Guido Clemente di San Luca a TN - "Ignoranza e presunzione quando si parla di arbitri e regole!"

Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo, Università della Campania Luigi Vanvitelli, ha espresso per Tuttonapoli le sue sensazioni sulla questione arbitrale.

02.11.2021 12:00 di Arturo Minervini Twitter:    vedi letture
Guido Clemente di San Luca a TN - "Ignoranza e presunzione quando si parla di arbitri e regole!"

Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo, Università della Campania Luigi Vanvitelli, ha espresso per Tuttonapoli le sue sensazioni sulla questione arbitrale.

Nei vari interlocutori del palcoscenico mediatico, la discussione sulla diseguale applicazione delle regole quasi sempre patisce palesemente tre vizi: la sostanziale ignoranza dell’oggetto del confronto, la presunzione di conoscerlo e una buona dose di arroganza derivante dallo status soggettivo rivestito (di ex arbitro, di giornalista sportivo, di commentatore ex calciatore o allenatore).

Argomentare con dovizia le ragioni sarebbe lungo. «Intelligenti pauca», o se si preferisce «a buon intenditor poche parole». Cercherò di essere essenziale, perché se si è capaci di capire non c’è bisogno di lunghe spiegazioni. Il ragionamento non può non riguardare tre specie diverse di attività: 1) la definizione del fatto irregolare; 2) la verifica della sua effettiva ricorrenza in concreto; 3) la possibilità di rimediare all’errore eventualmente commesso in sede di tale verifica.

1) Il fatto irregolare è codificato dalla Regola 12, che prescrive in maniera puntuale le tre ipotesi di fallo. L’azione è fallosa se compiuta: con negligenza («mancanza di attenzione o considerazione nell’effettuare un contrasto» o «agire senza precauzione»), o con imprudenza («noncuranza del pericolo o delle conseguenze per l’avversario»), o con vigoria sproporzionata («eccesso nell’uso della forza necessaria e messa in pericolo dell’incolumità di un avversario»). Se l’azione fallosa avviene in area, va assegnato il calcio di rigore.

2) La verifica in concreto spetta all’arbitro, il quale deve garantire il rispetto delle regole nello svolgimento del gioco, essendo paragonabile (non ad un giudice, ma) ad un funzionario di polizia amministrativa, come se fosse un vigile urbano.

3) Per rimediare all’errore eventualmente commesso l’arbitro deve essere supportato dal Var, ma soltanto nelle quattro specifiche fattispecie previste, la più controversa di queste consistendo senz’altro nella svista su un intervento compiuto in area di rigore.

Il dibattito mediatico quasi mai tiene conto di questi elementi (volutamente o per mera superficilità?) e si svolge in base alle opinioni dei commentatori. Tuttavia, quando ci si esprime facendosi precedere dalle perifrasi «per me» o «secondo me», oppure adoperando locuzioni quali «rigorino» o «rigoretto», ovvero «è arancione» (volendo alludere ad un fallo meritevole di un cartellino che non esiste, fra il giallo ed il rosso), si alimenta soltanto confusione, lasciando l’opinione pubblica priva dell’unico paradigma di riferimento: le regole stabilite. Quelle del Regolamento (l’intervento è compiuto o no, con negligenza, imprudenza, o vigoria sproporzionata?) e quelle del Protocollo Var.

Argomenti adoperati assai di frequente, quali «il calcio è sport di contatto, perciò non tutti i contatti sono falli», sono, se non assolutamente banali, del tutto inconferenti: banali se si considera la loro ovvietà, inconferenti se con essi si sottintenda l’aggiramento della regola. Non tutti i contatti sono legittimi; la regola infatti ne qualifica alcuni come sanzionabili. E non tutti i contatti sono falli, se dalla regola non sono qualificati come sanzionabili. Non è molto difficile.

È assurdo sostenere – come si va predicando sempre più spesso – che «si danno troppi rigori» perché fuori dall’area non vengono rilevati i falli per i quali in area, dopo revisione Var, vengono assegnati calci di rigore. Si può auspicare – non che si lascino correre i falli per consentire la fluidità di un gioco maschio, e in base a ciò si valuti l’operato degli arbitri («quell’arbitro è bravo perché lascia giocare», «quell’altro no perché è troppo fiscale»), bensì – che venga in generale garantito l’eguale rispetto delle regole. Il problema quindi è che in mezzo al campo si commettano falli non rilevati per errore (non rimediabile). Non che i falli commessi in area di rigore vengano rilevati e sanzionati, con la revisione Var essendo divenuto pressoché impossibile farla franca.

Insomma, un fallo è un fallo, e va sanzionato ovunque venga commesso. Se l’ordinamento mediante il Var consente di evitare errori di rilevazione in area di rigore è un bene! Mentre è un male che non si riescano ad evitare fuori area! Sostenere l’inverso è illogico, aberrante e paradossale.

Evidentemente, altra cosa è discutere sulla sussistenza del fallo (a prescindere da dove venga commesso). Ma questo ragionamento non può svolgersi sul confronto fra le diverse opinioni calcistiche dei singoli. Le regole del calcio non sono più quelle di una volta. È tempo che i nostalgici se ne facciano una ragione. Il parametro di riferimento è fissato dalla norma, e non può esser costituito dalla idea di calcio che ciascuno professa. L’intervento è negligente perché compiuto senza precauzione? Fallo e punizione, senza necessario provvedimento disciplinare. E imprudente? Fallo e punizione, con ammonizione obbligatoria. È manifestazione di vigoria sproporzionata? Fallo e punizione, con espulsione diretta.

Mettere in discussione queste modalità applicative delle regole, in fondo elementari, genera un esito nefasto: quello di rimettere in capo all’arbitro un potere di valutazione talmente grande da far sconfinare in puro arbitrio la discrezionalità tecnica di cui deve necessariamente disporre. Allora si capisce facilmente perché il margine di interpretazione dell’arbitro è oggi assai più circoscritto. Deve restare entro i confini delineati dalla disposizione regolativa. Pertanto non si può più dire «per me quello non è fallo», invocando un paradigma costituito dalla soggettiva visione del gioco di ciascuno.

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La questione della eguale applicazione delle regole vale a maggior ragione per le disposizioni concernenti l’ordine pubblico. È irritante constatare che negli stadi, ovunque tranne che a Napoli, non viene osservato il rispetto delle norme sul distanziamento. Non si vuole certo invocare l’eguale disapplicazione delle regole. Ma è indiscutibile che la situazione attuale determini una macroscopica disparità di trattamento. Che si riflette sulla regolarità della competizione sportiva. Oggi il Maradona offre uno spettacolo non ridente, ma desolante. Altrove, dappertutto, il tifo è guidato dai gruppi organizzati, e si fa sentire. Urge trovare una via di ragionevole mediazione con gli ultras, naturalmente nella legalità, perché si ha assoluto bisogno del loro sostegno.