Da Zero a Dieci: le Carogne di Udine, i bugiardi della moviola, il caso Grassi che esplode inutilmente e Sarri che celebra la messa di Rafa

(di Arturo Minervini) - Zero alla gestione differenziata (un po' come la spazzatura, la puzza è la stessa) di episodi simili da parte della stampa. Immaginate cosa sarebbe accaduto, quanto risalto avrebbe avuto la notizia sulle prime pagine, se la scena finale di Udinese-Roma avesse coinvolto i tifosi del Napoli. Quante carogne sarebbero spuntate in mezzo a quella curva che minacciava i suoi calciatori. Quanti mostri da copertina avrebbero fagocitato l’attenzione dei media se avessero indossato sciarpe azzurre. In molti, perché ad Udine queste cose non possono accadere, si sono quasi sentiti in dovere di minimizzare la questione figli di quel pregiudizio che è più difficile da spezzare di un atomo. Esistono carogne di serie A e carogne di serie B.
Uno il punto in più rispetto al campionato precedente. Risultato discreto a fine anno, figuriamoci quando mancano ancora nove gare da giocare. Don Maurizio celebra la messa dal suo altare, con l’ultima messa dedicata a chi ancora rimpiangeva il buon Rafa, che ormai salta da una panchina all’altra che nemmeno Montesano nella pubblicità dell’olio cuore. Traguardo straordinario quello raggiunto da Sarri, che accende i riflettori sul lavoro di Maurizio e spegne, in maniera definitiva, gli animi dei nostalgici, appassionati più all’uomo Benitez che ai risultati sul terreno di gioco. Senza rancore.
Due gare senza vittoria in trasferta. Dopo Torino e Firenze, gli azzurri ritrovano il piacere della pirateria, ma il segno 2 è soltanto un retaggio nostalgico legato al Totocalcio. Si gioca al Barbera, ma il Napoli se ne infischia francamente come Clark Gable in “Via col vento”. E’ un dominio assoluto quello azzurro, che toglie il fiato più di un allergico ai detergenti in bus affollato. Il risultato è lo stesso: l’avversario rischia lo svenimento per carenza d’ossigeno.
Tre rigori, non uno. Le immagini televisive evidenziano le molteplici trattenute dei giocatori del Palermo sul rigore concesso al Napoli. Qualcuno, però, prova ad insinuare il dubbio usando la strategia velata del “non è nettissimo”. Avete mai provato a guardare alle diverse prospettive che riesce a dare la stampa? Focalizzando l’attenzione su alcuni particolari, tralasciandone altri? Ecco. Se si sbaglia contro il Napoli si preferisce parlare di calcio. Se c’è qualche sospetto, si parla solo dell’arbitro. La storia ricorda un memorabile Proietti, nella barzelletta dell’Avvocato (gli intenditori capiranno di cosa stiamo parlando).
Quattro alla sufficienza di Insigne al minuto 55. Le grandi imprese sono fatte di cura, attenzione, precisione e sangue freddo. Lorenzo, davanti a Sorrentino, avrebbe avuto il tempo di sorseggiare una granita siciliana, telefonare ai parenti, controllare l’ora per poi depositare comodamente in rete. Fare la scelta giusta, stoppare un pallone invece di tirare al volo in maniera sbilenca, può fare tutta la differenza di questo mondo. Sono le scelte giuste a determinare i grandi successi. E’ la lucidità a spazzare via le nuvole.
Cinque punti di vantaggio sulla Roma, dieci sulla Fiorentina. Il Napoli è obbligato a guardare davanti, non ha alternative. Lo dice la classifica, lo dice soprattutto il gioco espresso. Un gioco che ha permesso agli azzurri di arrivare ad avere dieci punti di vantaggio sulla quarta in classifica e mettendo più di un’ipoteca per la partecipazione alla prossima Champions League. Non dimenticare mai chi sei, da dove sei partito, quali erano le premesse e le aspettative. Lottare con la Juve è un sogno, ma la realtà fantastica è lì davanti agli occhi. Tutta da toccare, da annusare, da vivere. La differenza è solo in un tiro deviato a tempo praticamente scaduto. Sarebbe il secondo posto meno secondo posto della storia. Gioite, non gufate.
Sei gare subendo almeno un gol, prima di Palermo. Il Napoli ritrova la sua castità perduta, concedendo le briciole ai rosanero. Serve una grand parata su Vazquez di Reina per blindare la porta, nell’unica occasione dei padroni di casa. Sintomo che se abbassare la guardia non è concesso, soprattutto a chi pare sempre dover lottare con il fato avverso. E’ la storia maledetta di Partenope, bella e dannata. Vorace e sfortunata. Anche con il vento contrario, il Napoli tiene botta. E blinda nuovamente la sua porta.
Sette alla carica di Sarri dopo la rete di Higuain. Indemoniato, come Meg Ryan in “Harry ti presento Sally”, il tecnico urla a ripetizione “Ancora! Ancora! Ancora!”. Nessuna scena vietata ai minori, solo la filosofia di un tecnico che cerca di iniettare il suo dna nelle vene della sua squadra. Una squadra tanto bella che genera invidia, dicerie, cacciatori di inutili scoop. Alberto Grassi finisce in tribuna per scelta tecnica a Palermo e diventa subito un caso nazionale. Sono gli stessi che direbbero che i giovani vanno tutelati, non vanno lanciati allo sbaraglio. Napoletani, sveglia: “Non cʼè trappola più mortale di quella che prepariamo con le nostre stesse mani”. Quando lo capiremo?
Otto le vittorie fuori casa, tutte a petto in fuori. C’è qualcosa di grande in questa squadra, nel suo piglio, nella sua capacità di piacersi e piacere. Guardare il Napoli è un piacere ritrovato, una costellazione che disegna un panorama fantastico. Alzi gli occhi al cielo e ti viene da sorridere guardando gli astri che si incastrano nello scacchiere del fabbricante di stelle. Una spolverata di magia, un pizzico di sofferenza, un velato narcisismo che è inevitabile per chi è così bello. Avanti un altro.
Nove è già occupato. Potremmo dirlo in coro: Gonzalo Higuain. Fate 27 pepite raccolte nelle acque gelide del campionato. Procacciatore d’oro come pochi, trova sempre il tesoro anche tra le macerie. Ti prende la testa tra le mani, mentre sei seduto nel tuo angolo e pensi ad una Juve che vince ancora, e ti da la forza per continuare a sperare. E’ Christian Bale in “The Fighter” che ti sussurra: “Questo è il tuo momento, va bene? prenditelo. Io l'ho avuto e l'ho bruciato, non devi fare lo stesso, chiaro? Ora vai al centro prendi tutta la merda che hai ingoiato, tutta la merda che ci siamo beccati in questi anni del caxxo e scaricala sul quel ring, adesso! È tuo, è tutto tuo, caxxo. Testa corpo testa corpo, caxxo”. Se ci crede lui, come non possiamo crederci noi se uno così è dalla nostra parte?
Dieci all’incantesimo napoletano. Parlava strano, diceva di preferire il panettone alla pastiera, rifiutava un ragù cucinato dopo ore di amorevole preparazione. Jorginho era diventato la pecora nera, il tradimento delle aspettative. Ora è il cuore pulsante di questo Napoli, la materia grigia che inonda le sinapsi di questa squadra. Vive sempre con un secondo di anticipo, alleggerisce come una carezza di un padre negli affanni. Rende ordinario lo straordinario, per sua sfortuna, prendendo meno lodi di quante ne meriterebbe. Signori e signori, celebrate il nuovo Incantesimo napoletano. Mezzo brasiliano. Che fusione fantastica di colori e sensazioni.
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