Guido Clemente di San Luca a TN - "ADL ci spieghi cosa è accaduto, solo allora guarderemo avanti"

Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo, Università della Campania Luigi Vanvitelli, ha espresso per Tuttonapoli le sue sensazioni dopo Napoli-Hellas.

31.05.2021 10:40 di Redazione Tutto Napoli.net  Twitter:    vedi letture
Guido Clemente di San Luca a TN - "ADL ci spieghi cosa è accaduto, solo allora guarderemo avanti"

Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo, Università della Campania Luigi Vanvitelli, ha espresso per Tuttonapoli le sue sensazioni dopo Napoli-Hellas.

In queste ore mi ritorna in mente un verso di «E allora», famosa canzone di Murolo. Forse AdL ha preso il tifoso azzurro «proprio pe’ nu cafone ’e fora». Non vorremmo che fosse così. Eppure... È vero che il tempo che viviamo fa bruciare tutto in un attimo. Che divora e digerisce anche le pietre. È vero che non consente di godere di un’emozione, ché sùbito si deve pensare alla nuova che ci si deve procurare. Che impedisce persino – come si dice – di ‘elaborare il lutto’. Se però il lutto viene bypassato, fingendosi in qualche modo di non averlo subìto, e appunto non lo si elabora, la ferita poi si riapre più violenta di prima, potendo a volte diventare persino letale.

Insomma, abbiamo il diritto di conoscere. Concludevo il pezzo dello scorso 20/5 affermando che «il popolo tifoso vuole sapere se [AdL] gli ha chiesto o no [a Gattuso] di restare. E, quindi, se è vero o no che è Gattuso a non voler rimanere, e perché. AdL ha il dovere di spiegarci, perché il Napoli e, sì, giuridicamente suo, ma socialmente e antropologicamente è nostro, è della gente azzurra». E invece il silenzio. Un silenzio che dopo l’ultima partita è diventato assordante.

Con una insopportabile complicità di fatto, la stampa, anziché incalzare il Presidente, insegue il suo twitter che annuncia Spalletti, ovvero strologa su acquisti e cessioni, così contribuendo a distogliere l’attenzione. Unica eccezione il tentativo – tanto lodevole quanto forse eccessivamente garbato – di Enrico Varriale che prova a interrogare Politano dopo la partita della Nazionale. Ed il tenero malcapitato conferma di dover soggiacere alla misura coercitiva imposta da mesi. Oggi senza più alcuna giustificazione che tenga. Che può spiegarsi soltanto con il fatto di esprimere una cultura medioevale, oscurantista e illiberale. Ebbene, noi non possiamo, né vogliamo, farci distrarre dal nuovo allenatore e dal mercato.

Prima di riprendere il cammino abbiamo il diritto di sapere cosa sia successo. È corsa sui social una ricostruzione dell’accaduto rispetto alla quale, personalmente, sono assai scettico. Nel pezzo del 26/5 ho provato a spiegare (sopattutto a me stesso) perché mi sembrava plausibile che a causare il non gioco sia stata «la tensione emotiva», per me «in grado di ‘squagliare’ la prestazione». Ho scritto che, secondo me, «non c’entra l’anima, la voglia, la preparazione tattica della partita, ma la fragilità psicologica». Ne resto convinto. E ne ha dato conferma Albiol, dopo la vittoria dell’EL: «L’albergo di Firenze? […]. Quando la testa non va, le gambe girano male».

La mia convinzione, peraltro, non contrasta con l’ipotesi appena richiamata. Ed infatti, se pure fosse vera la indimostrata ricostruzione dei fatti, avremmo solo individuato una causa specifica di quella tensione emotiva. Anche secondo questa, invero, viene radicalmente escluso ogni comportamento intenzionale ‘a perdere’. D’altra parte – lo ribadisco – è del tutto implausibile che i calciatori «abbiano ordito una trama così sofisticata […] per fare un dispetto ad AdL». Così come sarebbe incomprensibilmente autolesionistica una tale scelta – lo ripeto – «in termini di reputazione personale, di possibilità di disputare la competizione più prestigiosa, di mancati guadagni, di riduzione del loro valore commerciale e dunque della capacità contrattuale».

Certo, il silenzio dei media – che si somma a quello della società – lascia qualche sospetto. Tutti protesi a non ‘disturbare il manovratore’ intento alla costruzione del nuovo progetto. Ma sì, in fondo che c’importa di quel che è successo? Guardiamo avanti, «chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato, scurdammece ‘o passat’».

Ma non funziona così. Perché, se veramente lo spogliatoio dovesse essersi «destabilizzato» prima della partita, la responsabilità sarebbe rinvenibile, in parte consistente, nell’atteggiamento dispoticamente impermeabile del Presidente (del resto ormai consolidato). Allora, prima di andare avanti, ci è dovuta una spiegazione (l’ha chiesta anche Maurizio De Giovanni). E possibilmente senza far ricorso al vuoto argomento della mancanza di ‘professionalità’.

Non si può più tollerare l’insipienza di un tale richiamo! Ma che significa? Si dice «Donnarumma non ha tradito il Milan, perché è un professionista»! E quindi? Nel Diz. Treccani, alla voce «professionalità» si legge: «Qualità di chi svolge il proprio lavoro con competenza, scrupolosità e adeguata preparazione professionale». Agire con professionalità, dunque, vuol dire semplicemente fare il proprio mestiere correttamente. E fra i connotati della correttezza non mi pare rientri il lasciarsi guidare dal fare sempre più danaro! Anzi, a rigore, dovrebbe significare il contrario! Quando si assiste al mercimonio che caratterizza il mercato dei calciatori (che tutto giustificherebbe in nome del solo scopo di far soldi), la conclusione è esattamente l’opposta. Non si è affatto professionali se si svolge la professione lasciando che venga condizionata dall’unico fattore che non la qualifica correttamente.

In occasione della vicenda Superlega, ho scritto (sul Manifesto del 30/4) che per «difendere veramente la radice popolare del calcio», bisogna «sottrarlo all’egida esclusiva del diritto privato e dei commerci, così da ricondurre il fenomeno entro i confini assiologici originariamente propri di esso». Naturalmente, precisavo che non volevo affermare, in maniera un po’ naif, che si debba «demonizzare», o «escludere, la capacità di produrre reddito». Tuttavia, è chiaro come sia indispensabile contenere «la deriva mercantilista che s’è impossessata del calcio».

Pretendiamo quindi che il Presidente rimuova l’opacità che avvolge gli accadimenti del Napoli. Più in generale, che espliciti in modo trasparente, e motivi, le scelte strategiche che compie: da quelle tecniche a quelle strutturali (perché non una sede amministrativa in città, perché trascurare il settore giovanile, perché adottare una comunicazione così infelice, ecc.). Il Napoli è suo, sì, sul piano del diritto privato. Ma, per tutto il resto, appartiene alla città. E quindi, quasi come fosse un Sindaco, deve – per civismo ed etica pubblica – rispondere al popolo azzurro e raccontargli la verità.

Il capitano, figlio di questa terra, si vede da molti mal giudicare in base ad assai discutibili preconcetti e spregiativamente appellare come «’O Cafone». Se con l’espressione si allude al probabile etimo partenopeo della provenienza dalla provincia («c’a fune» si tenevano i villici provenienti dalle campagne intorno a Napoli, per non perdersi nella metropoli), beh allora Frattamaggiore vale Torre Annunziata. Se invece si allude al significato datole dal vocabolario della lingua italiana – «persona rozza, grossolana, maleducata» – si può essere cafoni in tanti modi. E fra questi il non sapersi esprimere con elegante fonesi è proprio quello meno criticabile. Comunque, per concludere tornando al verso che continua a ronzarmi nella testa, un fatto è sicuro: che il tifoso azzurro proprio non vuole né può esser preso «pe’ nu cafone ’e fora»!