ESCLUSIVA - Iuliano racconta Iuliano: “Ha introdotto l'Ufficio stampa nel calcio: mio padre e il Napoli, una storia infinita. Diego era un figlio per lui. Io? Ho vissuto in una favola”

ESCLUSIVA - Iuliano racconta Iuliano: “Ha introdotto l'Ufficio stampa nel calcio: mio padre e il Napoli, una storia infinita. Diego era un figlio per lui. Io? Ho vissuto in una favola”
domenica 23 giugno 2013, 11:30Copertina
di Redazione Tutto Napoli

Nei suoi “Frammenti”, Democrito scrisse: “La saggezza del padre è il più grande ammaestramento per i figli”. Prendete questa frase, applicatela a Carlo Iuliano, e capirete Raffaella: una figlia che vive nel nome del padre, e non nella sua ombra; una persona che del padre ha carpito l'essenza: lo racconta, usando ancora il presente, e non perchè l'abbia lasciata da poco; anche tra cinquant'anni farebbe così. Perchè Raffaella è Carlo: te ne accorgi dagli atteggiamenti, dalla ricerca sempre attenta dei termini giusti; da quella ironia sottile che proviene dai suoi occhi, prima ancora che dalle sue parole; e da quell'orgoglio positivo con cui tratteggia il personaggio Carlo Iuliano. La cui importanza, nella storia del Napoli, può essere rinchiusa in un episodio esemplificativo: “Era l'ultimo giorno di Maradona a Napoli. Chiamò mio padre, voleva che andassimo a casa sua per salutarlo. Arrivati lì, le prime parole di Diego furono: 'Carlo, tu sei l'unico amico che mi è rimasto a Napoli'. E un lungo abbraccio suggellò quel momento molto intenso”.

Quest'aneddoto fa capire subito quale fosse la considerazione di cui godeva Carlo Iuliano. Molto di più di quella che è riservata ad un Ufficio Stampa. Della cui applicazione al mondo del calcio, è stato un vero precursore.

“E' così. Mio padre ha iniziato con il Napoli nel 1967, quando nessuna società di calcio si serviva di un addetto stampa. Una breve pausa dal 1992 al 1994, poi il ritorno fino al 2003: 34 anni di onorata carriera al servizio del Napoli”

La domanda viene da sé: perchè De Laurentiis non l'ha cercato quando ha rilevato il club dopo il fallimento?

“E' una domanda che dovresti rivolgere a lui. Probabilmente voleva chiudere i ponti con il Napoli del passato. Anche se, successivamente, alcuni calciatori della vecchia gestione e lo stesso Pierpaolo Marino, furono richiamati. Questo conta poco ora. Mi è dispiaciuto che la società non abbia presenziato ai funerali. Sono venuti Nicola Lombardo e Guido Baldari, ma a titolo puramente personale. Lo stesso Mazzarri ha inviato un telegramma privato: conosce mio padre da quando era tecnico in seconda con Ulivieri”

Eppure tuo padre, Carletto come lo chiamavano tutti, aveva capito la piega che stava prendendo il mondo dell'informazione.

“Assolutamente. Si è iscritto anche su Facebook, risponde ai tanti tifosi che con affetto gli scrivono. A volte raccontando episodi che neanche io conosco. Uno su tutti: a Bordeaux, nell'anno della vittoria in Coppa Uefa. C'erano tanti tifosi del Napoli all'esterno dello stadio, non avevano il biglietto e volevano acquistarlo. Papà ebbe un'animata discussione con Betz, il presidente francese, che non voleva concedere altri biglietti. Quest'ultimo tentò di rifilargli un pugno, e in sua difesa accorse un cognato di Maradona, Gabriel Esposito. Al quale, dopo questa colluttazione, mio padre disse: 'ora siamo fratelli di sangue'. E al tifoso cui ha raccontato questa storia, ha scritto: 'ora siamo fratelli di Facebook' ”

Le sue battute proverbiali hanno fatto storia.

“Mio padre ha una pazienza infinita. Ascolta, ascolta sempre, poi conclude dicendo: “Va bene, ci siamo detti tutto”. E il suo interlocutore magari lo guarda stranito: “Ma come, non mi hai risposto su niente!”. Ricordo un tifoso residente al nord che aveva la gobba. Lo chiamò Quasimodo, e una volta gli disse: “Dove hai lasciato la tua Esmeralda?” ”

Ha preceduto l'avvento di Ferlaino, iniziando a lavorare con Lauro. Ma con l'Ingegnere che rapporto aveva tuo padre?

“All'inizio non si “presero”. Poi incominciò una lunga storia tra di loro: Ferlaino non si è mai diviso da mio padre. Alla base del loro rapporto c'è innanzitutto un grande e reciproco rispetto. L'Ingegnere ha grande stima di mio padre. Ferlaino non ha un carattere facile, è una persona chiusa ed istintiva. Uomo molto furbo ed abile, grandissimo conoscitore di calcio, un signore di altri tempi, ha ottenuto tutto nella vita solo grazie al suo lavoro. Ed era anche un uomo molto riservato: non era facile gestire la sua comunicazione. Un presidente del tutto diverso da quello di oggi: papà una volta disse che De Laurentiis è il miglior ufficio stampa di se stesso. Mio padre è stato bravo a non far trapelare all'esterno tante cose, lasciando un alone di mistero che ha rinchiuso la storia del Napoli in un mondo quasi fiabesco. Io ho imparato da lui, a non esagerare, a non millantare. Solo così si acquista credibilità, e forse per questo ancora oggi è stimato da tutti”

Anche se poteva sembrare burbero, tuo padre aveva un rapporto straordinario con tutti. Anche con i giornalisti più giovani, che a volte lo vedevano come una montagna da scalare.

“Ci tiene tantissimo ai giovani. Mio malgrado, seguendo le sue orme, sono diventata anche io giornalista, è stata una cosa naturale. Non ho avuto un'infanzia normale, non andavo in giro in bicicletta a sbucciarmi ginocchia, ma in ritiro con il Napoli e in sala stampa. E lui ha sempre spinto i giovani a fare ciò che si sentivano di fare. Ma voleva che imparassero bene il mestiere, ed è per questo che quando un giornalista in erba si presentava a Soccavo per la prima volta, riceveva il battesimo del fuoco: “Lei chi è? Va bene, può entrare, ma solo come uditore. Per ora non può fare domande”. Una volta, rivolgendosi ad una collega, la invitò a coprirsi un po' per non “distrarre” i giocatori. Lei rispose: “Ma io sono una brava ragazza!”. Dopo qualche minuto, la vide parlare con Salvatore Miceli (centrocampista del Napoli nella stagione 1999-'00 ndr) ed esclamò: “E questo perchè era una brava ragazza...conosce anche i giocatori!”. Il silenzio fu infranto da tante risate”

Cosa ti raccontava della sua esperienza? Quali erano le difficoltà maggiori che incontrava nel suo lavoro?

“E' sempre stato correttissimo con i colleghi, lo possono testimoniare tutti. Quando il Napoli era in serie B non accadeva mai nulla di importante, a volte era stesso lui a chiamarli per comunicare loro qualche notizia. Gestiva i rapporti tra società e stampa, tra i calciatori, presi singolarmente, e la stampa. All'epoca i giocatori erano liberi di andare nelle varie trasmissioni delle tv locali, lui ovviamente li seguiva ovunque. Magari oggi avrebbe meno problemi: sarebbe impensabile una cosa del genere”

Napoli è sempre stata una città particolare, un ambiente dove non è facile gestire le pressioni.

“Mio padre cita sempre l'Udinese come giardino florido di talenti. A Napoli, una cosa simile, non è possibile: la continue sollecitazioni della piazza non permettono di poter crescere i giovani ed aspettare che diventino campioni. E lui era bravissimo a capire al volo l'umore della città: da Ufficio Stampa del Napoli, era quasi un dovere farlo. E proprio per questo forse è una delle persone più rispettate, anche da quella parte della tifoseria più intransigente. Ti racconto un altro episodio. Si recò ad una festa, insieme a mia madre e ad alcuni amici. Ad un certo punto si persero, con l'auto, nei meandri della Sanità: decise allora di scendere per chiedere informazioni, poi risalì in auto, ma dopo cento metri alcuni motorini li fermarono per rapinarli. Papà consegnò subito il prortafogli, salvo poi chiederne la restituzione per poter riavere i documenti. Uno dei ladri si girò verso l'altro, e disse: 'daglielo, quello è l'amico di Maradona'. Insomma, grazie al rapporto di amicizia che aveva saputo instaurare con Diego, riuscì ad avere quei documenti”

Come nacque questa forte amicizia con Maradona?

“Ha avuto dei problemi a gestire un personaggio come lui, su questo non ci sono dubbi. Ma Diego si fidava di lui ciecamente: lo chiamava “il saggio”: era uno dei pochi che ascoltava veramente. E' riuscito a nascondere il suo problema per anni. Quando Maradona non era in condizione di parlare, oppure non ne aveva voglia, mio padre usciva dagli spogliatoi del centro Paradiso, sulla “rampa dei passi perduti”, come la chiamava lui, e diceva ai gionalisti presenti: “Diego vi ringrazia, ma preferisce non parlare” ”

Tu cosa ricordi di quegli anni?

“L'immenso affetto di Diego nei confronti di mio padre e della sua famiglia. E' venuto spesso alle mie feste, insieme agli altri calciatori; ci teneva molto affinchè il Napoli fosse come un'unica famiglia: questo era il segreto alla base di tutte quelle vittorie. E mi fanno arrabbiare quelli che dicono che Maradona va preso ad esempio come calciatore e non come uomo: non è vero. Diego faceva tanta beneficenza, senza mai ostentarla. Amava i bambini, di qualsiasi cosa ci fosse bisogno, lui c'era. Il suo problema era esclusivamente personale. E si è sempre battuto affinchè i ragazzi stessero lontano dalla droga. Anche i suoi comportamenti, che possono sembrare eccessivi (come ad esempio le scenate e quant'altro contro i giornalisti), vanno analizzate e comprese: non può muovere un dito senza che il suo gesto venga ampificato al massimo. Ma a Napoli ha sempre fatto il suo dovere, ha onorato la maglia fino all'ultimo secondo in cui l'ha indossata: Diego, prima ancora che un calciatore, è stato il più grande tifoso del Napoli”

Hai mai sofferto il fatto di non poter avere una vita “normale”?

“Mai. Mio padre mi ha regalato un'infanzia e un'adolescenza da principessa. Non mi è mai pesato passare intere domeniche allo stadio, e non a casa magari davanti ad un piatto di ragù. Ho sempre avuto molti amici e poche amiche, non parlavo di bambole prima e di moda poi, ma sempre di calcio: di certo la mia infanzia e la mia adolescenza sono state “anomale”. Ma bellissime”

Tuo padre ha attraversato in maniera trasversale la storia del Napoli. Si può dire, forse anche un po' banalmente, che il periodo più bello è stato quello dell'epopea di Maradona?

“Si può. Era davvero come vivere in una favola, io facevo fatica a tenere aperti gli occhi. Le vittorie in campo, come ho detto prima, erano solo la punta di un iceberg: quel Napoli era un blocco granitico. Diego ci invitava alle sue feste, veniva alle nostre. E lo faceva proprio per creare un legame tra tutti i calciatori anche fuori dal campo. Forse questo manca un po' al Napoli di oggi. Un po' di sano romanticismo. E una cosa che può sembrare superflua, ma che invece non lo è: una sede istituzionale nel centro della città. Oggi il Napoli “vive” fuori da Napoli, e non è giusto. Prima i calciatori vivevano la quotidianità della città, riuscivano a carpirne la realtà. Oggi non credo sia così”

Eppure, in quegli anni costellati da tante gioie, ci fu un momento non semplice: 1988, il Napoli perde con il Milan al San Paolo e manca il bis dello scudetto conquistato l'anno prima.

“Fu un momento molto difficile, pieno di tensioni. Alcuni azzurri, capeggiati da Bagni, emisero un comunicato contro Bianchi. C'erano stati degli screzi anche nei mesi precedenti, ma tutto era rientrato. Poi la sconfitta con il Milan acuì alcuni problemi, non fu semplice per mio padre gestire la vicenda. Ma il Napoli all'epoca era una società forte, i dissidenti furono allontanati e Bianchi fu confermato: l'anno successivo arrivò la vittoria della Coppa Uefa”

“Per l'anima mia” è una delle espressioni più famose di Carlo Iuliano. Come gli venne fuori la prima volta?

“L'ha sempre detto. Ha questo modo di parlare, che proviene un po' dalla cultura di Totò. Anche quando vuole prendere in giro qualcuno, lo fa con un'aria un po' canzonatoria. Un'altra frase che ripete molto spesso è “Volete così”. Credo l'abbia scimmiottata dalla “Banda degli onesti”, guarda caso uno dei film più belli di Totò”

Perchè il suo legame con il Napoli era così grande?

“Ha una passione viscerale. Ti racconto un altro frammento di vita azzurra: in ritiro era lui a gestire la squadra. Quando arrivarono a Predazzo, disse ad uno dei dirigenti dell'epoca, Filippo Fusco: “Ora dobbiamo cercare la lavanderia, è la cosa più importante del ritiro. E dobbiamo cercare quella che ci fa il prezzo migliore!”. Proprio come farebbe un padre di famiglia: non voleva che il Napoli sperperasse soldi. Per questo dico che era molto più di un Ufficio Stampa. Nel Napoli faceva quasi tutto lui”

Come era Carlo Iuliano lontano dal calcio?

“Esattamente come si palesava in pubblico. Nel 1998 mi portò a vedere al San Paolo il concerto di Eros Ramazzotti, da sempre il mio cantante preferito. Scendemmo nel ventre dello stadio per incotrarlo, papà si rivolse a lui così: “Ah tu sei Eros quindi...Si, hai scritto quella canzone, me la ricordo...come si chiama, aspetta... Terra promessa, giusto? Beh, non male”. Eros si mise a ridere, io volevo morire in quel momento. Tra l'altro mio padre è un grande conoscitore di musica, e tra le varie cose mi ha trasmesso anche questa passione. Ama Aretha Franklin, Gianni Morandi, di cui conosce una canzone che pochi ricordano: “Se perdo anche te”, rifatta da “Solitary man” di Neil Diamond. Ma non ha un genere preferito: gli piacciono ad esempio i Petshop Boys e la loro “Go west”, che ora viene suonata al San Paolo prima delle partite. Dice: hanno una voce bella, ma “pastosa”. Un termine che dà bene l'idea: se dicessimo “piena”, non renderebbe. Ha comprato il primo lp di Vasco Rossi, quando nessuno lo conosceva, e disse: “questo ragazzo farà strada”

Ce ne saranno stati tanti, ma quale è l'insegnamento più grande che hai ricevuto da tuo padre?

“La concretezza nella vita, e il rispetto. Per le persone, per i ruoli, per i sentimenti”

Se lo dovessi definire con una sola parola?

“Speciale, ma sarebbe banale. Allora dico che mio padre è un santo: non ha mai provato il sentimento dell'odio, non ha mai conosciuto il rancore. Eppure ha ricevuto tante pugnalate alle spalle, ma ha sempre perdonato chi gli ha fatto del male. E io lo ammiro proprio per questo: quando sono con lui, mi emoziono. Ogni momento trascorso insieme è per me una ricchezza”

Ai suoi funerali hai detto: “E' stato un onore essere la figlia di Carlo Iuliano”. Oggi chi è Raffaella?

“Il mio migliore amico una volta mi disse che avrei dovuto iniziare a firmarmi così: lfdci. La figlia di Carlo Iuliano. Io sono questo. Amo come sono fatta, perchè sono una sua proiezione: non so dire dove finisce lui ed inizio io. Avrei voluto solo avere un altro po' di tempo da passare insieme”

Una lacrima riga il viso di Raffaella. Viene alla memoria Herman Hesse: “Le lacrime sono lo sciogliersi del ghiaccio dell'anima. E a chi piange, tutti gli angeli sono vicini”. Uno di sicuro, per Raffaella.

 

L'immagine dell'intervista è a cura dell'illustratore Giuseppe Pepe Barca. (Clicca qui per visitare la pagina di Facebook)