Da 0 a 10: Spalletti distrugge (due volte) Allegri, lo scandalo Dazn, Anguissa col paragone choc e Politano alla Scutellaro

Zero all’ipocrisia di Allegri, che davanti alle telecamere pontifica come Madre Teresa di Calcutta e uscito dall’inquadratura aggredisce verbalmente Spalletti. Già sull’orlo di una crisi di nervi alle domande su Ronaldo, Max invoca la questione arbitrale accusando Luciano di aver protestato tutta la gara, come se Irrati avesse inciso nella sconfitta dei suoi. Chiaro caso di devoto in crisi mistica, che non ha viste accolte le sue preghiere da una divinità sempre pronta a strizzargli l’occhio. Più fuori luogo del mitico Franchino di Fantozzi per uno stop di un deodorante intimo.
Uno l’intervento tempestivo di Ospina su Kulusevski. È un frame di partita che ha il peso di un destino capovolto, arrivare puntuale all’appuntamento col fato seppur indolenzito dal jet lag. C’è un fatalismo che è tutto da godere nel colombiano che edifica un muro sulle speranze di raddoppio bianconere, ancora mezzo intontito da un viaggio intercontinentale. Quando il coraggio è il tuo miglior amico in un uscita matta e disperatissima.
Due linee e Ounas a galleggiarci in mezzo come un delfino curioso, creando col suo girovagare reazioni a catena. Cose che fanno succedere cose, Spalletti che rompe gli indugi all’intervallo e non attende dal tempo regali ma decide di agire in maniera attiva sullo stato delle cose. Il cambio ad inizio ripresa è trattato dell’uomo che fa la sua fortuna, è il guizzo di chi preferisce l’agire all’attendere. “Sappiamo cosa deve essere fatto: tutto ciò che manca è la volontà di farlo.”
Tre vittorie, tutte col volto differente. Con l’uomo in meno, andando in vantaggio e vincendo dopo il pari, ribaltando la Juve: ci sono tonalità di colori variegate nella trilogia trionfale di un inizio campionato che più bello non poteva esserci. C’è, soprattutto, una meravigliosa costante nella diversità: un potenziale offensivo che consente al Napoli di far male a qualsiasi difesa. Vincere provando a vincere fino alla fine è una sinfonia per l’orchestra chiamata volontà. E volere, da sempre, può diventare potere se ci credi davvero.
Quattro alla leggerezza di Manolas, più accidioso di un Gianni Sperti sul trono di Uomini e Donne. Vanagloria che si fa disastro, come la lumachella di Trilussa che crede di esser già storia perdendosi sulla scia della propria bava. Inaccettabile a certi livello un errore del genere Kostas.
Cinque secondi di attesa, poi un sospiro, poi il vicino che forse esulta. È il terrore di ogni tifoso, il segnale che sparisce, l’icona del caricamento come feticcio a cui affidare le speranze di vedere la partita. Dazn regala riti apotropaici nelle case dei tifosi, luttuosi e infiniti silenzi in attesa di un segnale che non arriverà mai. Ci sarebbe da ridere se la questione non fosse drammaticamente tragica, un tirare a campare in attesa della prossima partita. Affidandosi alla filosofia di Pino Daniele: “Qualcosa arriverà”. Solo in Italia un disastro simile nell’assegnazione dei diritti tv.
Sei come un respiro, come chi trova finalmente ossigeno. Anguissa è un regalo anche per Fabiàn, per la spensieratezza dello spagnolo che nel secondo tempo sale cattedra e inizia a disegnare cerchi perfetti come una specie aliena che lascia segni di intelligenza superiore. C’è la geometria gaudiniana che ispira le giocate dell’iberico, una visione dell’arte pallonara che appartiene ad una stirpe di eletti. Non è al meglio, ma come gioca Fabiàn quando è libero di essere Fabiàn.
Sette a Politano, che non s’arrende. Che ci riprova, anche quando un tiro va male o un dribbling non riesce. Attacca Matteo, che sia l’avversario o la profondità poco importa, ci riprova con l’ottimismo del giocatore d’azzardo che confida sempre nella prossima giocata. Alla fine arriva il gratta e vinci che ti fa gioire e scappare. Ma questo era tutto di Matteo, nessun caso Scutellaro.
Otto all’esordio fulminante. Ha usato Google maps per raggiungere lo stadio, gli hanno ricordato il nome dei compagni prima di entrare in campo come nelle partite del lunedì sera. Eppure, Anguissa sembrava essere già parte di un tutto, mettendo in mostra una personalità che è il segnale più incoraggiante di una prima in azzurro da incorniciare. Divora campo, chiude spazi, anticipa giocate, legge traiettorie con la veggenza di chi comprende alla perfezione le dinamiche del gioco. Col terrore di molti ricordava Bakayoko nella prima foto in azzurro, alla prima in campo è sembrato un Allan col fisico statuario.
Nove a Kalidou, simbolo del rinascimento napoletano. La sua permanenza, la sua scelta, la sua persistenza raccontano di un rapporto che mette in discussione i canoni moderni del pallone dominato dai mercenari. Svetta il senegalese, si erge all’orizzonte come una sagoma presidenziale sul Monte Rushmore. Inizia e finisce tutto da Koulibaly, che fa la differenza senza fare nemmeno tanta fatica sorretto da una grandezza che è dono divino, un tratto distintivo che non appartiene ai comuni mortali. L’uomo che domina la natura e non il contrario. Toglieteci tutto, ma non KK.
Dieci a Spalletti, che distrugge tatticamente e dialetticamente l’inviperito Allegri. Prepara bene la gara, la legge ancora meglio Luciano, che rifila due sberle virtuali al dirimpettaio che finisce per perdere la testa. Carica alla vigilia il Maradona, punta sul tema dell’identità che è poesia per le orecchie dei tifosi. “Vengono al Maradona a faticare, sono migliaia di calciatori al nostro fianco” dice a fine gara, dipingendo l’immagine meravigliosa di una simbiosi che trascende le barriere degli spalti, che riversa sul terreno di gioco quella passione che si fa combustibile per i muscoli della squadra. Sta nascendo un amore, sfarfallano barlumi di un sentimento forte nello stomaco dei tifosi. Quando parla Spalletti, si drizzano peli che è subito pelle d’oca. Se non parla Luciano, godi solo a metà.
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