Da 0 a 10: Insigne furioso nello spogliatoio, il tentativo disperato di Carlo, i tre cervelli che distruggono la squadra ed i proclami frantumati

Ancelotti attacca i calciatori, Insigne e Mertens sbagliano troppo: Napoli ancora lontanissimo dalla Zona Champions. Tifosi chiedono dimissioni del tecnico
02.12.2019 12:45 di Arturo Minervini Twitter:    vedi letture
Da 0 a 10: Insigne furioso nello spogliatoio, il tentativo disperato di Carlo, i tre cervelli che distruggono la squadra ed i proclami frantumati
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(di Arturo Minervini) - Zero coerenza. E la coerenza è l’ultimo baluardo di un uomo, lo scoglio che determina che persona sei nel mondo dominato da chi si lascia orientare dalle onde e dal vento come bandiere. Il Napoli di Champions lotta, è attento, affamato, altruista. Quello in campionato è l’esatto inverso, una discrepanza emotiva ed intellettuale che non può e non deve restare impunita. Si può essere tante cose nel mondo, ma una base deve rimanere immutata.  “Il vantaggio di essere intelligente è che si può sempre fare l'imbecille, mentre il contrario è del tutto impossibile”. Questo Napoli sta fingendo troppo bene di esserlo, al punto quasi da riuscire a convincerci…

Uno il gol segnato. Poco, ancora troppo poco per le occasioni create. Sono 30 le conclusioni in porta, appena 6 nello specchio. La verità, almeno una parte, se ne sta rannicchiata in questi numeri osceni, che raccontano di un black-out produttivo che farebbe sentire uno stallone anche il protagonista di 40 anni vergine. Fanno continuamente cilecca gli attaccanti del Napoli, in preda ad una sindrome che non è certo novità, ma che col tempo ha raggiunto uno stato degenerativo. Pochi spettatori al San Paolo, piccioni ancor meno: temono di essere oggetto di tiro al bersaglio, visto dove sono andate a finire alcune conclusioni degli azzurri. Insigne alza la voce nello spogliatoio, dovrebbe anche qualche volta abbassare la mira in campo, così come Mertens.

Due esclusioni consecutive per scelta tecnica per Callejon: una rivoluzione culturale. Come svegliarsi a 12 anni e veder spuntare un primo accenno di barba o scoprire a 30 anni che il panettone è molto meglio del pandoro. Cose che ti spiazzano, che fanno a cazzotti con il passato, con quello che eri, con quello che credevi di sapere. Una linea tracciata nel terreno, un passo verso una nuova era che segna in maniera più evidente di quanto si possa pensare la fine di un ciclo. Josè titolare è stata una delle poche certezze in questi anni capaci di ribaltare ogni usanza, come chi ha preparato il Presepe e/o l’Albero di Natale a metà novembre. Nulla sarà più come prima.

Tre centrocampisti ed il Napoli sembra funzionare anche benino. Eccola, la parola che fa più male: benino. Da mesi paghiamo una colpa di eccessiva tolleranza, un eccesso di giustificazionismo che nasce dal radioso passato di questo gruppo. In mezzo manca la luce, la scintilla ed a regnare è il caos che non trova risoluzione. Zielinski regista è il ciak numero 137 degli esperimenti di Ancelotti nel reparto, una scena orribile e da fare e rifare. Ancora e ancora. Un film brutto, il tentativo di far indossare a Piotr vesti che non sono le sue. Carlo appare un sarto che vuole vestire cucire vestiti addosso ai suoi modelli troppo stretti, al punto da portare alla pazzia come una camicia di forza. Nessuno può essere quello che non è.

Quattro alla supponenza del tutto inappropriata in relazione al momento. Fabiàn porta in dote una colpa originaria, il talento. Che è fonte di vantaggi ma allo stesso modo di responsabilità, ed il talento devi saperlo gestire, combinandolo all’ambizione. George Jung nel finale di Blow racconta come ‘la sua ambizione abbia superato di gran lunga il suo talento’. Ecco, Fabiàn non deve mai commettere l’errore che accada il contrario. Sirene e lusinghe devono essere esiliate quando si scendere in campo, uno che trascina quel talento certe gare non può più permettersele se vuole che il vento del destino lo porti in alto a danzare con le stelle.

Cinque alla poca lucidità di Koulibaly, alla generosità eccessiva che diventa controproducente. La smania quasi berlusconiana del presidente operaio, che finisce per creare disagi ai compagni come nell’anticipo ad Ospina che spiana la strada al gol di Skov Olsen. Un leader deve leggere le situazioni, capire quando e dove intervenire. Pensare di poter tappare ogni falla è la strada più immediata per il fallimento in una squadra. Da soli non si vince mai. Un nomadismo emotivo e tattico che quest’anno ha già macchiato diverse partite di Kalidou, vagabondo personaggio in cerca di quel Napoli di cui restano solo echi lontani, cacciatore di conchiglie che raccontano il mare come una bellezza ormai perduta. 

Sei al povero Di Lorenzo, alle prese con un lavaggio del cervello che nemmeno Alex di ‘Arancia Meccanica. Da destra a sinistra, dalla difesa al centrocampo, dal centro alle corsie senza passare dal via. Giovanni è incredibile perché riesce a trovare sempre l’orientamento, ma il suo caso è scolastico per raccontare l’eccentrica gestione del tutto. Al 52’ compie pure un miracoloso salvataggio, confermando di essere come ‘Il CuGGGino’ di Elio in una famosa canzone, capace di imprese eccezionali  del tipo "Mi ha detto mio cuggino che da bambino una volta è morto”. Eppure sarebbe così semplice mettere le cose al loro posto: tipo Meret in porta, sempre.

Sette giocate al San Paolo ed 11 punti raccolti, 9 quelli in trasferta nello stesso numero di gare. È un dato terrorizzante, perché c’è una mediocrità di fondo che non trova giustificazioni. In casa o fuori casa non esiste praticamente differenza, una scala a chiocciola narrativa che come quella costruita da Scorsese in Shutter Island fatta solo di ripetizioni. Una ruotine devastante per lo spettatore, per chi vorrebbe emozionarsi e si ritrova puntualmente dinanzi ad un piattume mai così degno di una domenica pomeriggio. A rendere il quadro desolante mancherebbe solo Barbara D’Urso in prima serata. Ah, c’è già?

Otto gare senza il sapore della vittoria. Senza addentarla, masticarla, darla in pasto al metabolismo per trasformarla in energia. Vincere aiuta a vincere, perdere segue la stessa regola. Un cane che si morde la coda, un Cerbero con tre teste questo Napoli ognuna con le proprie idee, le proprie debolezze, i propri vizi e le proprie contraddizioni. Eccolo il Cerbero che attende tutti alle porte dell’inferno “Qual è quel cane ch’abbaiando agogna, e si racqueta poi che ’l pasto morde, ché solo a divorarlo intende e pugna”. L’unità di intenti narrata da Ancelotti viene fatta a brandelli dai fatti, dai morsi che da più parti lasciano ferite in questo animale dominato da tre cervelli e nemmeno un cuore

Nove giorni, dal Bologna al Genk a caccia di un’isola che sembra non esserci. La sindrome da Peter Pan che affligge il Napoli potrebbe avere effetti ancor più disastrosi senza provvedimenti seri, netti e decisi. In questo momento la squadra è timorosa, come prima di entrare in acqua in piena estate. Sai bene che appena entrerai starai meglio, ma quello che ti spaventa è il cambiamento. Il mutamento di stato. Una paura che attanaglia il Napoli da troppo tempo, che ha trascinato il ricordo della sua bellezza fino a consumarlo, evaporato come una fiamma che entra in contatto con l’acqua. 

Dieci punti di distacco dalla Lazio (terza) dieci di vantaggio sul Genoa (terz’ultimo). La portata del disastro in questa forbice che fa a brandelli le aspettative del Napoli, cespuglio da potare affidato alla maestria di Edward ‘Mani di Forbice’. Librano nell’aria sogni, aspettative, promesse, proclami, fionde, bambole, elicotteri e tutta la baraonda di Dimaro. Parole che adesso segnano un distacco inevitabile, una delusione crescente nell’animo del tifoso. Un blocco emotivo e fisico, un impedimento simili proprio a quello di Edward nella scena memorabile: "Stringimi"… "Non posso". Una distanza acuita anche dalle ultime dichiarazioni di Ancelotti contro la squadra. Maledetto freddo calato su questo Napoli. Qualcuno dia luce. Qualcuno dia calore. In qualsiasi modo possibile, con qualsiasi provvedimento possibile. QUALSIASI.