Guido Clemente di San Luca a TN - "Ammonizione di Osimhen illegittima, quante corbellerie su questo episodio!"

Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo all'Università della Campania Luigi Vanvitelli, ha espresso per Tuttonapoli le sue considerazioni sul momento in casa Napoli.

24.03.2022 14:40 di  Arturo Minervini  Twitter:    vedi letture
Guido Clemente di San Luca a TN - "Ammonizione di Osimhen illegittima, quante corbellerie su questo episodio!"

Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo all'Università della Campania Luigi Vanvitelli, ha espresso per Tuttonapoli le sue considerazioni sul momento in casa Napoli.

"La strada per la conquista dello scudetto – come, purtroppo, da sempre – è resa ardua (almeno anche) da ostacoli che nulla hanno a che vedere con la competizione sportiva. A determinare la squadra vincente dovrebbe essere il suo rivelarsi migliore, più forte, esclusivamente sotto tre profili: atletico, tecnico-tattico, psicologico-caratteriale.

Chi sostiene che non si debba usare il condizionale, perché è così che accade, si ostina a non voler vedere ciò che si manifesta agli occhi di tutti, e che molti addetti ai lavori accettano di riconoscere a chiare lettere soltanto dietro le quinte, esplicitando che mai lo ripeterebbero in pubblico (per ragioni facilmente intuibili): s’avverte la presenza di un potere occulto che influisce in modo non insignificante sul regolare svolgimento del campionato.

In proposito preoccupa – e non poco – l’ignoranza che traspare in non pochi contributi di un locale foglio informatico (affetto da un certo qual provincialismo, conseguenza non inevitabile del circoscritto raggio geografico d’influenza). Appare del tutto evidente che ad esso sfuggano differenze concettuali fondamentali per l’intelligenza del fenomeno calcio, sulla quale pure ha puntato appieno per far fortuna, giocando ambiguamente sul desiderio, di una classe sociale (più che colta) acculturata, di dar sfogo al tifo, giustificabile soltanto se mondato dalle sue manifestazioni plebee.

In questa prospettiva, mentre si propinano parole d’ordine vagamente impregnate di manicheismo (in sintesi, la necessità di ripudiare: il «populismo arbitrale», la ricerca di «alibi», la evocazione dell’«arbitraggio chirurgico»), si mostra di non conoscere alcune nozioni fondamentali. Ad esempio, quelle relative alle differenze fra ‘diritto pubblico’ e ‘diritto dei privati’ (necessaria per capire nell’ambito di quale dei due vada collocato il diritto dello sport); fra ‘amministrazione’ e ‘giurisdizione’ e fra ‘mero accertamento tecnico’ e ‘discrezionalità tecnica’ (necessarie per capire come vada qualificata l’attività dell’arbitro); fra ‘illegittimità’ ed ‘illiceità nonché fra ‘colpa’ e ‘dolo’ (necessarie per capire quando l’attività dell’arbitro si risolva in una illegittimità, e quando possa addirittura configurare una illiceità di rilevanza penale, il reato di frode sportiva). Tutte categorie di cui – senza averne alcuna conoscenza diretta, si asserisce che – si perderebbe tempo a discutere in quei «convegni universitari sui presunti errori arbitrali», sui quali «ogni commento è superfluo».

Ora, è certamente grave che i calciatori non conoscano il Regolamento secondo il quale devono giocare. Ed è gravissimo che lo conoscano con rilevanti lacune gli stessi direttori di gara – funzionari amministrativi deputati a svolgere un compito (non giustiziale, bensì) di polizia –, che dovrebbero garantirne la osservanza. Ma ancor più grave, però, è che a non conoscerlo siano i giornalisti, ai quali (per definizione) non dovrebbe esser consentita l’ignoranza di ciò di cui si scrive, il fatto integrando almeno una scarsa deontologia professionale.

Secondo quanto riferito dalla Gazzetta dello Sport «in settimana Giannoccaro, ex arbitro, aveva spiegato agli azzurri a Castel Volturno tra le altre cose, proprio la casistica del fallo di mano che comporta sempre l’ammonizione per un tiro verso la porta, anche se la palla arriva sul braccio di rimbalzo». La medesima corbelleria sarebbe stata adoperata dal signor Fourneau per spiegare a Spalletti le ragioni del cartellino giallo ad Osimhen: stando a quanto riferito dal mister, l’arbitro gli avrebbe detto che, in caso di fallo di mano su un tiro in porta, l’arbitro non può che ammonire, e che, se fosse accaduto in area, il giocatore sarebbe stato espulso.

Ebbene, nessun dubbio sulla rilevazione del fatto: la palla finisce sul braccio di Osimhen. Peccato che, stando alla norma che disciplina il caso, la qualificazione giuridica di quel fatto non può esitare nella sussistenza del fallo. Perché non tutti i tocchi di mano lo sono. Secondo la Regola 12, il fallo di mano ricorre «se un calciatore tocca intenzionalmente il pallone con la mano o il braccio», oppure se «tocca il pallone con le proprie mani / braccia quando queste sono posizionate in modo innaturale aumentando lo spazio occupato dal corpo». E la norma precisa che un calciatore aumenti «lo spazio occupato dal proprio corpo in modo innaturale» laddove «la posizione delle sue mani / braccia non è conseguenza del movimento del corpo per quella specifica situazione o non è giustificabile da tale movimento». Il fallo dunque non c’era, e quindi l’ammonizione è stata illegittima. È vero che prima o poi Osi avrebbe dovuto scontare la giornata di squalifica, perché sarebbe stato impensabile non beccare più un giallo fino alla fine della stagione. Ma non è proprio la stessa cosa scontarla nella partita di Bergamo.

Il fatto che Spalletti e la società abbiano scelto la linea di tenere un profilo basso è – paradossalmente – una prova ulteriore dell’esistenza di quel potere occulto che permea il sistema. Un apparato la giustizia resa dal quale non è dovuta, essendo invece necessario elemosinarla – come se esso fosse espressione di uno Stato assoluto –, per sperare di ottenerla solo in via graziosa, come un favore. L’oscurantismo cui il sistema è improntato postula la necessità di ingraziarsi il decisore per evitare di incorrere nella sua ira (come di recente accadde, dopo Napoli-Atalanta di tre anni orsono).