Lettera del tifoso, Domenico: "Il rozzo campione dal cuore emotivo e un talento incontrollabile"
Un anno difficile. Gli annebbianti errori all'Anfield da prima punta, quelli da seconda a El Madrigal, uno malsano dal dischetto in Coppa Italia in una notte dove abbiamo comunque vinto e una glicoproteina neutra glucosoaminofosfatata sul collo di Rosi, sono solo parte della storia di un immenso campionato color bronzo. Eppure è lui il vero re di Napoli. Il Pocho è un ragazzo emotivo, nei momenti determinanti trema, soffre e china il capo, modificando la posizione del corpo in modo del tutto innaturale. Gli mancano finalizzazioni scolastiche di una scuola che si comincia in tenera età, quando lui soffriva d'altro. Ma forse questo lo trasforma in un talento incomprensibile. Ricordo l'esplosione ad Udine qualche anno fa dopo lo scetticismo di un'intera città, fino al goal al Milan, un colpo di genio per nulla casuale.
Ezequiel Ivan Lavezzi è uno dei pochi giocatori al mondo che supera il primo avversario stoppando il pallone, non può essere un problema di elevatura tecnica il suo carente numero di reti è solo una questione divisa tra testa e coordinazione. L'anno prossimo la storia cambierà, una linea di qualità svizzera non è più alibi d'errori di impostazione che condizionavano i suoi movimenti portandolo ad arretrare, oggi è tutto nelle sue mani.
Il suo è un talento incontrollabile, come un ragazzino che assorbe una lingua, come un domatore di leoni al circo, come un folle che sfreccia in piena notte, su di un motorino guidato dal buon Nicolas.
Osservarlo in Coppa America circondato da ingaggi tumultuosi, rispetto al suo, non mi fa preoccupare. Lui è un diavolo timido, un codardo indisponente; lui è l'anima di questa città e il limite, concettualizzato da pubblico e
giornalisti, di questa squadra; lui è colui che certamente non è sostituibile, ma che avverte la sensazione di poter esplodere definitivamente e poter fuggire via.
Come se fosse una gamba del Kun, l'imprevedibilità di Lionel, la forza del Carlitos e unico paradosso del calcio moderno è che ha il peggio di questi tre. Una definitiva consacrazione passa sia dalla fase realizzativa che dall'autorità nel decidere di battere i calci piazzati.
Il campo ci risponderà e un tatuaggio a forma di scudetto, tra un Diego e una pistola, sarà sogno della tribù napoletana, che disegnerà rumori e cori che nemmeno Desmond ha saputo immaginare.
Sono certo che tutto passi dalle grandi competizioni, così come un discreto giocatore del Palermo col vizio dell'errore sotto porta, divenne consacrazione in Sud Africa; così un giocatore del Napoli diverrà sicuro di se nella sua terra Argentina. Un solo goal per acquistare il fiuto del Principe, perchè non manca che fiuto, coordinazione e sereno controllo della sua emotività. "Regina Margherita" e venerande notti alcoliche indigeste permettendo.
Domenico Serra
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