Da 0 a 10: il devastato Bergomi, Ranieri umilia i suoi tifosi razzisti, lo choc post gara di Gattuso e Milik come Mario Brega

Da 0 a 10: il devastato Bergomi, Ranieri umilia i suoi tifosi razzisti, lo choc post gara di Gattuso e Milik come Mario BregaTuttoNapoli.net
© foto di Matteo Gribaudi/Image Sport
martedì 4 febbraio 2020, 12:25Zoom
di Arturo Minervini
Napoli vince a Genova con le reti di Milik, Elmas, Demme e Mertens: inutili le reti degli ex Gabbiadini e Quagliarella

(di Arturo Minervini) - Zero pesi. C’è una leggerezza quasi inconsapevole, una libertà del pensiero e della gamba rivendicata con la gioia dipinta sul volto, nei movimenti, nella plasticità di gambe che ritrovano nel terreno le risposte tanto attese. Oracolo, quel tavolo verde, che torna ad essere l’unico da ascoltare dopo mesi di chiacchiere e di distrazioni di massa che gli avevano tolto centralità. L’universo nuovamente con le cose messe al posto giusto, come la mozzarella sulla pizza  e l’ananas in frigorifero e non il contrario. Sugli spalti, regna invece l'assurdo, che è ormai norma. Le scuse di Ranieri ai napoletani per i cori razzisti l'epilogo più signorile all'ennesima serata della vergogna.

Uno il primo gol in serie A di Eljif Elmas retrocesso, non si sa bene il motivo, a ‘Diamante Grezzo’ da un Caressa da mettere in mute come la sveglia che suona per sbaglio la domenica mattina. Per il classe ’99 è una notte dalle emozioni intense, crude, vere che si stampano sulla faccia come acqua gelida o lacrime caldissime. Proprio come quelle di questo Diamante. Che non ha bisogno e non reclama nessun aggettivo. Gli occhi di Elmas sono i nostri occhi…

Due in cronaca di ordinaria follia. Detto di Caressa, al suo fianco un Bergomi epico. Scopre con stupore (dopo anni) la regola sul Var che fa annullare il gol di Gabbiadini, soffre sul rigore non assegnato alla Samp, poi concesso col Var. Sulla rete di Demme, poi, il crollo emotivo. Un pugile suonato che rischia il crollo. Anestesia dialettica che lo coglie come un malore al gol di Demme, un silenzio che si prolunga nell’etere come una scelta faziosa che si impone a chi vorrebbe ascoltare un commento ed invece riesce a percepire uno strenuo lamento. Consigliamo bibita con ricco contributo glicemico per riprendersi.

Tre vittorie di fila. Lo avete sentito? Il rumore delle catene che si rompono. Lazio, Juventus e Samp battete con tre prestazioni diverse, che rendono ancor più pregevole l’impresa. Perché il Napoli si è riscopre capace di avere più facce di Jim Carrey in The Mask, ma con una coerenza d’intenti rinnovata ed una profondità che non è solo teoria, ma anche pratica. Perché dalla panchina esce gente come Mertens e Politano, perché restano fuori Koulibaly, Allan e Fabiàn. Ti viene un graffio al cuore, ma anche un pizzico di rabbia per la forza incredibile di questa squadra dispersa per troppo tempo. 

Quattro alle esultanze rabbiose di Gabbiadini, solitamente esposto al mercato con Lino Banfi che deve dargli le scosse elettriche per farlo sembrare vivo. Quanto livore contro una squadra che lo ha aspettato, anche oltre i propri meriti. Che lo ha sempre trattato con rispetto e ne ha salutato i gol lontano da Napoli con affetto. Apatia perenne, smossa solo da un rancore immotivato. 

Cinque reti in campionato per Dries che giunge a 119 in azzurro. Rabdomante del gol, che ormai lo cerca più di quanto lo cerchi lui. Un rapporto simbiotico esploso in tarda età, un dono che dovrà essere sfruttato per questa pazza rimonta. Con un Callejon in tono minore, Gattuso dovrà valutare anche la possibilità di varare un Napoli più offensivo, perché tenere fuori Mertens resta un lusso che questa squadra non può concedersi. In questa storia che pare avere un finale psicopatico, in stile ‘Io e Annie’, c’è ancora amore che si staglia sullo sfondo. “Come diceva Balzac: altra materia da romanzo”. E allora diamo una penna tra le mani di Ciro e lasciamolo scrivere…

Sei e mezzo alla prima da titolare di Lobotka. Si piazza in mezzo al campo, come un picchetto di un campeggiatore Tedesco in vacanza ad Alassio e da lì proprio non lo sposti. Piazza la sua tenda in mediana e diventa punto di ritrovo per tutti i compagni, passaggio obbligato che non frena ma anzi rafforza la manovra azzurra. Perde qualche riferimento nel finale del primo tempo, ma la sensazione è che possa ben presto diventare un riferimento importante per Gattuso.

Sette all’eroico James Cole. Isolato, con il suo virus, messo in quarantena prima del match, il nostro Eroe (che chiameremo Diego Demme) torna indietro nel tempo come il protagonista dell’Esercito delle Dodici scimmie e riscrive un finale che sembrava raccontare ancora sofferenza. Nelle due gare giocate dal Napoli ci si infila lui e conferisce epica tragicità al lieto fine. Diego! Diego! Diego! Vengono i brividi solo a ripensarci: esultare usando quel nome che è sacralità assoluta, icona di una Napoli che non vuole mollare. È una squadra tornata squadra, tautologia che racconta in realtà molto più di quanto sembra fare. Il simbolo, o meglio il collante di un giocattolo che non faceva divertire più, è proprio lui. Si chiama Diego, non segnava mai praticamente in carriera. Poi arriva a Genova e ci regala una notte da sogno. Sembra di vederlo mentre si gode quei momenti: “Adoro respirare quest’aria” chiosa. Da Marassi è tutto. A voi passato o futuro. Fate un po’ voi.

Otto gol in campionato per Arkadio. Quello che si trascina un peccato originale mai ben compreso, una colpa che cerca di cancellare con i gol ma che gli viene rinfacciata alla prima gara senza gol. Attaccante moderno Milik, che segna un gol di una bellezza difficile da cogliere al primo sguardo. È una bellezza che ti colpisce frammentata nel tempo, come entrare a Sainte-Chapelle e lasciarsi investire dai raggi del sole scomposti in mille colori dalle vetrate. Un variopinto che definisce alla perfezione il tipo di attaccante che Milik rappresenta: un Mario Brega che sa colpire con la potenza e con la delicatezza: “Sta testa po esse fero e po esse piuma: oggi è stata ‘na piuma”. Polvere di leggerezza e sportellate nella grande prova del polacco a Genova. 

Nove punti dalla zona Champions. Orizzonte ancora lontano, che si rimpicciolisce ancora di più se ti avvicini. Crederci, però, non è illusione, ma necessità per alimentare un motore da fuori serie. A questo gruppo non puoi pensare di dargli in pasto le briciole, questi ragazzi devono assaporare il sapore dell’impresa storica per tornare ad avere fame. Accontentarsi può anche farti godere ogni tanto, ma molto spesso non ti permette di crescere. E allora costruiamolo nella testa questo castello, immaginiamo che possa diventare reale. Teniamolo insieme con la passione, il desiderio di ritrovarsi. Un mattone alla volta, per un monolocale che può diventare magari una reggia. Basta crederci, serve tornare a sentirsi popolo unito, ‘Patria’ pronta alla rivoluzione. ‘Una cicatrice rimarrà sempre. Però una cicatrice è già una forma di cura’. 

Dieci al mister per lo choc post gara dovuto al malore di sua sorella. Dieci ai suoi errori, alla sue intuizioni giuste. Al suo essere debole e forte, vulnerabile, maledettamente umano. Con la faccia che racconta fatica, in una Genova con “la paura che ci fa quel mare scuro, e che si muove anche di notte. Non sta fermo mai”. Rino quella sensazione la conosce bene, sta provando a curarla da mesi l’inquietudine tipica del mare mosso, dei marinai avvolti dall’incertezza e da una terraferma che resta un miraggio. Col cuore trèmulo come la Carne di Almodovar, con pulsazioni che adesso fanno rumore ed un battito che è tornato a suonare la musica giusta. Può cominciare un viaggio esaltante. Si salpa, da Genova. Per noi un nuovo punto di partenza.