Guido Clemente di San Luca a TN: "In passato scippi clamorosi, restiamo vigili"
Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo all'Università della Campania Luigi Vanvitelli, ha espresso alcune considerazioni in chiave Napoli in vista della ripresa
"I tifosi azzurri, dunque, nutrono dubbi non infondati per la ripresa il 4 gennaio. E certo non sarà la eventuale accusa di oleografia a tenere nascosta la gestualità apotropaica cui la stragrande maggioranza di essi ricorre cospicuamente in questa strana pausa del campionato.
A quel che si è visto fino allo stop, siamo fortissimi. Anzi, i più forti. Ma non basta. Lo eravamo anche la scorsa stagione. Come vado ripetendo da anni, per vincere ci vogliono tre cose: una squadra forte, il kairos e che la competizione si svolga in modo conforme alle regole che la disciplinano. Ebbene, pur senza abusare dell’antico detto che vuole la «Storia maestra di vita», ci è noto che la terza condizione – che non dipende da noi, né dal ricorrere del fato propizio – quasi mai, se non sempre, è stata garantita laddove si presentassero le tracotanti ‘esigenze’ degli ‘strisciati’ (che fossero non colorati o a colori dipendeva solo dalle contingenze del momento).
Con buona pace dei neo-illuministi che sentono di dover combattere «l’infernale macchina del grande masochismo vesuviano». Afflitti da grave miopia, perché dalla più elementare intelligenza della realtà, chiunque la osservi, emerge con chiarezza chi è veramente il masochista. Ma pure carichi di contraddizione, perché se, da un lato, «la città di Napoli e il suo ambiente» vengono perbenisticamente definiti come un «enorme problema», non si può, dall’altro, confondere la battaglia per il rispetto delle regole con il «cronico pianto preventivo». Un po’ come chi si lamenta della guida indisciplinata, ma poi si guarda bene dal battersi per l’applicazione del Codice della strada.
Vale allora la pena di aprire una parentesi ed interrogarsi sul perché si mostrano così carichi di livore. Astioso. E pure un po’ maligno. Non è ipotesi inverosimile quella secondo cui la causa stia nella triste solitudine in cui altezzosi amano chiudersi. Saranno forse la spocchia e la presunzione a determinare così tanta infelicità. In fondo, a ben riflettere, sono condannati ad invidiare coloro che, pur soffrendo delle manchevolezze che esprime la comunità in cui vivono, se ne sentono pienamente parte, accettando il fatto che quelle manchevolezze ne integrano la complessa peculiarità.
Del resto, non può che essere la odiosa ed ostile malevolenza a farli perseverare in un grave errore metodologico, trascurando che, ormai da tempo, è pacifico che pure nelle scienze sociali si procede induttivamente. Provo a semplificare. Solo all’esito della preliminare acquisizione del dato fenomenico (nel nostro caso: com’è fatta la gente azzurra), è possibile proporre una sua non arbitraria ricostruzione critica alla luce dei valori che si assumono come paradigmatici. In poche parole, farebbero meglio a partire dall’essere del popolo partenopeo, adoprandosi per ricavare una ‘verità’ dal suo studio, piuttosto che predicare un dover essere dettato dalle proprie convinzioni (e quindi astratto, non aderente alla realtà dei fatti). Potrebbero prender spunto con profitto – che so? – dal recente documentario di Daniel Pennac («Ho visto Maradona»).
Ma torniamo al tema principale. Nel dichiarare di temere che alla ripresa venga, more solito, a mancare la terza condizione, non v’è alcun «desiderio di lamentarsi», né si esibiscono «attestati di paura». Tutt’altro. Basti semplicemente guardare a cosa sta accadendo. Pochi giorni fa lo scandalo inaudito, ed incredibilmente messo in sordina dai media, del procuratore capo dell’Aia, da due anni ai domiciliari e arrestato per traffico di droga, senza che alcun esponente del circuito federale ed arbitrale si sia dimesso. E da ultimo, di nuovo dopo Calciopoli, le vicende della Juventus. Prima i rapporti con i capi tifosi legati alla ndrangheta. Poi gli esami farsa di Suarez all’Università di Perugia. Adesso l’inchiesta della Procura di Torino, con svariate imputazioni tutte concernenti la scorrettezza della situazione contabile (in proposito si v. il bel pezzo di A. Di Amato sul Riformista del 1 Dicembre). Come ha scritto Paolo Ziliani, il Presidente Gravina «ammette implicitamente di guidare un movimento composto da delinquenti».
Ebbene, di fronte a tutto ciò possiamo stare sereni? È vero che «questo Napoli sta superando quello di Sarri» (ma – sia chiaro – resta quella la matrice!). È vero che «ha tre punti in più rispetto al campionato dei 91 punti»; che «non ha mai goduto di un distacco così corposo sulle inseguitrici»; e che stavolta «non c’è un rivale forte come la Juventus». È vero che «è primo in serie A per percentuale di possesso palla, quantità di passaggi completati, secondo per velocità di passaggi riusciti, ultimo nella classifica delle palle perse»; e che «è primo per duelli aerei vinti, e in generale per quelli che riesce a conquistare in fase difensiva». È tutto vero. Ma non basta.
Non possiamo stare sereni se nella stampa si definiscono «rigorino» quello su Osimhen nella partita con l’Empoli. e insussistenti quelli di Bonucci e Danilo nella partita della Juve a Verona. Sì, ai non colorati il Var aveva illegittimamente sottratto due punti contro la Salernitana. Ma l’episodio si può catalogare fra gli errori (inaccettabili). Gli altri due proprio no. Non possiamo stare sereni se l’arbitro di Milan-Fiorentina non sanziona l’intervento imprudente di Kalulu (fallo, rigore e ammonizione), non fischia due clamorosi falli su Amrabat, non rileva il fallo di Tomori (intervento negligente e rigore) ed il fallo su Duncan (lasciato correre e gol convalidato).
Questa storia di ‘lasciar giocare’ è una bufala sesquipedale, che serve soltanto a dare agli arbitri uno spazio fuori dalla previsione regolativa. La verità è che la macchina del sistema sembra essersi messa di nuovo in moto. E occhio ai media che pressano. Che letteralmente s’inventano una Juve nuovamente competitiva. Che riprendono ad incensare Allegri, definito come «uno degli allenatori più bravi, intelligenti e capaci di leggere le gare che ci siano in circolazione», che è in «zona Champions, in pieno recupero di fiducia, credibilità e giocatori».
Ma occhio pure alle mine ‘interne’. Chi parla di «spogliatoio ripulito che è garanzia di vittoria». Chi scrive che «De Laurentiis ha cambiato quasi tutto, disintossicando lo spogliatoio». Chi riferisce che «chi è andato via da Napoli aveva dentro la storia del Napoli, il fatto che con la Juve non vincevi mai». Chi afferma che la squadra sarebbe «definitivamente guarita dal mal di sconfitta», e con essa la città «da sempre adusa a vestirsi da vittima». Chi alimenta venti di discordia insinuando falsità, e cioè che «Sarri e gli artefici dell’ammutinamento» avrebbero tradito AdL, che questa squadra «non perderà mai uno scudetto in albergo come il Napoli di Sarri o sarà protagonista di un ammutinamento come quello di Ancelotti». False narrazioni della realtà dei fatti. Come quelle che negano la rivoluzione della grande bellezza e lo scudetto ‘scippato’ per ripetute clamorose illegittimità, l’evidente fallimento di Ancelotti e i grandi meriti di Gattuso nel far risorgere una squadra desertificata.
Viste tutte queste insidie dobbiamo restare in guardia. Bisogna mantenersi saldi, non commettendo gli errori del finale della scorsa stagione. Ed incrementare il senso di appartenenza. Soprattutto in chi, come Kim, ha mostrato importanti segnali di solidità (nonostante qualche incertezza al mondiale), anche morale. Seguendo Osi ed il Cholito, che provano (fin qui invano) a spingere la squadra sotto la curva a fine partita. Mai come oggi la squadra rassomiglierebbe alla città. Napoli crocevia di culture e tante nazionalità nella rosa. È auspicabile che tutti – polacchi e coreani, georgiani e nigeriani, camerunensi e slovacchi, macedoni e argentini, kossovari e norvegesi, brasiliani e uruguaiani, portoghesi, tedeschi e messicani – diano chiari segnali di sentimento azzurro.
Altro che portarli in Val d’Aosta. Quella è destinazione perfetta per chi fa professione di alterigia, prosopopea, superbia, supponenza, sussiego. Se c’è un nemico sulla via della vittoria sta nella perdita di modestia ed umiltà. Ma, insieme, nel non abbracciare il coraggioso orgoglio di essere partenopei. E senza «differenze di censo», come è tipico della città porosa. Tenendo a distanza la vera «forza distruttrice di Napoli». Assimilabile a quella che nella politica internazionale si fa ispirare dall’idea che la democrazia sia esportabile. Auguriamoci che Spalletti sposi appieno (ed in maniera non strumentale) il nostro popolo, smentendo definitivamente i neo-illuministi"
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