Da 0 a 10: lo scandalo dell'ultima punizione, 144 gol marciti in panchina, la bugia di Spalletti e la pugnalata di Mario Rui

Zero parate di Ospina. ZERO. Un palo. Due miracoli di Handanovic. Un gol subito su una doppia carambola. Nella ripresa possesso abbastanza sterile dell’Inter. Pe il Napoli 11 tiri in area di rigore contro i 6 dei nerazzurri. Eppure si leggono commenti che sembrano la cronaca di una disfatta. La colpa è di chi aveva raccontato questa sfida come una passeggiata. Gente che fa solo male a questa squadra. Troppo curling in settimana…
Uno il punto raccolto in due gare con l’Inter. Tra il Napoli ed il primo posto in questa stagione ci si è messo Handanovic, l’uomo più massacrato in casa Inter. I miracoli nel finale di San Siro e le grandi parate su Osimhen ed Elmas al Maradona sono il fattore che segna la differenza in classifica. Come nel 2018, c’è sempre Samir tra il Napoli e lo scudetto (disastroso nella notte degli orrori di Inter-Juve). Handanovic toglie, Handanovic si toglie: è una maledizione.
Due tempi, bastava invertirli e sarebbe mutata la percezione. Restano negli occhi i minuti finali, quella punizione da 50 metri che per qualcuno sta diventando un gol sbagliato a porta vuota. Ridurre tutto all’esitazione di Ounas è figlio dei tempi moderni, di chi vuole riassumere la Divina Commedia in una frase da inserire in un cioccolatino. Ma, di preciso, cosa vi aspettavate da quella punizione? Fate un passo indietro, riavvolgete il nastro. Il Napoli nel primo tempo ha dominato, ha provato più volte a staccare l’Inter. Si alzato sui pedali a ripetizione, come uno scalatore che vuole liberarsi del leader della corsa. Ha espresso in quel momento il massimo sforzo, poi quella maledetta carambola ad inizio ripresa gli ha tagliato le gambe. Ha però avuto la lucidità di non lasciarsi andare.
Tre cambi, quelli proprio non sono piaciuti. Perchè Spalletti l’aveva promesso: non cambiamo la nostra identità. E allora perché mettersi con la difesa a tre? Luciano aveva esaltato Mario Rui alla vigilia, ma non ci sarebbe stato niente di male a toglierlo (in netta difficoltà su Dumfries) e piazzare lì Juan Jusus senza stravolgere l’assetto tattico. Fedele al suo ‘Professore’ in stile Alfredo Canale: “Dicitancéllo ô Prufessore: io nun l'aggio tradito!”. Se punti su una filosofia, quella filosofia ti deve accompagnare fino alla tomba. Chiedere a Socrate.
Quattro agli spericolati, che camminano sul filo sottile del ridicolo. Non è coraggio, ma macchie sulla coscienza. C’è qualcuno che ha avuto l’ardire di mettere in discussione il rigore assegnato al Napoli, usando la potente arma del dubbio, seme sempre pronto a essere fertilizzato dai boccaloni del web. Rigore sacrosanto. La vera oscenità è il mancato giallo a De Vrij, che ha tirato mazzata a Osimhen per tutto il primo tempo. Cartellino introvabile, praticamente come il quarto per giocare a Padel la domenica mattina.
Cinque minuti. Mertens non è una questione da liquidare in cinque minuti. Per la strada che aveva preso la gara, col Napoli che aveva ormai affidato alle speranze di una giocata del singolo la possibilità di vittoria, uno come Ciro è quello che ti serve: una sua visione, un lampo nella notte, un tiro da trenta metri come a San Siro. È come fare una serata al casinò e dimenticare nella tasca dei pantaloni l’ultima fiche da giocare alla ruolette. E il numero di Dries è già uscito 144 volte in maglia azzurra. La storia è ripetitiva e va rispettata.
Sei rigori, calciando un pallone che pesa quanto la testa di un Moai, le gigantesche statue dell’isola di Pasqua. Insigne coglie l’occasione dal dischetto, che continua a essere l’unica fonte dei suoi gol in campionato, e offre una prestazione di sostanza. Mette le mani nello sporco della gara, comprende che dalla sua parte c’è un Mario Rui in difficoltà e offre un sostegno necessario. Si infila nelle pieghe del match, annusa qua e là qualche occasione potenziale come nella brillante palla che per un soffio non porta Elmas al colpo grosso. Bene Lorenzo.
Sette minuti, il gol del vantaggio, la gara che prende la forma a te più congeniale. E giù, a dare mazzate. Caricando a testa bassa on quel forsennato di Osimhen e l’Inter proprio non riesce a uscire dal guscio, che litiga con la gara come Cannavacciuolo con le consonanti mentre Lobotka imprime al match il ritmo che più gli aggrada. Ci capiscono davvero poco i nerazzurri, ma in questi equilibri delicati basta cambiare un elemento per perdere la chimica. Politano dava ampiezza al Napoli, boccate d’ossigeno che vengono a mancare dopo l’infortunio al polpaccio. Elmas a destra è pesce fuor d’acqua e quel respiro è venuto a mancare.
Otto alla solidità difensiva. Il Napoli concede al miglior attacco del campionato solo briciole, avanzi di cibo ritrovato per caso ai bordi della partita. Lautaro annullato, Barella spento, Calhanoglu non pervenuto. “Siamo spariti nella ripresa” obiettano in molti, dimenticando che se sparisci contro una squadra come l’Inter prendi più botte di Napoleone a Waterloo.
Nove ad una saggezza che in passato avrebbe fatto molto comodo. Nel finale di gara l’Inter ne ha di più, ma il Napoli non sporca il foglio. Il rimpianto è un sentimento che deve essere legato alle proprie possibilità. Tutti alle Olimpiadi di salto in alto vorrebbero saltare 2,50 al primo tentativo, ma nessuno può farlo. Il Napoli ha giocato alla pari con un avversario più forte. Se avesse avuto questa lungimiranza contro Spezia e Empoli, staremmo parlando di una squadra da primato.
Dieci all’attesa del piacere. Ai brividi che ci hanno accompagnato prima e durante questa gara. Al Maradona con i tifosi, alla notte insonne giocando nella testa mille volte la stessa partita. A tutti noi serviva una gara così, anche se il finale non è stato come lo avevamo sognato. Bisogna però riconoscere a Spalletti un grande merito: aver ricucito uno strappo profondo quanto la fossa delle Marianne dopo il famigerato Napoli-Verona. Luciano ha indossato i panni del parafulmine, recitando il suo ruolo alla perfezione. È un Napoli più leggero, che il tecnico vorrebbe ancor più spensierato nell’esprimere lo sconfinato potenziale. Ed ha ragione.
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