dalla Champions perchè il Napoli doveva guardare al futuro. Il grande intreccio, l’intralcio, l’intrigo di questa stagione dannata ha un evento generatore, il big bang di questo universo senza regole in cui viviamo: l’assoluta mancanza di una programmazione coerente, di una logica consequenzialità degli eventi. Una continua alterazione delle prospettive e degli obiettivi, delle scelte e delle decisioni.“Quello che penso, così in un momento, è in corto circuito con quello che sento”. Esegue Aurelio99Posse.
Uno il punto alla prima in campionato di Calzona, almeno Garcia e Mazzarri agli esordi avevano vinto. Tra l’altro, sempre in trasferta, sui campi di Frosinone il francese e Bergamo il toscano. C’è una strana sensazione di nulla, un vuoto interiore che non pare colmabile da un nuovo tecnico, qualcosa di ben più profondo, di invisibile, da rintracciare in quella ‘sfoglia di cipolla’ che è il cervello. Tu chiamale, se vuoi, motivazioni. Tu chiamali, se vuoi, traditori di un ideale.
Due volte sostituito. Calzona e la gestione Kvaratskhelia: sicuro che la stai prendendo nel modo giusto? Con la gara sbloccata dal gol di Osimhen, e finalmente qualche spazio in più da attaccare, togliere KK pare non essere idea meritevole di menzioni particolari al CNR. Non è che, per dimostrare al mondo di avere carattere, il buon Ciccio sta incappando nell’errore che tutti quelli che hanno appiccicata un’etichetta commettono? Per la serie: “Non sono il Vice di… Sono uno con le palle”. A me, quando esce Kvara, girano sempre. Non è il momento degli scienziati.
Tre mesi per chiudere il campionato e chi l’avrebbe mai detto, che non avremmo desiderato altro. In questo naufragar che non c’è dolce, che anzi avvelena i giorni della settimana, il Napoli s’è cosparso di mediocrità, si è ritrovato in trappole delle sabbie mobili che aveva inconsapevolmente piazzato lungo il cammino. Aurelione ha convocato tutta la stampa per urlare al mondo che il cattivone era Spalletti, che lui avrebbe rimediato col mercato. I problemi di questo gruppo, di questa società, sono ben più profondi e radicati. In primis? L’assenza stessa di una società. Che, al contrario dell’attesa, non è essa stessa piacere.
Quattro alle scuse di Calzona, che volendo omaggiare Mazzarri, riesce a cascare un pochino nel ridicolo invocando l’Erba Alta e il Vento. Sì, l’ha detto. L’erba alta. E il vento. In Sardegna. A Cagliari. C’era il vento. E il Napoli non ha vinto per il vento. In Sardegna. E per l’erba alta. E per l’ascendente bilancia. Surreale, come un testo geniale degli Squallor. “C'era un vento quella notte che anche i più arditi e temerari sfidavano le membra del tempo…”. Poi tutti a far festa dal notaio Zambeletti.
Cinque alla testa bassa di Simeone. È tutta una questione di teste basse. Di gente che non chiede, e se non chiedi non sai. Di singoli, che vanno avanti coi paraocchi, a caccia di una gloria personale. Cholito spreca una ripartenza sanguinosa, lo fa perchè a guidarlo è l’egoismo, la perduta percezione della visione collettiva, dello scopo globale, di un destino comune che era forte e s’è fatto debole, perchè anche con i destini è la somma che fa il totale quando si tratta di pallone. “Io, io, io…e gli altri” è una pellicola meravigliosa con Walter Chiari, in cui c’è una frase che oggi fa ancor più male: “Io, che ho nostalgia anche di un minuto fa…”. Figuriamoci dello scorso anno.
Sei Juan Jesus, arrivato per fare il quarto centrale, se non il quinto. Poi vinci lo scudetto e ti ritrovi ad essere titolare, per mancanza di alternative valide. Il massacro social del brasiliano è iniziato un istante dopo la fine della gara, una montagna di me**a che il ragazzo nemmeno si merita. Perchè c’è una differenza tra i campioni e i buoni calciatori: l’affidabilità nella lunga durata. Da uno come JJ, lo dice la sua carriera, quell’errore prima o poi te lo puoi aspettare. Lo ACCETTI, come società, nel momento in cui gli affidi l’eredità di un fenomeno come Kim. Se ti presenti al mondiale di Formula Uno con la 131 Mirafiori, la colpa non è della 131 Mirafiori. Nessuno sfugge alla propria natura. Quella torna sempre, quando meno te l’aspetti.
Sette metri di porta davanti e Politano riesce nell’impresa di non trovare lo specchio. Lezioso Matteo, che manda in frantumi probabilmente l’ultima speranza di restare agganciato al treno Champions. Egoismo per Simeone, errata lettura per Politano. Spalletti disse una volta del Napoli: “Questa è una rosa fatta per giocare insieme, sono tutti adatti per giocare tutti insieme. Non al posto del compagno, ma al fianco del compagno”. A fianco è un posto meraviglioso per conoscersi, per condividere un pensiero, per difendere ogni debolezza altrui che va sentita come propria. Ecco perchè siamo ridotti così male: perchè ognuno ha badato solo ai fatti suoi come Raz Degan nell’iconico spot Jagermeister
Otto a Osimhen, che fa Osimhen, che non ha smesso di fare Osimhen, nell’anno in cui tutti hanno voltato le spalle al proprio recente passato. Deve far gol Victor e in due gare va due volte a segno, alimentando comunque qualche rimpianto per questa assenza di sessanta giorni, sale su una ferita sempre aperta e mai saturata. Un cerotto al sapore d’Africa, una capacità di convertire le poche azioni che il Napoli di quest’anno crea, una siccità inattesa che solo Victor può provare a curare e colmare. Alla fine, così come nella gara dell’andata l’aveva vinta lui contro il Cagliari. Speciali non si diventa, speciali si nasce. E lui ‘lo nacque’.
Novesei, come i minuti sul cronometro. Una SQUADRA, quel gol in quel modo, non lo prende mai. Eccolo ‘il grande rifiuto’, in stile Celestino V, di questo aggregato di uomini che ha dimenticato cosa voglia dire essere Squadra. Fare squadra. Sentirsi squadra, come una meraviglia sineddoche in cui ogni parte rappresenta il tutto. Proponiamo la punizione: una settimana di cura di “umiltè” (alla Crozza quando imitava Arrigo Sacchi) in un centro di recupero gestito da Montero, Pasquale Bruno, Rino Gattuso e Jaap Stam. Peggio di Guantanamo. Oltre alla fortuna, questa squadra deve ritrovare la cura dei dettagli. I dettagli sono l’unico modo di amare davvero.
Dieci allo scudetto dello scorso anno, che resta nostro. Che nessuno cada nell’imboscata dell’emotività, di quelli che ‘scucitevi lo scudetto, non siete degni!”. Eh no, ragazzi, no. Già troppe volte era stato scippato quel tricolore, la delusione di quest’anno non può in nessun modo inquinare quel ricordo, quella celestiale passeggiata nel giardino dell’Eden. Frammenti di un’opera complessa, unicità che si riversano alla perfezione tra le righe di un capolavoro da conservare, da raccontare, da preservare. Quello scudetto è di Napoli, dei tifosi, di chi l’ha atteso una vita intera. Quelli che non lo stanno onorando in questa stagione ne pagheranno le conseguenze dinanzi al tribunale di Padre Tempo. Quello non perdona. Quello non fa sconti. Il cuore non è una lavagna che cancella ciò che è scritto. Il cuore tiene tutto lì, magari nasconde, ma non cancella. MAI.
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